Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10378 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/04/2017, (ud. 10/06/2016, dep.27/04/2017),  n. 10378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11813-2014 proposto da:

IMMOBILIARE ADA SPA, in persona dell’Amministratore Unico e legale

rappresentante pro tempore Sig.ra P.M.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAZZINI 146, presso lo studio

dell’avvocato EZIO SPAZIANI TESTA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURIZIO RAIMONDI giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PISANI IMPORT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore

Sig. P.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 79/H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 840/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato SPAZIANI TESTA;

udito l’Avvocato RAFFAELLA BACCARO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 26.2.2014 n. 840, in riforma della decisione di prime cure ed in parziale accoglimento dell’appello proposto da Pisani Import s.p.a, rigettava la domanda proposta da immobiliare ADA s.r.l. avente ad oggetto il risarcimento danni, per ingiustificata rottura delle trattative relative alla stipula di un preliminare di vendita immobiliare, e dichiarava inammissibile per novità la domanda riconvenzionale di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale proposta dall’appellante.

I Giudici di appello, dato atto che il danno patrimoniale liquidato in primo grado a favore della Immobiliare ADA s.p.a. – nella complessiva misura di Euro 104.105,85 – concerneva le spese da questa sostenute nel corso delle trattative negoziali per oneri di urbanizzazione secondaria e per contributo smaltimento rifiuti, rilevavano che, soltanto in grado di appello, Pisani Import s.p.a. aveva prodotto la documentazione proveniente dal Comune di Buscate -ove era sito l’immobile di proprietà della Immobiliare ADA s.p.a. oggetto della trattativa – da cui risultava che l’intero importo sopra indicato era stato integralmente rimborsato dal Comune nella complessiva somma di Euro 105.099,045 detratte solo le spese di bollo e segreteria. La produzione tardiva ex art. 345 c.p.c. doveva, tuttavia, ritenersi ammissibile, in quanto la Pisani aveva fornito prova della causa non imputabile che le aveva impedito di depositare i documenti nel corso del precedente grado, essendole stato possibile richiedere, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 22 l’accesso ai documenti del procedimento di rimborso che riguardavano la società immobiliare, soltanto dietro presentazione della copia della sentenza di prime cure acquisita dopo la pubblicazione.

La sentenza di appello, emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. e non notificata, è stata impugnata per cassazione da Immobiliare ADA s.p.a. con tre mezzi per vizio di nullità processuale, errori di diritto e vizio di motivazione.

Resiste con controricorso Pisani Import s.p.a.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre premettere che il giudizio in primo grado è stato introdotto con atto di citazione notificato in data in data 6.10.2008 e che, alla data di entrata in vigore (4-7-2009) della L. 18 giugno 2009, n. 69, il giudizio pendeva ancora in primo grado sicchè alla impugnazione in grado di appello proposta da Pisani Import s.p.a. trova applicazione (giusta la disposizione transitoria della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2) la norma dell’art. 345 c.p.c. – come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 18 – che, al comma 3, dispone: “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostrai di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo di grado per causa ad essa non imputabile….”.

Risulta dagli che l’appellante Pisani Import s.p.a., in allegato all’atto di citazione in appello, notificato in data 10.10.2013 – ed anche in allegato alla istanza di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di prime cure ex art. 351 c.p.c., notificata in data 21.10.2013 – ha prodotto (rispettivamente come documento 6 e documento 2) “copia raccomandata Comune di Buscate prot. 6278 del 27.8.2013” da cui emergeva che alcuna ulteriore danno patrimoniale aveva subito Immobiliare ADA s.p.a. dalla rottura ingiustificata delle trattative in quanto il Comune aveva accolto la domanda della stessa società di rinuncia alla concessione edilizia ed aveva provveduto a restituire ad essa gli importi che erano stati versati a titolo di oneri di urbanizzazione ed il contributo per smaltimento rifiuti.

