Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10368 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. II, 20/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 20/04/2021), n.10368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 22574/17) proposto da:

BIESSE S.R.L., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Alessandro

Dall’Igna, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del

Presidente pro tempore, rappresentato e difeso “ex lege”

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso i suoi

Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 2554/2016 (emessa ai

sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., in data 8 novembre 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 gennaio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, la Biesse s.r.l., in persona della legale rappresentante F.F., socia unica della società cancellata dal registro delle imprese Itel srl in liquidazione, proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 204 del Registro dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, datata 18 aprile 2013, con la quale le era stato ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 102.000,00, in ordine alla violazione prevista dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 161, art. 161 (c.d. Codice della privacy) per aver “effettuato un trattamento di dati personali, per mezzo della sottoscrizione di schede telefoniche all’insaputa degli interessati (e specificamente di 17 persone), omettendo di rendere l’informativa, in violazione del Codice della privacy”.

Nella costituzione dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, l’adito Tribunale rigettava nel merito l’opposizione ma rideterminando l’entità della sanzione in Euro 65.475,00 per le ragioni esposte in parte motiva (ovvero con la riduzione applicata ai sensi dell’art. 2495 c.c., entro i limiti delle somme riscosse dalla società Biesse, a seguito della cancellazione della società Itel s.r.l., per come rimaste accertate all’esito del giudizio), compensando integralmente tra le parti le spese processuali.

A fondamento dell’adottata decisione il Tribunale vicentino respingeva il motivo riguardante l’asserito difetto di legittimazione passiva dell’opponente, considerava insussistente l’addotta vincolatività degli esiti scaturiti dalla concomitante indagine penale instaurata sui fatti oggetto della contestazione e rilevava l’infondatezza nel merito del ricorso, pur riducendo la sanzione nei limiti prima indicati e per le spiegate ragioni.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione (ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10), riferito a quattro motivi, la Biesse s.r.l., resistito con controricorso dal Garante per la protezione dei dati personali.

La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2729 c.c., sostenendo l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui, pur essendo stato archiviato il procedimento penale relativo ai medesimi fatti, aveva ritenuto di fondare il giudizio di responsabilità in ambito sanzionatorio amministrativo sulla scorta di sommarie informazioni acquisite dall’autorità giudiziaria in un altro procedimento, senza consentire ad essa ricorrente – in violazione del principio del contraddittorio – di escutere tutti i testi necessari per il pieno accertamento della vicenda posta a base dell’opposta ordinanza-ingiunzione.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, in relazione all’art. 113 c.p.c..

A sostegno di tale doglianza la ricorrente ha sostenuto che, malgrado l’autorità Garante le avesse contestato l’intestazione fittizia di plurime schede telefoniche a soggetti ignari, ritenendo così violata l’informativa sulla privacy in occasione dell’emissione di ogni singola sim card, non era stato tenuto conto che, in base alle risultanze giudiziali, i soggetti interessati avevano attivato regolarmente e consapevolmente almeno una scheda telefonica e che in quell’occasione erano già stati informati sulla normativa della privacy, così contestando che si fosse potuta configurare la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, sul presupposto che, in applicazione di detta norma, non fosse necessario rendere l’informativa sulla privacy al medesimo cliente per operazioni (nella fattispecie, di intestazioni di schede telefoniche) successive alla prima.

3. Con il terzo mezzo la ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio dell’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti consistenti nelle testimonianze rese dai testi B.S., Be.Pa. e S.G., dalle quali si sarebbe potuto desumere che l’informativa sulla privacy era stata correttamente resa.

4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 193 del 2003, art. 161, in relazione della L. n. 689 del 1981, artt. 8 e 10, per non aver il Tribunale di Vicenza ravvisato, con l’impugnata sentenza, che nel caso di specie i contestati fatti avrebbero potuto essere ricondotti ad un’unica azione, dovendosi considerare che essa era consistita in un’operazione telematica eseguita su un software della Telecom e per effettuare la quale sarebbe bastato inserire, in un unico contesto, una pluralità di nominativi ai quali associare sim cards.

5. Rilevata, innanzitutto, l’ammissibilità del ricorso immediato in cassazione in virtù della prevista inappellabilità della sentenza di primo grado ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, comma 10, ritiene il collegio che il primo motivo è infondato.

Va, infatti, osservato che il fatto posto a fondamento dell’esercizio della potestà sanzionatoria amministrativa concretatosi con l’emissione dell’opposta ordinanza-ingiunzione, ancorchè rilevante anche sotto il profilo penale, è stato correttamente ritenuto dal Tribunale vicentino conducente anche alla configurazione, in via autonoma, della specifica violazione prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 161, senza potersi ritenere sussistente una ipotesi di connessione rilevante ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24, al fine di radicare la competenza del giudice penale nell’accertamento della responsabilità per l’infrazione amministrativa (cfr., proprio con riferimento all’illecito trattamento di dati personali, Cass. n. 5341/2018).

