Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10355 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10355 Anno 2015
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso 25307-2009 proposto da:
COMUNE DI SCERNI in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA C/0 STUDIO PICCOZZA
VIA DI SAN BASILIO 61, presso lo studio dell’avvocato
ANNALISA DI GIOVANNI, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIUSEPPE AMICARELLI giusta delega a
margine;
– ricorrente contro
SAN PANFILO COOPERATIVA AGRICOLA SOCIETA’ in persona
del Presidente e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA ATTILIO MORI 25

Data pubblicazione: 20/05/2015

SCALA C INT. 14, presso lo studio dell’avvocato
DOMENICO LIBERATORE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GABRIELE D’UGO giusta delega a margine;

controricorrente

avverso la sentenza n. 86/2009 della

13/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. DOMENICO
CHINDEMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LAURA ROSA delega
Avvocato AMICARELLI che si riporta, l’Avv. LAURA ROSA
deposita una cartolina verde A/R;
udito per il controricorrente l’Avvocato D’UGO che si
riporta;
udito il P.M. in persona del
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI

il rigetto del ricorso.

Sostituto Procuratore

che ha concluso per

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il

i

25307/2009
Fatto
Con sentenza 419.02.09, depositata il 13.3.2009 la Commissione Tributaria
Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, rigettava l’appello proposto dal
Comune di Scemi avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di
Chieti n. 40/04/2007 che aveva accolto il ricorso della società San Panfilo,
C000perativa agricola a r.1., avverso il silenzio di rifiuto sull’istanza di rimborso ICI
Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, che l’art. 2, e 4 della
legge finanziaria 2008, in vigore dal I gennaio 2008, che prevede che non è ammessa
la restituzione di somme eventualmente versate a titoli di ICI, per i periodi di imposta
precedenti al 2008,non si applica ai giudizi in corso alla data di entrata delle cit.
legge finanziaria.
Il Comune di Scemi impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale
deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione degli artt. 9, c. 3-bis D.L. 557/93, conv in l.
133/94, sostituito dall’art. 42 bis D.L. 159/2007, conv. in 1. 222/2007, art. 1, c.2,
1. 212/2000, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., rilevando come tale normativa sia
inapplicabile ai periodi imposta anteriori alla sua entrata in vigore e non abbia
natura di interpretazione autentica;
b) omessa motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5, c.p.c., non avendo indicato il
giudice le fonti del proprio convincimento;
c) violazione e falsa applicazione degli artt. 9, c. 3-bis D.L. 557/93, conv in I.
133/94, mod. dal DPR 139/98 e 32 TUIR, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.,rilevando come non sia stata fornita la prova delle effettiva natura agricola
dell’attività svolta dalla cooperativa, anche ove si ritenesse l’art. 42 bis D.L.
159/2007 norma di interpretazione autentica;
d) omessa pronuncia, in relazione all’art. 112 c.p.c. e 360 n. 4 c.p.c., sui rispondenza
ai criteri di cui all’art. 32 Tuir dell’attività effettivamente svolta dalla società e
sull’asservimento dei fabbricati all’attività agricola;
e) violazione e falsa applicazione degli artt. 9, c. 3-bis D.L. 557/93, conv in I.
133/94, mod. dal DPR 139/98, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.rilevando come
ai fini del riconoscimento della natura rurale di un fabbricato non abitativo sia
necessario che il fabbricato sia posseduto dal titolare del diritto di proprietà o di
1

