Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10359 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10359 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 3057-2008 proposto da:
DE LUCA GIOVANNI C.F. DLCGNN68H23L049S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GRAFICI 199/A, presso lo
studio dell’avvocato PALATIELLO MARIA LIDIA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GARRISI
UMBERTO GIUSEPPE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
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contro

CONSORZIO PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE E DEI SERVIZI
REALI ALLE IMPRESE DI TARANTO (SISRI) p.i.
00160180733, in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 13/05/2014

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FRANCESCO GENTILE 7, presso lo studio dell’avvocato DE
FEIS FRANCESCO, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;

160/2007

della CORTE D’APPELLO

DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO, depositata il
06/10/2007 R.G.N.

13/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

27/02/2014

dal Consigliere Dott. VITTORIO

NOBILE;
udito l’Avvocato GARRISI UMBERTO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per:
in via principale inammissibilità, in subordine per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

controricorrente

R.G. 3057/2008
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 31-7-2003 Giovanni De Luca chiese al Giudice
del lavoro di Taranto che il contratto di lavoro a tempo determinato concluso

Taranto (SISRI) in data 21-2-2000 (con il quale era stato assunto per la durata
di un anno come quadro direttivo in qualità di ingegnere del servizio tecnico, al
quale aveva fatto seguito, previa dichiarazione delle parti di risoluzione
consensuale del precedente rapporto a tempo determinato, altro contratto, in
data 16-6-2000, della durata di quattro anni con le funzioni di direttore del
consorzio) fosse convertito in rapporto a tempo indeterminato, in quanto il
primo contratto era stato concluso per far fronte a permanenti carenze di
organico in violazione dell’art. 1 della legge n. 230/1962 (non rilevando la
successiva risoluzione consensuale priva dei requisiti di forma ex art. 410 c.p.c.
e per giunta concernente un contratto con termine illecito) e il secondo
contratto era stato stipulato prima che fosse decorso il termine di venti giorni
dalla scadenza del precedente contratto di durata superiore ai sei mesi.
Il ricorrente chiese ancora che il consorzio fosse condannato a stipulare un
contratto a tempo indeterminato, atteso che nelle more il secondo contratto era
pervenuto alla scadenza.
Il consorzio si costituiva chiedendo il rigetto delle domande e deducendo
in particolare che il primo contratto si era risolto consensualmente in occasione
della acquisizione da parte del De Luca dell’incarico di dirigente apicale, per il
quale senz’altro legittima era l’apposizione del termine.

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con il Consorzio per lo sviluppo industriale e dei servizi reali alle imprese di

Il giudice adito, con sentenza n. 5442/2005 rigettava la domanda rilevando
che il primo rapporto, seppure con termine illegittimo, si era risolto
validamente per mutuo consenso, con evidente vantaggio per il De Luca e
senza che potesse rilevare il mancato rispetto dell’intervallo di tempo e

21-2-2000 al 16-6-2000, stante la applicabilità al consorzio di quanto previsto
dall’art. 5 commi 15 e 17 del d.l. n. 702 del 1978, circa la inapplicabilità agli
enti pubblici della disciplina dell’art. 230 del 1962.
Il De Luca proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
Il consorzio si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza
depositata il 6-10-2007, rigettava l’appello.
In sintesi la Corte territoriale riteneva, al pari del primo giudice, che era
validamente negoziabile da parte del De Luca la situazione giuridica derivante
dalla trasformazione ope legis dell’originario rapporto di lavoro a tempo
determinato in rapporto a tempo indeterminato e rilevava che oggetto
principale dell’atto del 16-6-2000 era la volontà di risolvere consensualmente il
rapporto stipulato il 21-2-2000 (“a prescindere dalla natura temporanea o meno
di esso”) mentre la rinuncia all’indennità per mancato preavviso costituiva un
elemento del tutto marginale nell’ambito dell’assetto negoziale, la cui assenza
non avrebbe certamente influito sulla decisione di porre nel nulla il rapporto
precedente (stante anche l’urgenza di cominciarne un altro, nettamente più
vantaggioso per il De Luca sia sul piano retributivo che su quello della durata).

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neppure la configurabilità di un rapporto a tempo indeterminato nel periodo dal

Parimenti, poi, la Corte di merito, al pari del primo giudice, riteneva che al
consorzio fosse applicabile la normativa di cui all’art. 5 del d.l. n. 702 del
1978.
Per la cassazione di tale sentenza il De Luca ha proposto ricorso con due

Il Consorzio S.I.S.R.I. di Taranto ha resistito con controricorso.
Il De Luca ha depositato fuori termine (in data 24-2-2014) memoria ex
art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa
applicazione di norme di diritto, posto che (dato pacifico) la prestazione
lavorativa non aveva avuto alcuna soluzione di continuità, lamenta che la Corte
d’Appello erroneamente ha distinto tra il primo e il secondo contratto di lavoro,
ed erroneamente ha ritenuto validamente posto in essere dal lavoratore il
recesso da un rapporto di lavoro a tempo determinato, trasformatosi ipso iure in
rapporto a tempo indeterminato. In particolare il ricorrente deduce che il mero
mutamento di mansioni, anche se più favorevole al lavoratore , senza che vi sia
stata alcuna discontinuità tra i due rapporti instaurati in violazione della legge
in materia, non può determinare né una novazione del rapporto, né una rinuncia
ad un diritto che deve, peraltro, essere ancora acquisito.
Il ricorrente chiede, quindi, che venga affermato il seguente principio di
diritto: “è nullo e invalido il recesso posto in essere dal lavoratore da un
rapporto di lavoro che, formalmente sorto a tempo determinato, si è
trasformato ipso iure in rapporto di lavoro a tempo determinato (recte:
indeterminato) nel caso in cui la prestazione lavorativa avvenga in favore del
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motivi.

