Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10358 del 11/05/2011

Cassazione civile sez. I, 11/05/2011, (ud. 23/03/2010, dep. 11/05/2011), n.10358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3794/2009 proposto da:

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIGNA DI

MORENA 69/A, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSSI,

rappresentata e difesa dall’avvocato AMATO Felice, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende,

ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIGNA

DI MORENA 69/A, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA

ROSSI, rappresentata e difesa dall’avvocato AMATO FELICE, giusta

mandato speciale a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso il decreto n. 2796/07 V.G. della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

del 9/11/07, depositato il 24/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2010 dal Presidente e Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’;

udito l’Avvocato Amato Felice, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che G.C. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania il 4.3.2002, definito in primo grado con sentenza del 6.7.2005, appellata il 12.10.2005, appello deciso il 7.4.2006, non notificata, quindi passata in giudicato il 7.4.2007;

che la Corte d’appello, con decreto del 24.12.2007, riteneva che il protrarsi del giudizio di primo grado per anni 3 e mesi 4 costituiva violazione del termine di durata ragionevole del giudizio, che fissava in anni uno, quindi liquidava per il danno non patrimoniale, per la parte eccedente, Euro 1.000,00 per anno di ritardo, e perciò complessivi Euro 2.333,33, con il favore delle spese del giudizio, liquidate in Euro 450,00, oltre Iva e Cpa;

che per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso G.C., affidato ad un motivo, illustrato con memoria, con il quale denuncia erronea e falsa applicazione di legge (art. 91 c.p.c., L. n. 1051 del 1957, art. 1, tariffe professionali di cui al D.M. n. 127 del 2004) (art. 360 c.p.c., n. 3), lamentando che la liquidazione delle spese è stata effettuata senza distinguere gli importi dovuti per diritti ed onorario ed è formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte Suprema di Cassazione che, nel caso in esame, ha errato la Corte Napoletana, atteso che la liquidazione delle spese processuali non può essere compiuta globalmente ma dovendo, invece, essere distintamente specificate le somme dovute per competenze (diritti) ed onorario, al fine di consentire alla parte di controllare il rispetto dei minimi tariffati e di denunziare le eventuali violazioni”; che ha resistito con controricorso il Ministero della giustizia, che ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi, con i quali denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui il decreto ha fissato la durata ragionevole del giudizio di primo grado in un anno, fissando un parametro che non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità e di merito, i cui parametri (che fissano in 3/3 anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado) avrebbero dovuto condurre a ritenere infondata la domanda (primo motivo), l’omessa e/o insufficiente motivazione su di un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui il giudice del merito ha liquidato l’indennizzo, senza tenere conto della “posta in gioco” e del fatto che la pretesa azionata nel giudizio presupposto era risultata in parte prescritta e, comunque, del ritardo nell’instaurare il giudizio (secondo motivo) e violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che il ricorso per equa riparazione è stato depositato il 3 settembre 2007, mentre la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania sarebbe stata depositata il 7 luglio 2005 e sarebbe passata in giudicato il 7 luglio 2006, poichè il giudizio di appello avrebbe riguardato soltanto il capo della pronuncia concernente le spese del giudizio.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che i ricorsi, principale ed incidentale, andranno riuniti, avendo ad oggetto lo stesso decreto;

che, per ragioni di priorità logico-giuridica, va esaminato per primo il ricorso incidentale;

che il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto la ragionevole durata del giudizio va apprezzata globalmente e complessivamente in riferimento al giudizio nel quale è stata proposta la domanda, senza possibilità di distinguere in relazione alle singole domande proposte al suo interno e di discernere tra le stesse. Lo stato d’animo di ansia ed il patema in cui si sostanzia il danno non patrimoniale risarcibile, concreta un evento unico, in quanto riferibile alla durata di uno stesso processo (Cass. n. 2195 del 2009) e che, dunque, ai fini della verifica dell’osservanza del termine della L. n. 89 del 2001, art. 4, deve aversi riguardo alla sentenza che definisce il giudizio e lo chiude in relazione a tutte le domande proposte in primo grado e, essendo in detti termini il principio da formulare in relazione al quesito di diritto, sembra manifesta l’infondatezza del mezzo. Il decreto ha, infatti, accertato che la sentenza che ha definito il giudizio, pronunciata dalla Corte d’appello di Salerno, è passata in giudicato il 7.4.2007, con conseguente tempestività della domanda di equa riparazione, siccome proposta con ricorso del 3.9.2007; che il primo motivo è manifestamente fondato in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti dalla stessa (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza Prima Sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità;