per gli anni 2002-2004

-

altro diritto reale sul terreno, ovvero detenuto da soggetto che ad altro titolo
conduce il terreno cui il fabbricato risulta asservito;
violazione e falsa applicazione degli artt. 9, c. 3-bis D.L. 557/93, conv in 1.
133/94, 32,42,27,55, 73,c.1, lett. a) DPR 917/86, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.,non potendosi considerare produttivi di reddito dominicale i terreni
produttivi di reddito di impresa e non possono, quindi, essere considerati rurali.
La intimata si è costituita con controricorso.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 19.2.2015, in cui il PG ha
concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. In relazione al primo motivo, il nuovo testo dell’art. 9, comma 3 bis D.L. n.
557/93, conv. con 1. 133/1994 prevede che “ai fini fiscali deve riconoscersi carattere
di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività
agricola di cui all’art. 3135 del codice civile e in particolare destinate…..0 alla
manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione, e
commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro
consorzi….”
La questione controversa è se tale norma abbia natura innovativa e, sia quindi,
irretroattiva,non applicabile ai periodi d’imposta anteriori alla sua entrata in vigore
(1.12.2007), oppure abbia natura di interpretazione autentica, applicabile anche alle
annualità oggetto del giudizio (2002-2004).
Una serie di elementi fattuali e logici inducono a ritenere la ‘natura interpretativa
della norma e la sua applicazione retroattiva ponendo fine il legislatore a dubbi
interpretativi e contrasti di giurisprudenza sulla non assoggettabilità ad ICI dei
fabbricati di proprietà delle cooperative esercenti attività agricole specificando, con
la nuova normativa che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche
iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità
di cui all’art. 9 D.L.557/93.
La Corte Costituzionale, con sentenza 22.7.2009,n. 227 ha sancito che è
costituzionalmente illegittimo, in relazione all’art. 3 Cost. (con assorbimento delle
questioni ulteriori), l’art. 2, comma 4, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale
prevede l’irripetibilità di quanto versato a titolo di ICI per le annualità precedenti al
2
“A’

Il Comune presentava memoria.

- ,-

2008 da tutti i soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i ) del comma
3- bis dell’art. 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, ivi comprese le cooperative
agricole cui la citata normativa fa espresso riferimento. La disposizione non solo è
irragionevole per la chiara contraddizione in cui cade il legislatore il quale, avendo
provveduto nel senso della insussistenza dei presupposti per l’insorgere della
obbligazione, interviene, sia pure con diversa norma, onde limitare gli effetti della
precedente, nel senso di rendere irripetibile quanto già, peraltro sine causa, versato,
fonte di ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali,
venendo a determinare un trattamento deteriore di chi abbia erroneamente pagato
un’imposta non dovuta rispetto a quello di chi, versando nella medesima situazione,
non abbia invece effettuato alcun pagamento.
2. Anche il secondo, terzo e quarto motivo, esaminati congiuntamente in quanto
connessi, vanno disattesi.
La motivazione di una sentenza di appello può essere redatta per relationem rispetto
alla sentenza di primo grado se non occorre alcuna nuova motivazione per confutare i
motivi di impugnazione anche se non vengano riprodotti i contenuti mutuati, non
qualora non non sussistano incertezze sulla verifica della compatibilità logicogiuridica dell’innesto motivazionale. (sulla motivazione per “relationem” cfr,Cass.,
SS.UU., 4.06.2008 n. 14814)
Quindi, il rinvio per relationem dalla CTR alla sentenza di primo grado è
perfettamente legittimo e giustificato da una economia di scritture.
La sentenza di primo grado ha espressamente riconosciuto che “nel caso di specie è
pacifico che la Cooperativa San Panfilo di Scemi è proprietaria del fabbricato ove
viene svolta l’attività agricola tesa esclusivamente alla trasformazione delle uve

ma la stessa è anche incompatibile col rispetto del principio di eguaglianza in quanto

conferite dai soci in vino e che lo statuto contempla chiaramente l’intento
mutualistico”
Tale motivazione è idonea a sorreggere anche le censure formulate alla sentenza di
primo grado ed è stata ritenuta corretta dalla CTR che ha affermato “quanto alla parte
sostanziale non si riescono a intravedere motivi di critica alla impugnata sentenza”.
La CTP, prima e la CTR dopo, sia pure quest’ultima per relationem, hanno accertato
la natura agricola dell’attività svolta dalla cooperativa attraverso l’utilizzo delle uve
conferite dai soci, trasformate in vino e rivendute sul mercato.
L’impugnata sentenza si è uniformata all’insegnamento ormai consolidato di questa
3

