Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10356 del 29/04/2010
Cassazione civile sez. II, 29/04/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 29/04/2010), n.10356
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
PREFETTURA DI LECCE, in persona del Prefetto pro tempore,
rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è
domiciliata;
– ricorrente –
contro
P.L.;
– intimato –
avverso la sentenza del Giudice di pace di Lecce n. 4344/05,
depositata in data 7 febbraio 2006;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15 gennaio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LECCISI Giampaolo il quale ha chiesto l’accoglimento
del ricorso perchè manifestamente fondato;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PRATIS Pierfelice, che si è riportato alle conclusioni scritte.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 7 febbraio 2006, il Giudice di pace di Lecce accoglieva l’opposizione proposta da P.L. avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto di Lecce, con la quale si ingiungeva all’opponente il pagamento della somma di Euro 1.550,66 a titolo di sanzione amministrativa per violazione della L. n. 386 del 1990, artt. 1 e 2 e si disponeva la sanzione accessoria del divieto di emettere assegni postali e bancari per il periodo di anni due.
Il Giudice di pace riteneva che sussistesse la giusta causa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 4 alla luce della circostanza che la banca non aveva comunicato la revoca del conto corrente bancario nè aveva sollecitato la restituzione dei titoli di credito rimasti in possesso dell’opponente. Tali circostanze, invero, giustificavano la condotta dell’opponente, il cui comportamento illecito non era dipeso dalla sua volontà, essendosi piuttosto verificato per circostanze dallo stesso non controllabili nè prevedibili. Inoltre, il Giudice di pace valorizzava il fatto che l’opponente aveva emesso gli assegni risultati privi di autorizzazione e di provvista a titolo di favore.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Prefettura di Lecce sulla base di un unico motivo; l’intimato non ha resistito con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, l’Amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
La Prefettura rileva che, mentre l’opponente aveva dedotto l’intervenuta prescrizione dell’illecito, il difetto di motivazione e la erroneità dei presupposti dell’ordinanza-ingiunzione opposta e la illegittimità manifesta della sanzione accessoria applicata, il Giudice di pace ha accolto l’opposizione per un motivo non dedotto dall’opponente, ritenendo sussistente la giusta causa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 4.
Il ricorso è inammissibile.
Deve infatti rilevarsi che, contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione ricorrente, nella sentenza impugnata si da atto che l’opponente aveva chiesto, sia pure in via subordinata, l’applicazione della esimente di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 4.
A fronte di una tale esplicita affermazione, la ricorrente avrebbe dovuto proporre non già il ricorso ordinario denunciando una extrapetizione, ma un giudizio per revocazione. E’ indubbio, infatti, che se, come assume la ricorrente, nell’atto di opposizione non era in alcun modo stata formulata un richiesta di applicazione della esimente di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 4 la sentenza che ha invece affermato il contrario sarebbe stata determinata da un errore di fatto nella percezione del contenuto dell’atto di opposizione:
errore di fatto censurabile, appunto, con la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
In assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di cassazione, il 15 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010