Risulta ancora che Immobiliare ADA s.p.a., costituendosi nel giudizio di appello, aveva eccepito la inammissibilità della produzione documentale tardiva, rilevando come tali documenti bene avrebbero potuto essere acquisiti da Pisani Importo s.p.a. nel corso del giudizio di primo grado, formulando istanze istruttorie per prova orale, interrogatorio formale, ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.: non avendo invece svolto Pisani alcuna istanza istruttoria nel termine assegnato ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2), non avrebbe potuto allegare per la prima volta in grado di appello la causa non imputabile per introdurre nuovi documenti.

La Corte territoriale ha disatteso tale eccezione, sostenendo che Pisani Import s.p.a. aveva dimostrato l’impedimento oggettivo alla produzione documentale nel corso del giudizio di primo grado, in quanto anteriormente alla pubblicazione della sentenza di prime cura non avrebbe avuto alcun titolo di legittimazione a richiedere al Comune tali documenti.

La sentenza viene impugnata da Immobiliare ADA s.p.a. con i seguenti motivi.

Primo motivo: violazione art. 153 c.p.c., comma 2, art. 342 c.p.c., comma 1, art. 345 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia esaminato (recte abbia implicitamente disatteso) la eccezione pregiudiziale di inammissibilità della impugnazione, per difetto dei requisiti di cui all’art. 342 c.p.c., svolta nella comparsa di costituzione e risposta in grado di appello.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza quanto alla descrizione del “fatto processuale” (essendo soggetto anche il vizio per errore di attività del giudice nel processo al previo vaglio di ammissibilità, che precede necessariamente l’attività di sindacato di legittimità per la quale, in considerazione della peculiare natura del vizio denunciato, la Corte ha accesso diretto agli atti del fascicolo dei gradi merito); la ricorrente infatti si limita ad affermare che l’atto di impugnazione della Pisani difettava della pars destruens e della pars construens, senza tuttavia neppure indicare le lacune o gli elementi che rendevano indecidibili i motivi di gravame (ed anzi senza indicare quali e quanti motivi di gravame fossero stati con l’atto di appello, del quale viene del tutto omessa la trascrizione e neppure viene dato un esaustivo riassunto del contenuto: cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 11477 del 12/05/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016) ma limitandosi soltanto a richiamare noti principi giurisprudenziali sul difetto di specificità dei motivi ex art. 342 c.p.c., dovendo ribadirsi il consolidato principio di questa Corte secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 30/09/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016).

Secondo motivo: violazione L. n. 241 del 1990, artt. 22 – 24; art. 153 c.p.c., comma 2 e art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omessa esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sostiene la ricorrente che ha errato la Corte d’appello a rinvenire un impedimento all’accesso della documentazione amministrativa concernete le pratiche di urbanizzazione e smaltimento rifiuti della Immobiliare ADA s.p.a. fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado, atteso che la L. n. 241 del 1990, art. 24, comma 7 come modificato dall’art. 15/2005 garantisce in modo assoluto l’accesso ai documenti amministrativi qualora sia necessario per l’esercizio della tutela in giudizio di interessi giuridici.

Il motivo è infondato tenuto conto che la erronea motivazione in diritto della Corte territoriale in ordine alla “causa non imputabile” – che giustifica la produzione di nuovi documenti in grado di appello – deve essere soltanto corretta da questa Corte, risultando il dispositivo della decisione impugnata conforme a diritto.

Occorre rilevare come, in via generale, il diritto soggettivo all’accesso agli atti amministrativi venga assicurato dalla L. n. 241 del 1990, art. 22, comma 1, lett. b) qualora il soggetto pubblico o privato sia portatore di un interesse giuridicamente rilevante ossia meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Tale sistema normativo, coordinato con la disciplina processuale dei mezzi istruttori a disposizione delle parti volti all’acquisizione delle prove storiche (richiesta di informazione alla PA, non parte del giudizio, ex art. 213 c.p.c.; richiesta dell’ordine di esibizione alla parte od al terzo ex artt. 210 e 211 c.p.c.; istanza di sequestro cd. probatorio di cui all’art. 670 c.p.c., comma 1, n. 2), consente alla parte processuale, che non sia in possesso o comunque non abbia la disponibilità del documento da utilizzare in giudizio come prova precostituita, di conseguire la prova, onerandola degli adempimenti necessari ad impedire che nei suoi confronti possano essere fatte valere preclusioni e divieti alla produzione imposti dai termini perentori, dall’esaurimento delle fasi processuali o dal grado del processo.