v

Corte (Cass. 7-11-1986 n. 6537, 3-11-1986 n. 6424 e n. 6425, 12-4-1980 n. 2373, 243-1980 n. 1974), dal quale non v’è motivo di discostarsi, e secondo cui, allorquando
gli agricoltori di una determinata zona, anziché procedere singolarmente all’attività di
trasformazione e alienazione dei loro prodotti, quale appunto la vinificazione delle
uve e la vendita del vino, si riuniscono in un organismo unitario (consorzio,
cooperativa, cantina sociale), al quale conferiscono il prodotto delle loro coltivazioni
affinché esso provveda, in loro vece, a quelle operazioni di trasformazione e di
normale ciclo produttivo, e vi provveda nel modo più conveniente imposto dagli
attuali .metodi e sistemi di lavorazione dei prodotti e di organizzazione del loro
sfruttamento sul mercato, per _realizzare quella maggiore redditività della produzione
dei fondi che, peraltro, è pur necessaria per consentire ed incrementare l’attività
colturale di base, cui ciascun associato singolarmente provvede, – l’attività di tale
organismo associativo, pur dotato di autonoma personalità giuridica, rimane sempre
connessa alla primaria attività agricola dei produttori associati.
Conseguentemente tale attività ha essa stessa natura agricola, a nulla rilevando che il
consorzio, o la cooperativa, o la cantina sociale, quali soggetti distinti dai soci, non
posseggano un proprio fondo, ne’ che provvedano anche alla lavorazione di uva e
mosti acquistati da terzi, sempre che tale attività abbia carattere marginale e
comunque indispensabile per lo sfruttamento della produzione dei soci e la loro
maggiore utilità, dovendosi, al fine di affermare o escludere l’anzidetto carattere,
ricorrere al criterio della prevalenza.
La natura industriale o agricola dell’attività imprenditoriale, va accertata non già sulla
base di criteri generali ed astratti – come quelli stabiliti, ai fini previdenziali, dagli
artt. 33 del d.P.R. n. 797 del 1955 e 6, lett. b), della legge n. 92 del 1979 o, in tema di
determinazione del reddito agrario, dall’art. 28 del d.P.R. n. 597 del 1973 – ma, in
conformità all’enunciazione del primo comma dell’art. 2070 cod. civ., posta in
necessario collegamento con gli artt. 2195 e 2135 dello stesso codice, sulla base
dell’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore, da considerare, peraltro, dopo
la soppressione dell’ordinamento corporativo, non già alla stregua di criteri
meramente merceologici, ma tenendo conto della valutazione operatane dalla
contrattazione collettiva. (cfr Cass.Sez. L, Sentenza n. 7316 del 20/05/2002)
La Ctr ha ribadito sulla base dei dati fattuali evidenziati dalla sentenza di primo
grado che “deve ritenersi attuata la estensione dell’esimente fiscale non solo
4

vendita che altrimenti ciascuno di loro dovrebbe porre in essere per completare il

all’imposizione reddituale, ma anche a quella di tipo patrimoniale e locale”.
Si tratta di apprezzamento di prove e di accertamento di fatti che, in quanto sorretti
da congrua motivazione è immune da errori ed è insindacabile in sede di legittimità.
Va, quindi, confermata la decisione dei giudici di merito che hanno ritenuto
comprovata la natura agricola dell’impresa dall’attività in concreto svolta dalla stessa
di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci e
raccolta dei prodotti medesimi.
La CTR ha accertato, sulla base delle valutazioni della CTP, che “la Cooperativa San
Panfilo di Scemi è proprietaria del fabbricato ove viene svolta l’attività agricola”.
Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1, comma 2 prevede che “Presupposto
dell’imposta dell’ICI è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni
agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli
strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa”.
Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a) sancisce che “Ai fini
dell’ICI: a) per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere
iscritta nel catasto edilizio urbano…”;
Il D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. 27 febbraio 2009,
n. 14: prevede che “Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1,
comma 2, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lettera a), deve
intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche
iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità
di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L.
26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni”;
Il D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, conv. nella L. 26 febbraio 1994, n. 133, e
successive modificazioni, ossia quelle da ultimo apportate dal D.L. 1 ottobre 2007, n.
159, art. 42 bis, conv. in L. 29 novembre 2007, n. 222 prevede che “Ai fini fiscali
deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo
svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 cod. civ., e in particolare
destinate: …: i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o
commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative …”.
Il caso di specie ultima, oggetto della presente controversia, riguarda fabbricati che
sono di proprietà di una cooperativa di produttori agricoli e nei quali si svolgono
attività di “elaborazione” dei prodotti agricoli dei soci e, quindi, rientra nella
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3. Anche il quinto motivo è infondato.

