Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10366 del 29/04/2010

Cassazione civile sez. II, 29/04/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 29/04/2010), n.10366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5432/2007 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore e

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI LIVORNO in persona

del Prefetto pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrenti –

contro

B.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 511/2005 del GIUDICE DI PACE di CECINA del

14.11.05, depositata il 19/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il giudice di pace di Cecina con sentenza del 19 dicembre 2005 accoglieva l’opposizione proposta da B.T. avverso il Ministero dell’Interno per l’annullamento del verbale di contestazione n. (OMISSIS) relativo a violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 9 (eccesso di velocità). Riteneva giustificato da forza maggiore il comportamento dell’opponente, indotta all’eccesso di velocità per recarsi a recuperare la propria bambina piccola presso una famiglia “estranea” ove aveva dovuto lasciarla per recarsi a sostenere un colloquio di lavoro.

Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Livorno hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 7 febbraio 2007, lamentando violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 4 e 23; art. 142C.d.S., comma 9, art. 45 c.p. e art. 2045 c.c., deducendo che erroneamente la fattispecie era stata sussunta nell’ipotesi di forza maggiore. L’opponente è rimasta intimata.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perchè manifestamente fondato. Osserva il Collegio che l’esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da “stato di necessità”, secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 4, postula, in applicazione degli artt. 54 e 59 cod. pen., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea persuasione (rilevante ex art. 3) di trovarsi in tale situazione, persuasione non colpevole in quanto provocata da circostanze oggettive (Cass. n. 287/05). E’ pertanto necessario che l’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità da parte del trasgressore – per concretizzarsi in un errore sul fatto, non punibile a norma dell’art. 3 capoverso della L. 24 novembre 1981, n. 689 – sia incolpevole (Cass. 537/00).

Nel caso di specie la sentenza contraddice i principi di diritto testè ricordati, atteso che dalla stessa narrativa emerge, come evidenziato in ricorso, che la ricorrente aveva ritenuto di “fare il più presto possibile” per soddisfare l’esigenza di rivedere al più presto la figlia, che non correva alcun pericolo, e così porre fine alle proprie ansie.

Orbene, a fronte di questa situazione di fatto, che descriveva una mera esigenza personale e soggettiva della ricorrente, conseguente a una situazione deliberatamente da lei creata, l’affermazione dell’esistenza di un’esimente putativa, per avere creduto nella configurabilità di uno stato di necessità, urta con i principi giuridici testè riportati. Invero la affermazione dello stato di necessità presuppone, ex art. 54 c.p., che l’autore del fatto vi sia stato “costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile”. Il richiamo è d’uopo, perchè in tema di sanzioni amministrative, ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità, previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, occorre, in mancanza di ulteriori precisazioni, fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale (Cass. 5877/04). Opportunamente va ricordato come la nozione di stato di necessità desumibile dal codice penale sia stata del tutto trascurata dalla sentenza impugnata, che si è concentrata sull’assenza di elemento soggettivo della violazione, puntando a dimostrare, L. n. 689 del 1981, ex art. 3, che l’agente aveva commesso la violazione senza coscienza e volontà dell’azione.

Ora, senza tralasciare la assenza di motivazione in ordine all’incolpevolezza dell’errore, emerge prima ancora il travisamento della nozione di stato di necessità. Il bisogno di superare uno “stato d’animo” di ansia non può infatti essere equiparato alla necessità di salvare sè o una persona da un danno grave su di essa incombente. Sono in risalto due diversi interessi: l’uno, contemplato dalla norma, è quello di proteggere la persona in pericolo, che il trasgressore intende salvare.

L’altro, quello considerato dal giudicante, è la sofferenza psicologica del trasgressore per una propria teorica possibile avventatezza. La confusione tra i due piani è evidente e non può essere risolta dall’errore sul fatto, rilevante ex art. 3.

Quest’ultima ipotesi avrebbe dovuto concernere, per essere rilevante, i fatti costitutivi della vicenda, come la gravità dello stato di salute di una persona e l’indispensabilità dell’uso della vettura per porre riparo al pericolo; l’agente avrebbe dovuto supporre di trovarsi in una situazione concreta che, se realmente esistente, avrebbe integrato l’esimente (Cass. 756/90). L’errore sul fatto che esime da responsabilità è infatti quello che cade su un elemento materiale della violazione amministrativa e deve consistere in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo determinando l’agente alla condotta (Cass. 536/2000).

Nella sentenza impugnata questa ipotesi non viene neanche prospettata. Viene invece sussunta quale ipotesi di stato di necessità – erroneamente considerata – un’esigenza personale del trasgressore, del tutto estranea, anche astrattamente, alla fattispecie dello stato di necessità. In questo caso il convincimento di trovarsi in stato di necessità non dipende da errore sul fatto, che scrimina la condotta del trasgressore, ma da un errore sulla portata della norma. Tuttavia la sentenza non ipotizza una situazione di inevitabile ignoranza del precetto da parte dell’autore dell’illecito, secondo il principio enunciato in materia penale dalla sentenza costituzionale n. 364 del 1988, applicabile anche alla materia dell’illecito amministrativo (Cass. 243/99;

5615/03), poichè non prospetta la presenza degli elementi che sono alla base di questa (Cass. 11012/06; 10477/06; 20776/04; 11253/04).

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

Si fa luogo, con decisione di merito ex art. 384 c.p.c., al rigetto dell’originaria opposizione, giacchè non constano altri motivi di opposizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione originaria. Condanna parte intimata alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 400,00 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

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