In particolare si osserva che, se la parte che abbia esperito senza esito la domanda di accesso agli atti amministrativi in conseguenza del silenzio-rifiuto o dell’espresso rigetto della istanza opposto dalla Amministrazione pubblica, onde evitare la eccezione di preclusione di nuove prove in grado di appello ex art. 345 c.p.c. e sottrarsi alla contestazione di imputabilità della omessa produzione documentale, dovrà dimostrare di avere attivato tempestivamente i rimedi apprestati dall’ordinamento, in sede processuale (in caso di pendenza di lite) ovvero in sede amministrativa, ricorrendo in caso di illegittimo diniego all’accesso, espresso o tacito, opposto dalla Amministrazione pubblica, al procedimento di riesame previsto dalla medesima L. n. 241 del 1990, art. 25 (che rinvia al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 116 Codice del processo amministrativo), ed in caso di definitivo rigetto della istanza mediante ricorso al TAR.

Con specifico riferimento alla istanza di accesso agli atti delle Pubbliche Amministrazioni osserva il Collegio che la L. n. 241 del 1990, artt. 22 e ss. come modificati dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 10 individuano quale requisito di legittimazione la titolarità in capo all’istante di un “interesse giuridicamente rilevante” che, quanto al profilo statico, assume i caratteri di un interesse serio, effettivo, concreto, attuale e, in definitiva, ricollegabile all’istante da un preciso e ben identificabile nesso funzionale alla realizzazione di esigenze di giustizia, mentre, quanto al profilo dinamico, si atteggia “come il complesso di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali, risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale, volti in senso strumentale alla tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, che vengano a collidere o comunque ad intersecarsi con l’esercizio di pubbliche funzioni e che travalicano la dimensione della tutela processuale di diritti soggettivi o interessi legittimi, la cui azionabilità diretta prescinde dal preventivo esercizio del diritto di accesso, così come l’esercizio del secondo prescinde dalla prima” (cfr., Ad. Plen., 20 aprile 2006, n. 7; Cons. St., Sez. 4, 27.10.2009, n. 63; Cons. St., 6 Sez., 21 gennaio 2013, n. 316).

Dalla nozione di interesse indicata segue quale corollario l’affermazione per cui la qualificazione in termini “astratti” o “acausali” del diritto di accesso, consente che, una volta ravvisata la esistenza della titolarità in capo all’istante di un interesse giuridicamente rilavante, la Amministrazione destinataria è tenuta alla ostensione degli atti (fatti salvi eventuali limiti alle categorie di atti accessibili, predeterminati per atto normativo) senza potere sindacare nel merito la fondatezza della pretesa o dell’interesse sostanziale cui quel diritto è correlato e/o strumentalmente collegato (cfr., Cons. St., Sez. 4, 14 aprile 2010, n. 2092; TAR Lazio, Roma, 28 gennaio 2008, n. 594; TAR Lazio, Roma, Sez. 2 bis, 9.7.2015, n. 9235).

Della configurazione di un interesse giuridico rilevante in capo a Pisani Import s.p.a. in quanto parte convenuta in causa avente ad oggetto il risarcimento del danno, quantificato dalla parte attrice anche in relazione alla voce di spese sostenute per oneri di urbanizzazione e contributo smaltimento rifiuti, non può evidentemente dubitarsi, trattandosi nella specie di acquisire dal Comune (quale pubblica amministrazione, tali essendo “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”: L. n. 241 del 1990, art. 22, comma 1, lett. e),) documenti amministrativi “detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (L. n. 241 del 1990, art. 22, comma 1, lett. d),) necessari a sostenere l’esercizio del diritto costituzionale di difesa in giudizio, sicchè l’affermazione della Corte d’appello secondo cui soltanto la pubblicazione della sentenza di primo grado avrebbe consentito a Pisani Import s.p.a. di munirsi del titolo di legittimazione per presentare la istanza di accesso ai documenti amministrativi, contrasta con la stessa conformazione legislativa dell’istituto del diritto di accesso e non può, pertanto, essere condivisa.