Nel caso in esame, con la sentenza impugnata è stato, in particolare, accertato che, ancorchè l’intestazione illecita di schede telefoniche a soggetti inconsapevoli potesse integrare gli estremi di reato, la correlata condotta di aver omesso di rendere a detti soggetti l’informativa prescritta dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, era comunque idonea a concretare l’illecito amministrativo contestato alla ricorrente e ritenuto sussistente sulla base delle stesse dichiarazione rese dai medesimi soggetti interessati oltre che delle emergenze delle indagini penali, i cui documenti accertativi erano stati legittimamente utilizzati come prove atipiche nel giudizio civile, pacificamente ammissibili (senza che si configuri alcuna violazione del principio del contraddittorio), ritenendo, nell’esercizio del potere generale selettivo conferito al giudice di merito, di escludere la rilevanza o la non decisività di altri mezzi istruttori dedotti dall’opponente.

Al riguardo basta richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass. n. 17392/2015 e Cass. n. 1593/2017) secondo cui nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, sicchè il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che ne derivi la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio. Da ciò ne consegue che il giudice civile è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (cfr., da ultimo, Cass. n. 18025/2019).

6. Il secondo motivo è altrettanto infondato e va respinto.

In disparte il profilo che con la proposta censura, oltre a non essere stato richiamato il contenuto dell’atto di opposizione in cui sarebbe stata posta la specifica questione (che, invero, non risulta appositamente esaminata nell’impugnata sentenza, laddove, invece, si attesta che gli interessati avevano confermato che tutte e 17 le schede erano state ad essi intestate a loro insaputa) e a risolversi nella inammissibile richiesta di rivalutazione di deposizioni testimoniali, essa non coglie comunque nel segno.

Infatti, se – come prospettato dalla ricorrente – fosse stato sufficiente dare una sola informativa sulla privacy al momento del rilascio della prima scheda al fine di legittimare il trattamento dei dati anche per una serie indefinita di schede telefoniche successive, la finalità dell’informativa stessa tutelata dal D.Lgs. n. 196 del 2003, risulterebbe aggirabile e, quindi, vanificata, posto che in ogni occasione (di intestazione di una scheda) deve ritenersi configurabile un trattamento di dati nuovo, del quale ciascun interessato deve essere portato necessariamente a conoscenza.

7. Il terzo motivo è inammissibile poichè con esso, sotto la formale prospettazione di un vizio ricondotto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente tende a sollecitare la rivalutazione di testimonianze e a recuperare le deposizioni di altri indicati testimoni, motivatamente ritenute non necessarie o, comunque, utili da parte del Tribunale al fine di poter pervenire ad una eventuale soluzione contraria della formulata opposizione.

E’ pacifico, infatti, il principio alla stregua del quale, in tema di giudizio civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento e di quelle considerate superflue (v. Cass. n. 13054/2014 e Cass. n. 21187/2019).

8. Il quarto ed ultimo motivo è anch’esso destituito di fondamento poichè con l’impugnata sentenza è stato correttamente applicato il criterio del cumulo materiale ai fini della valutazione sulla quantificazione della sanzione in materia amministrativa, posto che le condotte illecite (consistite, ognuna, nell’utilizzazione di dati all’insaputa di singoli soggetti, omettendo di rendere le corrispondenti informative sulla privacy) sono risultate compiute con distinte azioni riguardanti diversi destinatari, ognuna delle quali integrante una differente violazione amministrativa (ancorchè della stessa natura e tipologia). Al riguardo si evidenzia come sia incontroverso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 10775/2017) il principio in base al quale, in tema di sanzioni amministrative, la L. n. 689 del 1981, art. 8, nel prevedere l’applicabilità dell’istituto del cd. “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate – ipotesi di violazioni plurime, ma commesse con un’unica azione od omissione -, non è legittimamente invocabile con riferimento al concorso materiale tra violazioni commesse con più azioni od omissioni; nè è ammissibile l’applicazione analogica della disciplina della continuazione ex art. 81 c.p., sia perchè il citato art. 8, contempla espressamente detta possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza, sia perchè la differenza morfologica tra reato penale ed illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano estese alla materia degli illeciti amministrativi.

Allo stesso modo il Tribunale vicentino ha ritenuto, altrettanto correttamente, che, essendo stata accertata l’effettuazione di 17 trattamenti illeciti di dati personali, per ciascuna delle violazioni il Garante aveva legittimamente determinato l’ammontare della sanzione nel doppio del minimo previsto dal D.Lgs. n. 193 del 2006, art. 161, così risultando rispettato il limite generale imposto dalla L. n. 689 del 1981, art. 10.

9. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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