Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10359 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 01/06/2020), n.10359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1513-2019 proposto da:

PAO.MAR. S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato CARLO SRUBEK

TOMASSY, presso il cui studio a Roma, via Caio Mario 27,

elettivamente domicilia per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.Z.C., CA.ST., C.S. e

CA.SE., nella qualità di eredi di Ca.Si., rappresentati

e difesi dall’Avvocato DE MEO ALESSANDRO e dall’Avvocato GIOVANNA

FORTE ed elettivamente domiciliati a Roma, viale delle Provincie 74,

presso lo studio dell’Avvocato ILARIA CARDILLO PICCOLINO, per

procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5232/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata il 27/7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/12/2019 dal Consigliere Dott. DONGIACOMO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che la s.r.l. PAO.MAR. aveva proposto nei confronti della sentenza del tribunale di Latina sul rilievo che il fabbricato di proprietà della stessa non rispetta, tenuto conto del confine come accertato, “il distacco… vigente al momento della edificazione”.

La s.r.l. PAO.MAR., con ricorso notificato il 2/1/2019, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 6/11/2018.

Hanno resistito D.Z.C., Ca.St., C.S. e Ca.Se., nella qualità di eredi di Ca.Si., con controricorso notificato il 28/1/2019.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo articolato, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il fabbricato di proprietà della stessa non rispetta, tenuto conto del confine come accertato, “il distacco… vigente al momento della edificazione”.

1.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte ha erroneamente trascurato di considerare che, in base alle prove acquisite in giudizio, il confine tra la proprietà della stessa e quella del Ca., e cioè l’attore, non deve essere collocato sulla mezzeria della strada di lottizzazione, successivamente abolita, che originariamente divideva i due lotti.

1.3. Nell’atto di acquisto del Ca., infatti, che la sentenza dà atto essere stato stipulato successivamente all’approvazione del piano di lottizzazione che ha abolito la strada a confine con la proprietà della PAO.MAR., è stato espressamente convenuto che lo stesso acquistava un terreno al quale doveva essere aggiunta la quota ideale di comproprietà sulla rete stradale della lottizzazione, per cui il confine della proprietà Ca., contrariamente a quanto asserito dalla corte d’appello ed in forza di quanto palesemente risulta dagli atti acquisiti, non si estende affatto fino alla mezzeria della strada a confine con la proprietà PAO.MAR., successivamente abolita dal piano di lottizzazione. Il Ca., infatti, ha acquistato solo una quota ideale di comproprietà della rete stradale della lottizzazione e tale quota di comproprietà non poteva evidentemente riguardare una strada che il piano di lottizzazione aveva abolito e, comunque, non poteva mai estenderne il confine fino alla mezzeria.

1.4. Se avesse esaminato l’atto di acquisto del Ca. ed avesse correttamente valutato l’estensione del bene compravenduto, ha aggiunto la ricorrente, la corte d’appello si sarebbe avveduta che il confine non si estendeva fino alla mezzeria della abolita strada a confine con la proprietà della PAO.MAR. e che il fabbricato della PAO.MAR., rispetto al confine della proprietà Ca., si trovava e si trova ad oltre cinque metri e, dunque, non aveva violato la distanza legale.

2. La censura è inammissibile. La ricorrente, infatti, ha lamentato, in sostanza, la valutazione, asseritamente erronea, che la corte d’appello ha fatto delle prove raccolte in giudizio, incorrendo, così, nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (Cass. n. 27000 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).

3. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13 citato, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13 citato, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 1 giugno 2020

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