-

categoria dell’oggetto della norma estraibile dalla disposizione contenuta nel D.L. 30
dicembre 1993, n. 557, art. 9, conv. nella L. 26 febbraio 1994, n. 133, nel testo
modificato dal D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 42 bis, conv. in L. 29 novembre
2007, n. 222, poc’anzi riprodotto. La nonna giuridica sotto la quale sussumere il caso
controverso è, pertanto, la seguente: “non è oggetto di ICI il fabbricato della società
cooperativa che, indipendentemente dalla sua iscrizione nel catasto fabbricati, è
rurale in quanto utilizzato per la manipolazione, trasformazione, conservazione,
Non trova, quindi, applicazione, quale criterio di esclusione dell’ICI dei fabbricati
rurali, la distinzione tra proprietario del fabbricato (la società cooperativa) e titolari
dei terreni agricoli asserviti (soci della cooperativa) e non assume rilevanza
l’iscrizione nel catasto dei fabbricati.
La soluzione così adottata trova conferma nella sentenza della Corte costituzionale 2
luglio 2009, n. 227, la quale si è espressa, con riguardo alla disposizione contenuta
nel D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1 bis, convertito dalla L. 27
febbraio 2009, n. 14, nel seguente modo: “Con essa si afferma, attribuendo
all’enunciazione il valore di norma di interpretazione autentica, e, quindi, con effetti
indiscutibilmente retroattivi – dato che si richiama lo specifico comma dello statuto
del contribuente che disciplina questo genere di normazione – che le costruzioni
rurali aventi le caratteristiche indicate nel più volte citato D.L. n. 557 del 1993, art. 9,
come modificato dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, non si considerano fabbricati
ai fini dell’imposizione ICI”. Risulta così abbandonata fin dall’introduzione dell’ICI,
come criterio di esclusione dall’IC dei fabbricati rurali, la distinzione fra titolare del
fabbricato (società cooperativa) e titolari dei terreni agricoli asserventi (soci della
cooperativa) e non ha alcuna rilevanza l’iscrizione nel catasto dei fabbricati.
4. Anche il sesto motivo è infondato.
I requisiti per individuare la ruralità delle unita immobiliari sono disciplinati dal cit.
art. 9, conv. nella L. 26 febbraio 1994, n. 133, nel testo modificato dal D.L. I ottobre
2007, n. 159 e prescindono dalle modalità di determinazione del reddito d’impresa.
Inoltre il settore cooperativo gode di un regime agevolativo di esenzione di imposte
(DPR 601/73, titolo III), prevedendo l’esenzione dall’1RES dei redditi conseguiti
dalle società cooperative agricole o loro consorzi nel’esercizio di ….”manipolazione,
conservazione,valorizzazione,trasfonnazione e alienazione di prodotti agricoli e
zootecnici …”e non rientra tra i soggetti a cui si applica l’imposta sul reddito delle
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valorizzazione o commercia1iz7n7ione dei prodotti agricoli dei soci”.

persone giuridiche.
La successiva abrogazione a decorrere dal gennaio 2012 della citata normativa
(comma 1 bis art. 23 D.L. 207/2008) non ha effetto retroattivo e non incide sulla
pregressa disciplina dell’ICI, ma trova giustificazione nell’intento di rendere
compatibili le norme col nuovo regime IMU, rientrando successivamente tali
fabbricati nel campo di applicazione dell’IMU
Va, conseguentemente, rigettato il ricorso.
presentazione del ricorso e la particolarità delle questioni costituiscono giusto motivo
per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità
PQM
Rigetta il ricorso.
Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma, il 19.2.2015

L’evolversi della giurisprudenza costituzionale in epoca successiva alla

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