Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10376 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 20/04/2021), n.10376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23715/2016 proposto da:

NEW HOLLAND CONSTRUCTION MACHINERY S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GERMANO DONDI, DIEGO DIRUTIGLIANO;

– ricorrente –

contro

D.W., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati SILVIO CHIODO, BENEDETTO PELLERITO, GIUSEPPE

PELLERITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 164/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/04/2016 R.G.N. 835/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO, per delega verbale Avvocato

RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 15 aprile 2016, la Corte d’Appello di Torino, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Torino, accoglieva la domanda proposta da D.W. nei confronti della New Holland Construction Machinery S.p.A. avente ad oggetto, previa declaratoria dell’illegittimità dell’attivata CIGS e della sospensione dal lavoro dell’istante, la condanna della Società, al pagamento della differenza tra la normale retribuzione di fatto e quanto percepito a titolo di CIGS nei periodi di sospensione.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, diversamente dal primo giudice, illegittimamente attivata la CIGS per l’assoluta genericità della comunicazione di avvio e la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori interessati di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7, illegittimità non sanabile per l’adesione dello stesso interessato nel suo ruolo di componente della RSU, derivandone la fondatezza della pretesa azionata, da qualificarsi come avente natura risarcitoria, soggetta pertanto a prescrizione, non quinquennale, come preteso dalla Società, ma decennale nella specie, quindi, non decorsa e quantificata con riferimento all’integrale differenza tra la normale retribuzione e quanto percepito a titolo di CIGS.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, il D..

La ricorrente ha poi presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione di altro accordo collettivo concernente la collocazione in CIGS del personale stipulato tra la stessa Società e la RSU in data 7.10.2009 anteriore e non posteriore come ritenuto, dalla Corte medesima, alla disposta sospensione intervenuta il 12.10.2009.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 12 preleggi, comma 1, art. 1399 c.c., art. 100 c.p.c., artt. 1337,1138 e 1227 c.c., lamenta l’incongruità logica e giuridica del pronunciamento della Corte territoriale che prescinde dalla valorizzazione, ai fini della valutazione della pretesa risarcitoria del D., dell’acquiescenza da questi prestata quale componente della delegazione sindacale coinvolta nella trattativa, anche in virtù di successiva ratifica per “facta concludentia” alle intese raggiunte sulla CIGS e sui distacchi conseguenti;

Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e artt. 1362 e 1363 c.c., imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole di interpretazione dei contratti con riguardo alla valutazione in termini di genericità del contenuto dell’accordo con specifico riferimento ai criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS non ammettendo la situazione in cui versava l’azienda alcuna selezione all’interno del personale dipendente. Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 1 e 2, L. n. 164 del 1975, art. 5 e del D.M. n. 18 del 2000, è prospettata a fronte del disconoscimento dell’efficacia sanante delle eventuali carenze formali della comunicazione iniziale dell’accordo del 7.10.2009.

Con il quinto motivo la Società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 164 del 1975, art. 5,L. n. 451 del 1994, art. 1, comma 3, D.M. n. 31826 del 2002 e L. n. 223 del 1991, artt. 1 e 2, deducendo, in relazione al pronunciamento, sia pur meramente incidentale, della Corte territoriale circa l’insussistenza nella specie della causa integrabile, essere tale valutazione riservata agli organi amministrativi e, pertanto, sottratta al sindacato giudiziale.

Con il sesto motivo, posto sotto la seguente rubrica “Violazione e falsa applicazione di norma di diritto(art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione dell’art. 2948 c.c. e art. 112 c.p.c.”, la Società ricorrente deduce la non conformità a diritto dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla natura risarcitoria della pretesa azionata dal ricorrente fondata sull’art. 1218 c.c., che tale rimedio prevede a fronte dell’illecito contrattuale e all’assoggettamento della stessa alla prescrizione ordinaria decennale sostenendo, al contrario, che la pretesa si risolveva nella richiesta di pagamento di una somma a titolo di differenze retributive.

