Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10377 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10377 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

PAFUNDI Michele (PFN MHL 55R22 G616I), rappresentato e
difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Mariano Ferri, elettivamente domiciliato in
Roma, via Cipro n. 63, presso la famiglia Ferri-Paciotti;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro

tempore, rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per
legge;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 13/05/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro
depositato il 4 ottobre 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 18 marzo 2014 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 4 luglio 2011
presso la Corte d’appello di Catanzaro, Pafundi Michele ha
chiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole
durata di un giudizio amministrativo da lui instaurato
dinnanzi al TAR per la Basilicata, con ricorso notificato
il 26 febbraio 1999, non ancora definito alla data di
presentazione della domanda;
che l’adita Corte d’appello, accertata l’ammissibilità
della domanda, riteneva che il giudizio presupposto avesse
avuto una durata irragionevole di sette anni e dieci mesi;
liquidava quindi in favore del ricorrente l’indennizzo di
1.766,66 euro, ritenendo congruo il criterio di computo
ragguagliato a 200,00 euro per anno di ritardo, e
compensava per metà le spese di lite;
che per la cassazione di questo decreto Pafundi
Michele ha proposto ricorso sulla base di un motivo, cui
ha resistito, con controricorso, l’amministrazione
intimata.

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Stefano Petitti.

Considerato che il collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che deve preliminarmente rilevarsi che non è di

presenza del pubblico ministero atteso che in tema
intervento del P.M. nel giudizio civile di cassazione, per
effetto delle modifiche introdotte dagli artt. 75 e 81 del
d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. in legge 9 agosto 2013,
n. 98, la partecipazione del P.M. alle udienze che si
tengono presso la sesta sezione non è più obbligatoria,
impregiudicata la facoltà del P.M. di intervenirvi, ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ., ove
ravvisi un pubblico interesse (Cass. n. 1089 del 2014);
che con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente
denuncia vizio di motivazione nonché violazione e errata
applicazione delle norme di diritto ex art. 360, terzo
comma

(recte,

primo comma, n. 3), cod. proc. civ., in

relazione all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e agli
artt. 6, par. l, e 13 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, con riferimento alla liquidazione
contenuta dalla Corte d’appello in euro 200,00 per anno di
ritardo, immotivatamente discostandosi dagli ordinari
criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da
irragionevole durata del processo;

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ostacolo alla trattazione del procedimento la mancata

che con il medesimo motivo il ricorrente censura
altresì l’errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la
Corte d’appello nella quantificazione del periodo
eccedente la ragionevole durata del processo, erroneamente

che il ricorso principale è fondato in entrambi i
profili in cui l’unico motivo si articola;
che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che
la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia,
in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene,
in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione

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considerato di 7 anni e 10 mesi e non di 8 anni e 8 mesi;

dell’indennizzo facendo riferimento alla natura dei
diritti azionati, alla natura della controversia e alla
esiguità della posta in gioco;
che, tuttavia, lo scostamento operato dalla Corte

pervenuta al riconoscimento di un indennizzo meramente
simbolico;
che risulta altresì fondata la censura sull’errata
valutazione del tempo computabile nel calcolo della durata
irragionevole del processo, da individuare correttamente
in otto anni e otto mesi, come sostenuto dal ricorrente,
dovendosi detrarre dalla durata complessiva di dodici anni
e due mesi il segmento di tre anni di durata ragionevole e
l’ulteriore segmento di sei mesi occorso per la
riassunzione della causa a seguito di interruzione, sicché
la durata irragionevole avrebbe dovuto essere determinata
in otto anni e otto mesi;
che il ricorso deve quindi essere accolto con
conseguente cassazione del decreto impugnato;
che non essendo tuttavia necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, in proposito, occorre rilevare che, con
riferimento ai giudizi amministrativi di durata
irragionevole, questa Corte, in applicazione dei criteri

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territoriale appare non ragionevole, essendo la stessa

elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni Volta et autres c. Italia,
Falco et autres c. Italia,

del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010; Cass., 18

giugno 2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271;

indennizzo che corrisponde a circa 500,00 euro per anno di
irragionevole durata;
che, dunque, avuto riguardo alla accertata violazione
della ragionevole durata del giudizio presupposto per otto
anni e otto mesi e alla natura del giudizio presupposto
nonché alla entità esigua della posta in gioco, al
ricorrente va riconosciuto un indennizzo che, per gli otto
anni e otto mesi di accertato ritardo, va liquidato in
euro 4.333,33 sulla base dell’indicato parametro di 500,00
euro per anno di ritardo;
che il Ministero dell’economia e delle finanze va
dunque condannato al pagamento, in favore del ricorrente,
della somma di euro 4.333,33, oltre agli interessi legali
dalla data della domanda al saldo;
che il Ministero deve essere altresì condannato al
pagamento delle spese dell’intero giudizio, che si
liquidano in dispositivo, avuto riguardo alla operata
rideterminazione dell’importo dovuto al ricorrente;

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Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), è solita liquidare un

che le spese, come liquidate, devono essere distratte
in favore del difensore del ricorrente, Avvocato Mariano
Ferri, per dichiarato anticipo.
PER QUESTI MOTIVI

ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel
merito, condanna il Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento, in favore di Pafundi Michele, della
somma di euro 4.333,33, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al saldo; condanna altresì il Ministero
al pagamento delle spese dell’intero giudizio, che
liquida, quanto al grado di merito, in euro 873,00, di cui
euro 50,00 per esborsi, euro 445,00 per diritti ed euro
378,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli
accessori di legge, e, quanto al giudizio di legittimità,
in euro 292,50 per compensi, oltre euro 100,00 per esborsi
e agli accessori di legge. Dispone la distrazione delle
spese, come liquidate, in favore del difensore del
ricorrente, Avvocato Mariano Ferri, per dichiarato
anticipo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta sezione civile – 2 della Corte suprema di
cassazione, il 18 marzo 2014.

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il

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