Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10370 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. I, 01/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 01/06/2020), n.10370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29/2019 proposto da:

A.M.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Luigi Migliaccio, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2293/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino pakistano A.M.B. avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli recante il diniego di tutte le forme di protezione internazionale e umanitaria richieste.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a cinque motivi, corredato da memoria. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 112 c.p.c.” per avere la corte d’appello “erroneamente dichiarato inammissibile (per genericità del gravame) la domanda volta al riconoscimento di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 de 2007, art. 14, lett. “b””.

3.1. La censura è infondata, poichè – alla luce dei motivi di appello trascritti dallo stesso ricorrente a pag. 8 del ricorso – risulta condivisibile il giudizio formulato a pag. 3 della sentenza impugnata, nel senso che “con l’atto di appello la difesa (..) non ha speso alcun argomento per sostenere la credibilità del racconto del richiedente reiterando senza motivazione la richiesta di protezione ex art. 14, lett. b)”, risultando perciò “l’appello sul punto (..) carente di un motivo specifico di impugnazione, a nulla valendo che la difesa solo con la comparsa conclusionale abbia per la prima volta introdotto il tema del delitto di onore, che in ogni caso avrebbe richiesto la credibilità del racconto”.

4. Con il secondo mezzo si censura la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5; nonchè degli artt. 127,184,190, 342 e 702 quater c.p.c.”, per non avere la corte d’appello correttamente attivato i poteri di indagine nonostante le apposite richieste istruttorie: in particolare, quella di esame diretto dell’appellante”, essendo la motivazione del tribunale fondata sulla “inverosimiglianza” della vicenda narrata dal richiedente (cioè l'”essere stato vittima di violenze e minacce conseguenti ad una relazione d’amore con una donna osteggiata dai familiari della stessa”).

4.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di decisività, in quanto la relativa censura resta assorbita dal rigetto del motivo precedente in punto di declaratoria di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, la quale costituisce autonoma ratio decidendi idonea a sorreggere la decisione a prescindere dalle ulteriori argomentazioni svolte dal giudice a quo.

4.2. Vale la pena comunque di ricordare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la valutazione di attendibilità è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti – qui non osservati – del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile ratione temporis, dunque per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero per motivazione assolutamente mancante, o apparente, o perplessa e obiettivamente incomprensibile – ipotesi queste che non ricorrono nel caso di specie – restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente medesimo (Cass. 5114/2020, 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018).

4.3. Anche la doglianza relativa al mancato rinnovo dell’audizione del richiedente in sede di appello va respinta alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui all’obbligo di fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare una ulteriore audizione del ricorrente, ove la domanda di protezione risulti manifestamente infondata (ex multis, Cass. 3862/2020, 5973/2019, 3029/2019, 17717/2018), come del resto già chiarito dalla CGUE, nel senso che “la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva” (Corte giust., 26/07/12017, Moussa Sacko, in causa C-348/16).

4.4. In ogni caso, la doglianza suddetta appare generica ed esplorativa, perchè non indica le circostanze che avrebbero potuto essere illustrate in sede di (ulteriore) audizione (Cass. 1782/2020).

5. Il terzo motivo prospetta l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e relativo al rischio di danno grave rilevante ai fini del riconoscimento di protezione sussidiaria nell’ipotesi indicata del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”, ossia la provenienza del ricorrente dal (OMISSIS), nel distretto di (OMISSIS) e non da (OMISSIS), distretto di (OMISSIS), come era evincibile dal suo passaporto.

5.1. Anche tale censura rimane assorbita dal rigetto del primo motivo afferente la domanda di protezione sussidiaria. In ogni caso le COI (Country of Origin Information) valutate dalla corte d’appello consistono in plurime fonti qualificate e aggiornate, dettagliatamente illustrate a pay. 4-7 della sentenza impugnata, con riguardo a tutti i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), ivi compreso il trattamento giuridico del cd. delitto d’onore.

6. Analogo vizio motivazionale viene denunziato con il quarto motivo, in tema però di protezione umanitaria, con riguardo alle circostanze allegate ai fini della integrazione raggiunta dal ricorrente in Italia (da sottoporre a valutazione comparativa) e del “rilevante lasso di tempo trascorso in Libia”.

7. Sempre in tema di protezione umanitaria, il quinto mezzo denunzia la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 6, comma 2, art. 8, commi 1 e 2, nonchè degli artt. 2, 3 e 5 Cedu, artt. 3, 9 e 14, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, poichè la corte d’appello si sarebbe limitata a rigettare la domanda di protezione umanitaria sulla base degli stessi elementi utilizzati per respingere quella sussidiaria, senza valutare le ulteriori circostanze allegate dal richiedente.

7. I motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.

7.1. Innanzitutto la censura motivazionale è inammissibile in quanto non rispetta il paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), qui non rispettati, non risultando assolto l’onere del ricorrente di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

7.2. In ogni caso, ai fini della protezione umanitaria “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020) e al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, pur ribadendo che “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, tuttavia hanno precisato che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

7.3. Orbene, ai fini di una simile verifica – effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi – risulta “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

7.4. Infine, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte per cui il fatto che in un paese di transito – nella specie, la Libia – si sia consumata una violazione dei diritti umani, non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018); pertanto, le eventuali violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, solo se debitamente allegate e potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), purchè in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019), che nella specie non risultano allegate.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza necessità di alcuna statuizione sulle spese processuali, in assenza di difese dell’intimato.

9. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (Cass. Sez. U., 23535/2019).

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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