Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10361 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10361 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 3526-2008 proposto da:
CAPANNELLI

ANTONELLA

C.F.

CPNNNL62M70E256Z,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato CENTOFANTI SIRO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
740

contro

CERERIA ARTIGIANA UMBRA DI FILIPPETTI & SALDI S.N.C.
P.I. 00148230543, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

Data pubblicazione: 13/05/2014

RODI 32, presso lo studio dell’avvocato CHIOCCI
MARTINO UMBERTO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CODOVINI PAOLO MARIA, giusta
delega in atti;
– controricorrente

di PERUGIA, depositata il 05/11/2007 R.G.N. 426/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato CENTOFANTI SIRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 566/2007 della CORTE D’APPELLO

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
Pubblica udienza del 27 febbraio 2014
n. 22 del ruolo – R.G. n. 3526/2008
Presidente Lamorgese – Relatore Amendola

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da Capannelli
Antonella, condannava la Cereria Artigiana Umbra di Filippetti e Saldi s.n.c.
al pagamento di spettanze retributive in relazione ad un rapporto di lavoro
subordinato intercorso tra le parti dal 1978 al 1995.
La Corte territoriale, riformando in parte la pronuncia di primo grado
che aveva integralmento respinto la domanda, riconosceva alla lavoratrice,
sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, differenze retributive pari ad
euro 1.473,36 (maturate nel periodo successivo al 31 maggio 1991) nonché
euro 1.903,59 a titolo di TFR, oltre accessori.
2.— Il ricorso di Antonella Capannelli ha domandato la cassazione della
sentenza per due motivi, conclusi da quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.
nel testo pro tempore vigente. Ha resistito con controricorso la società. Sono
state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.— Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 36 Cost., dell’art. 2099 c.c. e degli artt. 112 e 414 c.p.c.
in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, 4 e 5 c.p.c.
Il giudice d’appello avrebbe errato a non applicare l’art. 36 Cost.,
considerando preclusiva la quantificazione dell’importo richiesto dalla
lavoratrice nell’atto introduttivo della lite.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia sempre la violazione degli
artt. 36 Cost. e 2099 c.c. ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c..
Si lamenta che, ove il lavoratore chieda l’adeguamento della retribuzione
ex art. 36 Cost., non può essere di ostacolo a tale verifica la circostanza che

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1.— Con sentenza del 5 novembre 2007 la Corte di Appello di Perugia,

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Sezione lavoro
il datore di lavoro abbia stipulato un accordo interno con i dipendenti, né
può darsi alcuna rilevanza a tale accordo per il fatto di risultare migliorativo
di contratti collettivi risalenti a venti anni prima ed a valori monetari del
tutto diversi.
valutati congiuntamente, non meritano accoglimento.
Essi si radicano su di una inadeguata individuazione della

ratio

decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento del riconoscimento solo
parziale delle pretese della Capannelli.
La Corte d’appello ha innanzitutto interpretato la domanda, con
valutazione riservata al giudice di merito, salvo il controllo di legittimità sulla
correttezza della motivazione che sorregge la decisione impugnata (Cass. n.
15727 del 2013; Cass. n. 7932 del 2012; Cass. n. 15603 del 2006; Cass. n.
16596 del 2005; Cass. n. 12259 del 2002).
Con argomentazione coerente, logica e priva di vizi il giudice distrettuale
ha individuato l’oggetto della domanda, sulla base sia delle espressioni
contenute nel ricorso, facenti riferimento alle “specifiche causali di cui in
narrativa”, sia dei conteggi elaborati in sede sindacale ed allegati all’atto
introduttivo, cui parte attrice ha fatto specifico riferimento e nei quali si
richiedevano, “per l’intero arco del rapporto, le differenze dovute per scatti di
anzianità”, poi le “differenze salariali dall’entrata in vigore del contratto, cioè
dal 31.5.1991”, ed infine il trattamento di fine rapporto.
Rilevato poi che solo per il periodo successivo al 31 maggio 1991 il
rapporto era stato disciplinato dal CCNL per i dipendenti delle imprese
artigiane del settore, ha constatato che, per il periodo antecedente, in base
ad un accordo “tra le maestranze e la società”, il trattamento economico era
stato uniformato al CCNL delle imprese artigiane, cui erano state apportate
alcune “modifiche migliorative”.
Anche in ragione “delle migliorie apportate al trattamento economico” la
Corte distrettuale ha ritenuto “che non vi sia motivo per ritenere che vi sia