che siffatto parametro va osservato dal giudice nazionale e la sua violazione comporta violazione di legge, essendo da esso possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Case. n. 4123 e n. 3515 del 2009) e che, inoltre, in riferimento al processo del lavoro, due pronunce del giudice europeo hanno affermato la violazione del termine di ragionevole durata, senza valorizzare la natura del giudizio (sentenze 18 dicembre 2007, sul ricorso n. 20191/03, in riferimento ad un giudizio in materia di lavoro durato in primo grado più di quattro anni e cinque mesi; 5 luglio 2007, sul ricorso n. 64888/01, in relazione ad un giudizio della stessa natura, durato più di sette anni e due mesi); che, pertanto, la natura del processo non comporta, da sola, la possibilità di stabilire un termine di durata rigido, così come la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dalla accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass., 19352 del 2005; n. 6856 del 2004);

che, infine, benchè sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi (tra le molte, Cass. n. 23506 del 2008; n. 18720 del 2007; n. 17554 del 2006) , ciò che può fare escludere la sussistenza del diritto azionato, qualora il termine di ragionevole di una fase risulti violato, senza tuttavia che lo sia stato quello concernente l’intera durata del giudizio (nelle due fasi di merito e di legittimità), non rientrando neppure “nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando evidentemente per quello in cui si sia prodotto sforamento dal limite di ragionevolezza e segmentando a propria discrezione la vicenda processuale presupposta” (Cass. n. 23506 del 2008);

che, in applicazione di detti principi, è manifesta la fondatezza del primo motivo del ricorso incidentale, posto che la Corte d’appello ha fissato il termine di durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni uno, fondando siffatta conclusione sul richiamo della giurisprudenza della Corte EDU, generico, svolto senza indicare nessuna pronuncia a conforto, ed erroneo nonchè sulla generica affermazione che la causa non era complessa e che si trattava di controversia di lavoro, del tutto inidonea ad integrare motivazione sufficiente e logica per sorreggerla;

che in relazione a detta censura il decreto va cassato e – assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale ed il ricorso principale – la causa potrà essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta dalla G., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

che, in applicazione del parametro della Corte EDU, il termine di ragionevole durata del giudizio svoltosi in due gradi va, infatti, individuato in cinque anni per un’indicazione, in tal senso cfr., in motivazione, Cass., n. 3143 del 2004; per alcune pronunce del giudice europeo, le sentenze 6 dicembre 2001, sul ricorso n. 47772/99; e 7 novembre 2000, sul ricorso n. 45891/99; sentenza 28 febbraio 2002, sul ricorso n. 51022/99, che consentono di desumere un tale parametro, mai esplicitamente fissato, in difetto dell’indicazione di elementi specifici e concreti che permettano di disattenderlo e che, inoltre, nell’osservanza dei principi sopra enunciati, la durata va fissata avendo riguardo all’intero giudizio, essendone preclusa la segmentazione;

che ne consegue che, siccome il giudizio è stato proposto in primo grado il 4 marzo 2002 e definito con sentenza della Corte d’appello di Salerno del 7 aprile 2006, esso si è protratto per un tempo inferiore al quinquennio, senza considerare che da tale lasso di tempo vanno detratti anche tre mesi che la parte ha ritenuto di far decorrere prima di proporre appello avverso la sentenza di primo grado, mentre ella avrebbe potuto ottenere anche prima il passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado, provvedendo alla sua notificazione, così da far decorrere il termine breve;

che, peraltro, per mera completezza, va osservato che, anche avendo riguardo alla data del passaggio in giudicato, il giudizio risulterebbe svoltosi in anni cinque e mesi uno, quindi, nel rispetto del parametro di ragionevole durata stabilito dal giudice europeo.

che le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il secondo, dichiara assorbiti il terzo motivo del ricorso incidentale e il ricorso principale; giudicando nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta la domanda e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 579,00 (Euro 354,00 per onorari ed Euro 175,00 per onorari) per il giudizio di merito e in Euro 500,00 per il giudizio di legittimità, oltre, in entrambi i casi, le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi, Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2011

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