medesimo datore di lavoro senza soluzione di continuità, anche se con diversità
di mansioni ed attribuzione di mansioni superiori”.
Osserva il Collegio, innanzitutto, che tale richiesta, del tutto generica e
inconcludente, non può costituire idoneo quesito ex art. 366 bis c.p.c. (che va

successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006 e anteriormente
all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009).
L’art. 366 bis c.p.c., infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione
dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di
inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del
giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai
numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ovvero del
motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso
ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto
ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della
decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità
formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n.
4556).
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applicato rottone temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata

In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla
sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata
con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463) e “deve comprendere
l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia

applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due
suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n.
24339).
Peraltro, come pure è stato precisato, “il quesito di diritto non può essere
implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, né può
consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto
che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poiché una simile
interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma codicistica”
(v. Cass. 20-6-2008 n. 16941).
Orbene nel caso in esame il detto motivo di ricorso si conclude con la
mera richiesta di affermazione di un principio che risulta anche inconcludente
rispetto alla fattispecie concreta e al decisum, neppure presi in considerazione.
Il ricorrente, infatti, si limita a chiedere la affermazione della nullità di un
“recesso” da un rapporto trasformatosi, con diversità di mansioni e senza
soluzione di continuità, in tal modo omettendo di fornire una sintesi della
questione sollevata con il motivo ed altresì di specificare in sostanza l’errore in
cui sarebbe incorsa la decisione impugnata (che peraltro non parla affatto di
recesso).
D’altra parte, al di là del quesito, anche la censura risulta inammissibile in
quanto assolutamente generica ed inconferente con il decisum.
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del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto

In effetti il ricorrente (che neppure indica specificamente quali norme di
diritto sarebbero state violate e tanto meno spiega in che modo la sentenza
impugnata si sia posta in contrasto con le norme stesse – v. fra le altre Cass. 211-2010 n. 22269, Cass. 8-3-2007 n. 5353, Cass. 16-1-2007 n. 828 -) ignora del

dall’atto negoziale sottoscritto dalle parti in data 16-6-2000 è la volontà di
estinguere il rapporto precedentemente posto in essere, a prescindere dalla
natura temporanea o meno di esso, in quanto vi era l’urgenza di cominciare un
altro decisamente più vantaggioso per l’appellante, il quale, grazie al contratto
in pari data concluso, ha acquisito la qualifica apicale di direttore del
consorzio, con espresso inquadramento nella categoria dei dirigenti ed
attribuzione di un trattamento economico nettamente superiore (di oltre il
doppio) rispetto a quello riveniente dal precedente contratto posto nel nullo”.
Orbene tale “complesso contenuto negoziale”, accertato dai giudici di
merito, a ben vedere non è specificamente censurato dal ricorrente, il quale nel
motivo (e senza, peraltro, riscontro alcuno nel quesito) al riguardo si limita a
negare la sussistenza di una “novazione” semplicemente ribadendo la
mancanza di una soluzione di continuità nelle prestazioni lavorative e nel
rapporto.
Il motivo va pertanto dichiarato inammissibile.
Del pari inammissibile è poi il secondo motivo con il quale il ricorrente
denuncia “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio” in relazione alla affermazione della
sentenza impugnata secondo cui i Consorzi come quello resistente “pur
operando in regime di diritto privato allo scopo di renderne più competitivo
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tutto che la Corte di merito ha affermato che nella fattispecie “ciò che emerge

l’agire, restano pur sempre pubblici”, risolvendosi, però, la censura in una
violazione di legge in relazione all’art. 5 del d.l. 702/1978 (così come si evince
dal quesito), la quale, a ben vedere, non trova, comunque, alcun riscontro nello
svolgimento del motivo (in tal modo risultando, quindi, il quesito inconferente

Come è stato di recente precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “il
ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e
tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere
articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed
inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla
citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o
l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi” (v. Cass. S.U. 24-72013 n. 17931).
Del resto, come è stato più volte chiarito da questa Corte, “in tema di
ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione
di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (v. Cass. 4-4-2013 n.
8315, Cass. 26-3-2010 n. 7394, Cass. 22-2-2007 n. 4178). La denuncia
dell’uno e dell’altro vizio necessita di una specifica trattazione delle relative
doglianze (v. per tutte Cass. 23-4-2013 n. 9793).
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con il motivo stesso).

Orbene nel caso in esame, pur avendosi riguardo allo svolgimento della
censura e non soltanto alla indicazione formale del vizio denunciato, appare
evidente la erronea sussunzione (appunto sostanziale e non soltanto formale)
del vizio stesso nell’ipotesi di cui al n. 5 anziché in quella di cui al n. 3 dell’art.

16-9-2013 n. 21099, Cass. 17-9-2013 n. 21165).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente, in ragione
della soccombenza va condannato al pagamento delle spese in favore del
Consorzio controricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a
pagare al controricorrente le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro
4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Roma 27 febbraio 2014

360 c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo (cfr. fra le ultime Cass.

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