La errata motivazione in diritto, tuttavia, non rende illegittima anche la decisione di ammissione dei nuovi documenti in grado di appello, che deve ritenersi invece conforme a diritto, dovendo questa Corte limitarsi soltanto a correggere l’impianto argomentativo.

Osserva il Collegio che la società resistente, come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, aveva allegato di non aver avuto conoscenza, “prima della notifica della sentenza” di primo grado, della richiesta formulata da Immobiliare ADA s.p.a. per ottenere dal Comune il rimborso delle somme versate per gli oneri di urbanizzazione ed il contributo smaltimento rifiuti, e dell’effettivo rimborso conseguito. Entrambe le circostanze di fatto, a quanto emerge dagli atti regolamentari e dalla ricostruzione della vicenda processuale svolta nella sentenza di appello, non avevano costituito oggetto di discussione tra le parti, essendo stato interamente focalizzato il giudizio di merito sull’accertamento della responsabilità precontrattuale cui è seguita – de plano – la liquidazione del danno patrimoniale, per quanto interessa la questione in esame, in misura corrispondente agli importi versati al Comune a titolo di oneri di urbanizzazione indicati nei documenti prodotti in causa da Immobiliare ADA s.p.a. (della conformità al vero dei fatti di pagamento in essi rappresentati non risulta vi fosse ragione di dubitare da parte di Pisani Import s.p.a.), non essendo, pertanto, occorso procedere ad istruttoria sul “quantum”, ovvero ad indagini tecniche da parte di ausiliari nominati dal Giudice, o ancora ad attività probatoria volta ad accertare l’an” in ordine ai costi per oneri amministrativi inutilmente sostenuti dalla danneggiata.

Orbene il pacifico l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, ove la richiesta ex art. 210 c.p.c.. (o la produzione dei documenti acquisiti ex lege n. 241 del 1990) sia stata presentata solo in appello, la parte è tenuta a provare di non aver potuto produrre nel giudizio di primo grado, per “causa ad essa non imputabile”, i documenti oggetto della richiesta di esibizione, non essendo ammissibile, attraverso l’ordine ex art. 210 c.p.c., o l’allegazione dei nuovi documenti all’atto di appello, superare le preclusioni processuali, previste dagli artt. 345 e 437 c.p.c., nè aggirare l’onere incombente sulla parte di fornire le prove che essa sia in grado di procurarsi e che non può pretendere di ricercare mediante l’attività del giudice (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 1484 del 24/01/2014), deve essere coordinato con il parallelo indirizzo giurisprudenziale, formatosi in relazione al presupposto della “indispensabilità” della nuova prova, previsto dal medesimo art. 345 c.p.c., comma 3, (successivamente soppresso dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. Ob) conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), secondo cui la valutazione di ammissione ex officio della prova rimane pur sempre subordinata alla “impossibilità di acquisizione” della stessa con altri mezzi, che la parte avrebbe avuto l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3310 del 19/02/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 1369 del 26/01/2016), dovendo tuttavia apprezzarsi la non imputabilità dell’impedimento alla stregua degli oneri di allegazione e probatori effettivamente esigibili dalla parte in relazione al concreto sviluppo del processo, non essendo a quella imputabile l’omessa attività probatoria in primo grado qualora, soltanto dalla decisione di primo grado, o successivamente ad essa, si evidenzi la sopravvenuta necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario; viceversa dovendo ritenersi inammissibile la nuova prova, se la formazione della decisione di prime cure è avvenuta in una situazione nella quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni istruttorie avrebbero consentito alla parte di avvalersi del mezzo di prova perchè funzionale alle sue ragioni, in tal caso dovendo imputarsi alla negligenza della parte il non aver ritualmente introdotto la prova rivelatasi necessaria (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 1468 del 27/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 7441 del 31/03/2011; id. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3654 del 10/02/2017).

Sulla scorta di tali indicazioni è possibile risolvere la questione sottoposta all’esame della Corte.

