Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10367 del 11/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 11/05/2011), n.10367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

SETEPET srl;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 194/29/06, depositata l’11 ottobre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 novembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 194/29/06, depositata l’11 ottobre 2007, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Taranto, nel giudizio introdotto dalla srl SETEPET con l’impugnazione della cartella esattoriale, notificata il 19 aprile 1997, emessa a seguito dell’avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1991, divenuto definitivo il 17 aprile 1995 per mancata impugnazione, ha dichiarato la decadenza dell’amministrazione dalla pretesa fiscale per essere avvenuta l’iscrizione a ruolo oltre il termine, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17, comma 3, del 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo: ciò escludendo l’interpretazione restrittiva della disposizione che porti all’esclusione dell’IVA dagli effetti sanzionatori previsti, interpretazione sostenuta dall’ufficio, ed escludendo altresì la riferibilità di quanto previsto dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 23, alla fattispecie, perchè posta fuori dall’ordine temporale riconducibile a quella disciplina.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Il ricorso contiene due motivi, rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia motivazione apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non aver illustrato le ragioni giuridiche dell’interpretazione estensiva del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17; con il secondo motivo censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge, assumendo che, ai fini della riscossione dell’imposta sul valore aggiunto, debba applicarsi, sino alla data del 30 giugno 1999, il generale termine decennale di prescrizione previsto dall’art. 2946 cod. civ., non essendo previsto uno specifico termine di decadenza, e non essendo applicabile anche all’IVA il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 3.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nel quadro della nuova disciplina della riscossione dei tributi introdotta dal D.P.R. n. 43 del 1988, il disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17, comma 3 – secondo cui le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all’Intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo – si applica anche alle imposte diverse da quelle sul reddito e quindi anche in materia di IVA. Tale principio è applicabile anche dopo l’intervento del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 23, che ha circoscritto all’Iva ed ai tributi diretti quella modalità di riscossione che il citato D.P.R. n. 43 del 1988, art. 67, aveva esteso anche alle altre imposte indirette in esso menzionate. La decadenza di cui al menzionato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, inoltre, ricomprendeva necessariamente anche gli interessi, le soprattasse e le pene pecuniarie, perchè, a norma del precedente art. 14, anch’esse facevano parte del carico da iscrivere a titolo definitivo (Cass. n. 5253 del 2007, n. 217 del 2009, n. 6256 del 2003).

Si ritiene pertanto che, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., comma 1, e art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere rigettato;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2011

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