Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1036 del 20/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1036 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 29817-2010 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
2999

contro

PIZZI MARIA PIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato
ERNESTO IRACE, che la rappresenta e difende, giusta
procura speciale notarile in atti;

Data pubblicazione: 20/01/2014

;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 7638/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 07/12/2009 r.g.n. 10059/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO

udito l’Avvocato IRACE ERNESTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

VENUTI;

R.G. n. 29817/10
Ud. 23 ott. 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
vincitrice di un concorso per cancelliere bandito dal Ministero della
Giustizia e destinata al Tribunale di Milano, esponeva che in data
24 luglio 2001 aveva presentato le dimissioni per gravi motivi
familiari; che nel mese di settembre dello stesso anno aveva
presentato domanda di riassunzione in servizio; che con contratto
individuale del 5 dicembre 2001 il Ministero aveva disposto la sua
riassunzione a tempo indeterminato a decorrere dal 18 dicembre
2001; che, dopo l’invio di certificazione medica, il 5 gennaio 2002
si era presentata presso l’ufficio del personale, ma non le era stato
consentito di prendere servizio a causa del blocco delle assunzioni
disposto per l’anno 2002 dalla legge finanziaria.
Ciò premesso, la ricorrente, convenendo in giudizio il
Ministero della Giustizia, chiedeva che le venisse riconosciuto il
diritto ad essere riassunta.
Il Tribunale adito rigettava la domanda, ma la Corte
d’Appello di Roma, a seguito di impugnazione della Pizzi, in
accoglimento del gravame, con sentenza depositata il 7 dicembre
2009, dichiarava il diritto dell’appellante “alla sottoscrizione del
contratto individuale di lavoro ed il contestuale obbligo del
Ministero a consentirvi”, condannando lo stesso Ministero al
pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Ha osservato la Corte di merito che, alla stregua della nota
del Ministero della Giustizia del 5 dicembre 2010, acquisita agli
atti, la tardiva presentazione dell’interessata per assumere servizio
non condizionava la validità del contratto, ma soltanto la
decorrenza economica e giuridica dei suoi effetti. Il contratto si era

Con ricorso al Tribunale di Roma la sig.ra Maria Pia Pizzi,

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infatti perfezionato sulla base della nota anzidetta contenente tutti
gli elementi idonei alla costituzione del rapporto.
Peraltro, solo la mancata presentazione dell’interessata
avrebbe potuto comportare la sanzione della decadenza
dall’assunzione, mentre non aveva lo stesso effetto, come risultava
dalla stessa nota, la diversa ipotesi di impossibilità di prendere
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Ministero sulla base di due motivi. La lavoratrice ha depositato
procura ed il suo difensore ha partecipato alla discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso il Ministero ricorrente
denunzia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Deduce che la nota del Ministero del 5 dicembre 2001,
richiamata dalla sentenza impugnata, costituiva un atto
unilaterale dell’Amministrazione, integrante una mera proposta di
contratto per la cui conclusione era necessaria la presa di servizio
nel luogo e nel tempo indicati dall’Amministrazione e la
sottoscrizione del contratto.
Aggiunge che la sig.ra Pizzi, con telegramma del 18 dicembre
2001, era stata avvisata che avrebbe dovuto in ogni caso prendere
servizio entro il 31 dicembre 2001, stante il presumibile blocco
delle assunzioni con la legge finanziaria del 2002.
2. Con il secondo motivo, nel denunziare violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 1326 cod. civ. e dell’art. 2, comma 2, d. lgs. n.
165 del 2001, il ricorrente, richiamando quanto esposto con il
primo motivo, deduce che la sentenza impugnata è errata, atteso
che ha violato il disposto dell’art. 1326 cod. civ., secondo cui il
contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, accettazione che deve
giungere al proponente nel termine da lui stabilito.

servizio per motivi di salute.

Il motivo così conclude: “Ciò posto, si sottopone a codesta

Ecc.ma Corte lo stesso fatto controverso come quesito di diritto”.
3. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Il primo motivo, denunziando formalmente insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in
realtà censura la sentenza impugnata per violazione di legge.
un atto unilaterale dell’Amministrazione, qual’è è la nota del
Ministero del 5 dicembre 2001, ma attraverso la presa di servizio
dell’interessato e la sottoscrizione del contratto, e si sottopone a
questa Corte il quesito circa “il fatto controverso” relativo al
momento in cui si perfeziona il contratto.
In sostanza, il ricorrente, anziché evidenziare le ragioni per le
quali la motivazione si assume contraddittoria (art. 366 bis cod.
proc. civ.), chiede che questa Corte dia risposta al quesito di diritto
anzidetto, con ciò deducendo inammissibilmente, di fatto, un vizio
diverso da quello in realtà dedotto.
Peraltro, sotto altro profilo, il ricorrente non produce,
unitamente al ricorso, la nota del Ministero del 5 dicembre 2001 e
il telegramma del 18 dicembre 2001 sui quali il ricorso è fondato,
documenti questi che, a pena di improcedibilità del ricorso,
avrebbe dovuto depositare unitamente allo stesso (cfr. art. 369,
primo comma, n. 4), cod. proc. civ.).
Ignora, poi, del tutto il ricorrente la parte della motivazione
della sentenza, autonoma rispetto alla questione del
perfezionamento del contratto, laddove si afferma che, in base alla
predetta nota del 5 dicembre 2001, la tardiva presentazione
dell’interessata presso l’ufficio del personale non poteva
determinare la decadenza dall’assunzione dell’impiego, per avere
l’interessata documentato in precedenza che il mancato rispetto
del termine assegnatole era dovuto a motivi di salute e che quindi
il ritardo non era ingiustificato.

Si afferma che la stipula del contratto non si perfeziona con

Al riguardo è principio consolidato di questa Corte che, ove la
sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed
autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente
sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa
impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di
interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta

produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 11
febbraio 2011 n. 3386; Cass. 3 novembre 2011 n. 22753; Cass. 29
marzo 2013 n. 7931).
4. Il secondo motivo è inammissibile.
Ferma restando l’autonoma decisione di cui ora sì è detto, il
motivo non si conclude con il quesito di diritto (art. 366 bis cod.
proc. civ., allora in vigore), ma richiama “lo stesso fatto controverso
come quesito di diritto”.
Inoltre, la censura non contiene motivi per i quali si chiede la
cassazione della sentenza (art. 366 n. 4) cod. proc. civ.), motivi che
devono avere i caratteri della specificità e completezza, con la
esposizione delle ragioni che illustrino in modo esauriente le
dedotte violazioni di norme o principi di diritto, bensì un mero
richiamo “a tutte le argomentazioni sopra esposte sia in fatto che
in diritto”, ciò che è palesemente inidoneo a soddisfare il requisito
dianzi indicato.
5. Il ricorso in conclusione deve essere rigettato, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento, a favore della
Pizzi – il cui difensore ha partecipato alla sola discussione orale -,
delle spese del presente giudizio come in dispositivo, con
distrazione a favore dello stesso difensore, che ne ha fatto
richiesta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al
pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in 2.000,00

definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe

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per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione
a favore dell’Avv. Ernesto Irace.

Così deciso in Roma in data 23 ottobre 2013.

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