Nel corso del giudizio di primo grado, introdotto da Immobiliare ADA s.p.a. con atto di citazione notificato in data 6.10.2008, la questione del quantum risarcitorio, relativamente alle voci di danno indicate (spese per oneri urbanizzazione: Euro 86.625,12; contributo smaltimento rifiuti: Euro 17.473,92 – cfr. sentenza appello, in motiv., pag. 2 -), non aveva costituito oggetto di discussione, essendo pacificamente documentato in atti il versamento delle predette somme: per tale ragione l’attività difensiva di allegazione e deduzione probatoria delle parti aveva avuto ad oggetto esclusivamente la questione controversa dell’accertamento della condotta imputabile a titolo di responsabilità precontrattuale. Lo sviluppo del processo di primo grado, dunque, non imponeva alcuno specifico ed attuale onere di diligenza da parte di Pisani Import s.p.a. nella ricerca presso il Comune di Buscate – di prove contrarie sul “quantum”, nè tanto meno si era palesata la esigenza di acquisire informative da quel Comune in ordine al pagamento dei predetti oneri e del contributo (già attestati dai documenti prodotti da Immobiliare ADA s.p.a.) o di acquisire tali documenti in possesso della società attrice mediante ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.. Ed infatti durante il giudizio di primo grado non era emersa alcuna notizia della esistenza dei documenti successivamente rinvenuti presso l’ente locale (istanza di rinuncia alla concessione edilizia e di rimborso degli oneri; ordinativi di pagamento relativi alla restituzione delle somme emessi dal Comune), non essendo l’ente locale parte in causa ed avendo tenuto la società attrice, quanto alla soddisfazione del credito restitutorio, una condotta processuale improntata a malizioso silenzio, atteso che, al tempo della notifica dell’atto introduttivo (6.10.2008), Immobiliare ADA s.p.a. aveva già presentato al Comune di Buscate, in data 13.5.2008 “richiesta di annullamento della pratica edilizia e di rimborso” (cfr. sentenza appello, pag. 2), e nel corso del giudizio di primo grado aveva conseguito, in data 7.5.2009, l’effettivo rimborso delle somme versate, insistendo ciò nonostante a richiedere la condanna di Pisani Importi s.p.a. al pagamento delle medesime somme, a titolo risarcitorio.

Il complessivo descritto quadro processuale, deve ritenersi compatibile con una situazione di ignoranza non colpevole della società Pisani in ordine alla esistenza dei documenti estintivi del credito vantato dalla Immobiliare ADA s.p.a., tale da attribuire rilevanza – ai fini della ammissibilità della produzione documentale in grado di appello – alla scoperta di essi successiva al deposito della sentenza di prime cure, in quanto la omessa ricerca e produzione nel corso del giudizio di primo grado non può riferirsi a causa imputabile a negligenza di Pisani Import s.p.a., non venendo meno la situazione di incolpevole ignoranza della esistenza dei predetti documenti, valutata in relazione al concreto svolgimento della specifica vicenda processuale, per il fatto – del tutto eventuale ed ipotetico – che il titolare della concessione edilizia, in difetto della costruzione del manufatto, possa richiedere il rimborso degli oneri di urbanizzazione versati all’ente locale (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 7874 del 27/09/1994). In modo differente deve essere considerata, infatti, la eccezione in senso stretto intesa a far valere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, la negligenza del creditore nell’adottare le iniziative necessarie, che avrebbero potuto evitare il danno, e che rimane preclusa ove non tempestivamente proposta in primo grado, rispetto invece alla mera difesa della allegazione della estinzione del credito -per intervenuto pagamento satisfattivo-proponibile anche in grado di appello, ed in sede di legittimità, per la prima volta (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 6350 del 16/03/2010; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11051 del 02/07/2012; id. Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 10531 del 07/05/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 14654 del 14/07/2015; id. Sez. 2, Sentenza n. 9965 del 16/05/2016), non andando incontro a preclusioni la negazione della sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio (la persistenza del credito è elemento della fattispecie costitutiva della pretesa, e se contestato onera della prova colui che agisce a tutela del credito), e residuando nel caso in cui il fatto estintivo allegato non sia immediatamente rilevabile ex actis (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5249 del 16/03/2016) esclusivamente un problema di rituale deduzione probatoria (cfr. Corte cass. Sez,. L, Sentenza n. 599 del 22/01/1998), questione da intendersi risolta nel caso di specie nel senso della ammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (nel testo modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 18, applicabile alla presente controversia, in quanto il giudizio, -come richiesto dall’art. 58, comma 1 medesima Legge -, pendeva in primo grado al momento di entrata in vigore della legge) della prova documentale offerta per la prima volta in grado di appello, per causa non imputabile alla parte, da Pisani Import s.p.a..

