Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10369 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. I, 01/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 01/06/2020), n.10369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28/2019 proposto da:

K.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Luigi Migliaccio, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2843/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino pakistano K.A. avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli recante il diniego di tutte le forme di protezione internazionale e umanitaria richieste.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a due motivi, corredato da memoria. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1. Con il primo motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, comma 3, artt. 4 e 5, art. 8, comma 1, lett. e), art. 14, lett. b) e c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3” poichè, con riguardo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, la corte d’appello non avrebbe attivato alcuno dei propri poteri d’indagine, nonostante le richieste istruttorie appositamente avanzate, basandosi solo su un “rapporto Easo Coi 2017” inidoneo a integrare le “informazioni precise e aggiornate” previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; inoltre, la valutazione di non credibilità del richiedente sarebbe stata effettuata in modo frazionato e “puntando i riflettori su piccole incongruenze e imprecisioni che, in ogni caso, era tenuta a vagliare attraverso lo strumento dell’esame diretto, per il quale il ricorrente aveva insistito in atto di appello”.

3.2. Con il secondo mezzo si lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè degli artt. 2, 3, 5 e 6 CEDU, artt. 3, 10, 11 e 14 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, poichè, con riguardo alla protezione umanitaria la corte d’appello non avrebbe verificato l’esistenza, in Pakistan (e, segnatamente, nell’Azad Kashmir) di “violazioni sistematiche e gravi di diritti umani””, in relazione al “rischio di tortura in carcere (per l’accusa di vendita di prodotti pornografici: circostanza questa non messa in discussione dalla Corte), nonchè per mano degli agenti persecutori denunciati”.

4. Tutte le censure formulate non meritano accoglimento.

5. In primo luogo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto non solo ad allegare i fatti costitutivi del diritto, ma anche a fornirne la prova, a meno che ciò risulti impossibile; pertanto, solo a fronte di un’esaustiva allegazione il principio dispositivo può trovare deroga, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e l’adozione del criterio di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare; sempre che costui, oltre ad essersi attivato tempestivamente per la proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva, condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (ex plurimis, da ultimo Cass. 6936/2020, 15794/2019).

5.1. La valutazione di affidabilità del dichiarante è invero il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati nell’art. 3 del D.Lgs. cit., nonchè dei criteri generali di ordine presuntivo idonei a consentire la valutazione giudiziale della veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019). In particolare, la norma suddetta impone al giudice di sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non solo a un controllo di coerenza – intrinseca (con riguardo al racconto) ed estrinseca (con riguardo alle informazioni generali e specifiche di cui si dispone) – ma anche a una verifica di plausibilità (con riguardo alla logicità e razionalità delle dichiarazioni) della vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019), stabilendo tra l’altro che, “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: (…) c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; (…) e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

5.2. Nel caso in esame, la corte territoriale ha confermato il giudizio del tribunale di non credibilità della narrazione del richiedente, sulla base dei rilievi esplicitati a pag. 5 e 6 della sentenza impugnata, mediante una valutazione di attendibilità che per giurisprudenza costante di questa Corte è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti – qui non osservati – del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile ratione temporis, dunque per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero per motivazione assolutamente mancante, o apparente, o perplessa e obiettivamente incomprensibile – ipotesi queste che non ricorrono nel caso di specie – restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente medesimo (ex multis, Cass. 5114/2020, 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018).

6. Proprio in ragione della ritenuta inattendibilità del racconto del ricorrente, i giudici d’appello hanno escluso “il paventato rischio di trattamento “inumano e degradante”” ex art. 14, lett. b), D.Lgs., precisando che la presunta minaccia proverrebbe non già “dalla autorità di governo (formale e sostanziale) del paese, ma invece da un gruppo che si sostiene volersi porre in competizione con quella autorità, cui l’appellante, perciò potrebbe e dovrebbe utilmente rivolgersi per ottenere protezione” – e quindi accertato in concreto l’insussistenza, nel paese di origine del ricorrente (Pakistan) dell’ipotesi di “violenza indiscriminata” di cui alla successiva lett. c), sulla base di fonti (rapporto Amnesty International 2016/2017; rapporto EASO 2017) che sicuramente costituiscono COI (Country of Origin Information) qualificate e più aggiornate di quelle allegate dallo stesso appellante (v. pag. 6 del ricorso).

6.1. In proposito si rammenta che, per consolidato indirizzo di questa Corte (ex multis Cass. 8908/2019, 284/2019, 13858/2018, 32064/2018), il D.Lgs. n. 251 de 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretato in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (art. 9 e art. 15, lett. c), direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE) e in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia, la quale ha precisato che “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (Corte giust., 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30). La stessa Corte giust. (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36) ha altresì chiarito che, di norma, i rischi cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese non costituiscono ex sè una minaccia individuale definibile come “danno grave” (direttiva n. 2011/95/UE, Cons. 26).

6.2. Deve quindi concludersi che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, postula – ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” derivante da quella violenza. Circostanze, queste, che sono state escluse dalla corte territoriale sulla base di una valutazione non sindacabile in questa sede, se non per il tramite di una censura motivazionale conforme al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel caso di specie nemmeno prospettata.

7. Quanto poi alla doglianza veicolata dal secondo motivo, in tema di protezione umanitaria, si osserva che essa fa riferimento ad uno specifico “rischio di tortura in carcere (per l’accusa di vendita di prodotti pornografici)” che, sulla base degli atti di causa, non risulta dedotto in precedenza, tanto che la stessa sentenza impugnata non ve ne fa cenno, incentrando la motivazione sul disconoscimento della tutela umanitaria su altri aspetti, ivi comprese le caratteristiche dell’allegato inserimento sociale del ricorrente in Italia.

7.1. Sul punto merita comunque ricordare che per il conseguimento della cd. protezione umanitaria “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019 e, da ultimo, Cass. 1040/2020), avendo da ultimo le Sezioni Unite di questa Corte confermato (in linea con Cass. 4455/2018) come “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, precisando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; conf., da ultimo, Cass. 630/2020). Ai fini di una simile verifica effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi – risulta “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

8. Infine, la doglianza relativa al mancato rinnovo dell’audizione del richiedente in sede di appello va respinta alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui all’obbligo di fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare una ulteriore audizione del ricorrente, ove la domanda di protezione risulti manifestamente infondata (ex multis, Cass. 3862/2020, 5973/2019, 3029/2019, 17717/2018), come del resto già chiarito dalla CGUE, nel senso che “la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva” (Corte giust., 26/07/12017, Moussa Sacko, in causa C-348/16).

8.1. In ogni caso, la doglianza appare generica ed esplorativa, perchè non indica le circostanze che avrebbero potuto essere illustrate in sede di ulteriore audizione (Cass. 1782/2020).

9. Segue il rigetto del ricorso senza pronuncia sulle spese, in assenza di difese dell’intimato.

10. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (Cass. Sez. U, 23535/2019).

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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