Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10379 del 15/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 12/05/2011), n.10379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale sono elettivamente domiciliati in Roma in via dei Portoghesi

n. 12;

– ricorrente –

contro

DOMENICO PAONE FU ERASMO spa, rappresentata e difesa dall’avv. Pace

Eugenio, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma in via

F. Valesio n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 71/39/06, depositata il 16 marzo 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

dicembre 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco;

uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per i ricorrenti e

l’avv. Giorgio Piccialuti per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per la cessazione della materia del

contendere.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione nei confronti della decisione della Commissione tributaria regionale del Lazio che, nel giudizio introdotto dalla spa Domenico Paone fu Erasmo con l’impugnazione dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per l’anno 1997, ha disatteso la richiesta dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Formia, di estinzione del giudizio, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, per essere venuta meno la materia del contendere a seguito dell’annullamento, in via di autotutela, dell’avviso impugnato, ai sensi del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, come convertito nella L. 30 novembre 1994, n. 656, sul rilievo che “la rinuncia da parte dell’appellante non può ritenersi valida in quanto non risulta accettata dalla contribuente”. Il giudice di secondo grado ha quindi esaminato e rigettato nel merito l’appello dell’amministrazione, ritenendo l’avviso di accertamento fondato “su semplici presunzioni e non su elementi certi”.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 44 e 46 nonchè del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater (autotutela), convertito con modificazioni nella L. 30 novembre 1994, n. 656, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e, ove occorrer possa n. 3”, censura la decisione assumendo che, alla luce delle disposizioni in rubrica, qualora venga rimosso in via di autotutela l’atto impugnato dal contribuente, si farebbe luogo non già a rinuncia all’appello interposto dall’ufficio avverso la sentenza di primo grado sfavorevole, guanto piuttosto a cessazione della materia del contendere, con inammissibilità della eventuale pronuncia di merito da parte della Commissione regionale.

Con il secondo motivo censura per contraddittoria e insufficiente motivazione la statuizione d’appello sul merito della controversia.

Il primo motivo del ricorso è fondato, essendo incorso il giudice di merito nell’errore di diritto denunciato.

L’annullamento nel corso del processo tributario, da parte dell’ufficio erariale, dell’atto impugnato in via di autotutela non costituisce infatti rinuncia al processo stesso, bensì integra la specifica – ed ontologicamente diversa – fattispecie della cessazione della materia del contendere, caratterizzata dal venir meno del contrasto tra le parti e, quindi, dell’interesse delle stesse alla pronuncia del giudice – nè alla pronuncia di estinzione per cessazione della materia del contendere può ostare l’eventualità di una successiva rimozione dell’annullamento in autotutela (Cass. n. 4744 del 2006) -. Ne consegue che, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere comporta che non si faccia luogo a liquidazione di spese a favore di una parte o dell’altra, ma che se ne disponga la compensazione (ex multis, Cass. n. 19695 del 2004 e n. 16987 del 2003).

Il motivo va pertanto accolto, assorbito l’esame del secondo motivo e delle eccezioni della società contribuente, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando cessata la materia del contendere.

Le spese del grado di appello vanno pertanto compensate, mentre quelle del presente giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito l’esame del secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il giudizio estinto per cessazione della materia del contendere.

Dichiara compensate tra le parti le spese del grado di appello e condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.800,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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