Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1036 del 17/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/01/2017, (ud. 21/11/2016, dep.17/01/2017),  n. 1036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28788/2014 proposto da:

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A. (già denominata Unicredito

Gestione Crediti S.p.A. – Banca per la Gestione dei Crediti), P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, quale

mandataria per la gestione dei crediti, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

MARIO CONTALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO

MARCHETTI in virtù di procura notarile generale del 22/01/2008

prodotta in atti;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROVERETO,

7, presso lo studio dell’avvocato VALERIO ANTIMO DI ROSA, che lo

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato MARIA

IRMA CIARAMELLA, in virtù di delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n 1070/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

emessa il 16/05/2014 e depositata il 03/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito l’Avvocato Valerio Antimo Di Rosa, per il controricorrente, che

si riporta al controricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Unicredit Credit Management Bank s.p.a. impugna con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la sentenza della Corte d’appello di Torino del 3.6.2014, che ha accolto l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza del Tribunale di Torino, resa sull’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della detta banca in relazione al saldo passivo di un conto corrente intrattenuto dall’opponente.

S.G. ha depositato controricorso.

Comunicata alle parti la relazione del consigliere designato, ex art. 380-bis c.p.c., la ricorrente ha depositato memoria.

2. – Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, per avere la corte erroneamente ritenuto tempestivo l’appello notificato da S. dopo il decorso del termine annuale.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto la corte d’appello ha ritenuto che la banca appellata non avesse assolto l’onere probatorio sulla stessa incombente, nonostante le esaustive risultanze della c.t.u. esperita in primo grado.

3. – Il primo motivo è manifestamente infondato. Secondo l’orientamento più recente di questa Corte, qualora la notificazione di un atto processuale, effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso (Cass. 19 novembre 2014, n. 24641; Cass. 11 settembre 2013 n. 20830; Cass. 19 ottobre 2012, n. 18074).

Nella vicenda all’esame di questa Corte è pacifico che l’atto di appello venne consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica prima del decorso dell’anno e, appresa la notizia del trasferimento del difensore della banca, la ripresa del procedimento notificatorio avvenne tempestivamente, perfezionandosi in data 16.3.2012, vale a dire solo pochi giorni l’avvio del detto procedimento (7.3.2012).

Nè può sostenersi che il comportamento della parte non sia stato improntato a diligenza in quanto il domicilio del difensore della Unicredit Management Bank s.p.a. era mutato già nel corso del giudizio di appello; per un verso, infatti, trattasi di eccezione nuova che non risulta neppure dedotta innanzi al giudice di merito dalla banca appellata, e per altro verso, va osservato che nulla in atti consente di ritenere che il difensore dell’appellante avesse avuto legale conoscenza della detta variazione del domicilio, non essendo sufficiente di certo l’intervenuta sua comunicazione al competente consiglio dell’ordine.

4. – Il secondo motivo è parimenti infondato.

In disparte ogni considerazione sulla erroneità della norma che si assume violata – dettata in tema di divieto di domande ed eccezioni nuove in appello -, va rilevato che la corte d’appello ha esattamente ritenuto che non fosse stata data prova del credito vantato dalla banca, in difetto dell’integrale produzione di tutti gli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente per cui è processo, dall’inizio e fino alla sua cessazione.

Il giudice di merito ha così fatto esatta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, a tenore del quale nei rapporti bancari in conto corrente la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore (Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842).

5. – Le spese seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed respinto sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dal controricorrente, liquidate in Euro 5.100,00, in essi compresi Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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