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2.- I mezzi di gravame, che per la loro connessione possono essere

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Sezione lavoro
contrasto fra le somme erogate e la giusta retribuzione ex art. 36 Cost.”.
Non corrisponde dunque al vero che il giudice di merito, nella specie, si
sia precluso il controllo di adeguatezza della retribuzione imposto dal
parametro costituzionale.
applicabilità diretta di contratti collettivi che determinino la retribuzione e i
relativi compensi aggiuntivi del lavoratore, sia affidato al potere del giudice di
merito di quantificare di propria iniziativa la misura di tale compenso, con
apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n.
11624 del 2004, n. 27591 del 2005; n. 24092 del 2009).
Ne consegue quale principio di diritto che “tale determinazione può
essere impugnata dal lavoratore in cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3, per violazione e/o disapplicazione del criterio giuridico della sufficienza
della retribuzione – volto a garantire la soddisfazione dei bisogni di una
esistenza libera e dignitosa – nonché di quello della proporzionalità – volto a
correlare la stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato,
rimanendo di contro l’apprezzamento in concreto dell’adeguatezza della
retribuzione, riservato al giudice di merito” (Cass. n. 7528 del 2010; in
passato, ex aliis, Cass. n. 3586 del 1985; Cass. n. 4326 del 1983; Cass. n.
1428 del 1981; Cass. n. 1926 del 1979; più di recente: Cass. n. 19578 del
2013 e n. 22064 del 2013).
Si tratta di stima non censurabile sotto il profilo del puro e semplice
mancato ricorso ai parametri rinvenibili nella contrattazione collettiva,
rientrando nel potere discrezionale del giudice fondare la pronuncia, anziché
su di essi, sulla natura e sulle caratteristiche della concreta attività svolta,
su nozioni di comune esperienza e, in difetto di utili elementi, persino su
criteri meramente equitativi (anche a riguardo la giurisprudenza di questa
S.C. è antica e consolidata: v., in passato, Cass. n. 10872 del 1996; n. 2791
del 1987; n. 2193 del 1985; da ultimo: Cass. n. 1415 del 2012).
A maggior ragione, dunque, nella scelta del parametro collettivo rispetto

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Si rammenta che questa Corte ha più volte ribadito come, in difetto di

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al quale effettuare la verifica del rispetto del cd. “minimo costituzionale” il
giudice del merito esercita un potere discrezionale, potendo fare riferimento,
ad esempio, anziché al contratto collettivo nazionale, a quello aziendale, pur
se peggiorativo rispetto al primo e pur se intervenuto in periodo successivo

19467 del 2007; Cass. n. 3218 del 1998).
Sicché inutilmente la ricorrente si duole del fatto che la Corte
distrettuale abbia escluso il “contrasto fra le somme erogate e la giusta
retribuzione ex art. 36 Cost.” adottando come parametro di riferimento il
contratto collettivo delle imprese artigiane, perché tale scelta rientrava nella
facoltà del giudice di merito, che l’ha motivata tenendo conto anche del fatto
che ad esso aveva fatto riferimento “un accordo tra le maestranze e la
società”, apportando altresì “modifiche migliorative”.
Piuttosto parte istante avrebbe dovuto dettagliare le ragioni per le quali,
adottando il suddetto contratto collettivo di riferimento, il giudice di merito
aveva concretamento disapplicato il criterio giuridico della “sufficienza” e
della “proporzionalità” della retribuzione, non limitandosi a lamentare
violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c. e dell’art. 36 Cost., censura
il cui accoglimento incontra l’ostacolo dell’insussistenza, nel nostro
ordinamento, d’un criterio legale di scelta in ipotesi di pluralità di fonti
collettive (Cass. n. 1415 del 2012).
3.— Pertanto il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi
professionali, euro 100,00 per esborsi, oltre accessori.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 febbraio 2014
Il residente

Il Consigl ere estensore

alla conclusione del rapporto di lavoro di cui trattasi (in tal senso Cass. n.

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