Deve dunque affermarsi il principio secondo cui la dimostrazione della “causa non imputabile” richiesta dall’art. 345 c.p.c., comma 3, – nel testo riformato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 18, – ai fini della ammissibilità in grado di appello della prova documentale non prodotta in primo grado, deve ritenersi raggiunta nel caso in cui, tenuto conto dello sviluppo della vicenda processuale, come in concreto svoltasi, ed avuto riguardo esclusivamente ai fatti controversi e discussi nel corso del giudizio di merito, emerga che tale prova “rebus sic stantibus” non era oggettivamente esigibile dalla parte, ossia risulti che alcuna negligenza era a quella imputabile per la mancata acquisizione del documento nel precedente grado di giudizio.

Nella specie deve ravvisarsi la non imputabilità a negligenza della parte per l’omesso deposito o produzione del documento, in presenza delle seguenti concause: a) le questioni controverse nel giudizio di merito, discusse ed oggetto di verifica istruttoria, non ricomprendevano anche il fatto rappresentato dal documento; b) le prove documentali depositate dalla controparte ed attestanti il versamento di spese a favore di un terzo, non imponevano alla parte nè giustificavano la contestazione del fatto in esse rappresentato; c) la condotta processuale della controparte non risultava improntata a correttezza e buona fede, trasmodando in un uso dello strumento processuale volto a conseguire un vantaggio ulteriore rispetto a quello spettante in relazione al diritto azionato (nella specie la parte attrice vittoriosa in primo grado avendo visto accogliere la propria domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale, dovuta ad interruzione delle trattative aventi ad oggetto la ristrutturazione e vendita di capannone industriale, aveva depositato gli attestati di versamento delle somme corrisposte al Comune a titolo di oneri di urbanizzazione e di contributo smaltimento rifiuti, chiedendo il risarcimento del danno per il corrispondente importo, non palesando che, anteriormente alla introduzione del giudizio in primo grado, aveva presentato istanza di rinuncia alla concessione edilizia e nel corso del giudizio di prime cure aveva poi ottenuto dal Comune l’effettivo rimborso di tali somme).

Così corretta la motivazione, la decisione impugnata deve ritenersi esente dalla censura di nullità processuale svolta con il motivo in esame.

Terzo motivo: violazione artt. 99, 112, 132, 156, 189, 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

La ricorrente si lamenta del vizio di ultrapetizione in cui è incorsa la Corte d’appello pronunciando su domanda (di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. e conseguente risarcimento del danno determinato in Euro 200.000,00) che la Pisani aveva proposto per la prima volta con l’atto di appello ma che poi aveva rinunciato non riproponendole nelle conclusioni precisate alla udienza 26.2.2014

La censura è inammissibile per difetto di interesse, in quanto dall’accoglimento della stessa la parte, attuale ricorrente, non potrebbe conseguire un risultato maggiormente favorevole di quello che ha già ottenuto con la pronuncia di inammissibilità per novità della domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale svolta dalla società Pisani, in ordine alla quale il Giudice di appello ha peraltro esteso il giudizio anche al merito, ritenendola infondata, con mera argomentazione ad abundantiam, insuscettibile di integrare un’autonoma ratio decidendi e, pertanto, da considerare “tamquam non esset”, in quanto la pronuncia sulla pregiudiziale di rito viene definitivamente a privare il Giudice della “potestas judicandi” sulla questione di merito (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007; id. Sez. U, Sentenza n. 15122 del 17/06/2013; id. Sez. L, Sentenza n. 22380 del 22/10/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 101 del 04/01/2017).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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