Venendo all’esame dei formulati motivi è a dirsi come il primo, il secondo ed il quarto motivo, da considerarsi, in quanto tutti volti ad affermare l’irrilevanza della valutazione operata dalla Corte territoriale in termini di illegittimità della comunicazione di avvio della procedura per la collocazione in CIGS del personale per effetto dell’efficacia sanante di pattuizioni collettive intervenute tanto prima che dopo la sospensione dei lavoratori e, comunque, dell’acquiescenza del lavoratore interessato, strettamente connessi e pertanto suscettibili di trattazione congiunta, si rivelano infondati: Ciò, quanto al primo profilo, alla luce dell’orientamento invalso nella giurisprudenza di questa Corte con riguardo al medesimo contenzioso sviluppatosi sulla base di censure del tutto sovrapponibili, secondo cui “l’esclusione dell’effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate con l’avvio della sospensione, costituiva solo una delle ragioni di negazione dell’efficacia sanante dell’accordo” (cfr., da ultimo, Cass., 10.3.2020, n. 6761 e Cass. 15.4.2019, n. 10483), la principale dovendo piuttosto essere ricercata nella sua non esaustività in ordine alle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, giacchè solo ove l’accordo fosse pienamente esaustivo sarebbe inutile formalismo imporre al datore di comunicare alle OO.SS. quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (cfr. Cass. 12.12.2011, n. 26587) non potendosi riconoscere efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta ove la comunicazione sia strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali (cfr. Cass. 18.11.2015, n. 23622 e Cass. 11,3,2015, n. 4886), lettura sulla quale nessun effetto può indurre il successivo riconoscimento di tale efficacia sanante da parte della L. n. 92 del 2012 e che legittima l’assorbimento della censura sollevata con riguardo all’art. 112 c.p.c., circa l’omessa pronunzia in ordine all’incidenza degli accordi sopravvenuti sulla comunicazione aziendale di avvio della procedura, quanto al secondo profilo, dovendosi ritenere l’implicito rigetto dell’eccezione relativa alla pretesa acquiescenza del lavoratore effettivamente irrilevante rispetto alla sancita illegittimità della procedura.

Parimenti infondato risulta il terzo motivo dovendo ritenersi congrua, alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 22540/2013 e Cass. n. 25100/2013 e già Cass. n. 7720/2004) secondo cui “la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri. Infatti un criterio di scelta generico non è effettivamente tale me esprime soltanto un generico indirizzo nella scelta”, la valutazione della Corte territoriale per cui la semplice menzione delle “esigenze tecniche organizzative e produttive, tenendo conto delle esigenze professionali e funzionali che si manifesteranno nel periodo sopra considerato” si configura quale criterio del tutto generico e indeterminato, che non consente la preventiva conoscibilità dei fattori che in concreto determineranno la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro, in una situazione in cui è altrettanto genericamente indicato il numero di coloro che avrebbero subito la sospensione, risultando il riferimento al numero corrispondente all’organico aziendale complessivo come mera ipotesi limite, secondo quanto si ammette nello stesso ricorso, ove, riprendendo un passo della motivazione del primo giudice, si afferma che “…la scelta di chi sospendere doveva necessariamente essere basata sulle richieste di mercato”.

Inammissibile, di contro, va ritenuto il quinto non essendo la decisione fondata sulla ritenuta insussistenza della causa integrabile bensì sulla genericità della comunicazione di avvio.

Nuovamente infondato è il sesto motivo alla luce del consolidato orientamento accolto da questa Corte secondo cui la violazione dei criteri, stabiliti in sede di contrattazione collettiva, per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione comporta, per il lavoratore ingiustificatamente sospeso non il diritto alla riammissione in servizio, versandosi in tema di facere infungibile fuori della sfera di operatività della L. n. 300 del 1970, art. 18, ma solo il diritto al risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla differenza tra le retribuzioni spettanti nel periodo di ingiustificata sospensione del rapporto ed il trattamento di cassa integrazione corrisposto nello stesso periodo (cfr., da ultimo, Cass. 4.12.2015, n. 24738), derivandone l’assoggettamento del diritto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla prescrizione breve quinquennale, secondo quanto sancito dalla Corte territoriale (cfr. altresì Cass. 15.4.2019, n. 10483 e Cass. 13.12.2010, n. 25139).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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