Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10355 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 01/06/2020), n.10355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35717-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN

COSIMATO 30, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MONTANINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA FROSINI;

– ricorrente –

contro

MA.AD., P.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DI MONTE VERDE 162, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MARCELLI,

rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE MARSALA FANARA,

MARCELLA MARSALA FANARA;

– controricorrenti –

contro

M.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 910/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nella controversia derivante dalla duplice successione di C.F. e M.V., iniziata dal figlio dei due defunti M.A. contro i fratelli M.V. e Ma.Ad. e la figlia di quest’ultima P.M., l’attore deduceva, fra l’altro, la simulazione della vendita per notar Mo. del 19 aprile 2002, rep. n. 43662, intercorsa fra il defunto M.V. e P.M., sostenendo che il negozio dissimilava una donazione nulla per difetto di forma. L’attore deduceva altresì la simulazione di un ulteriore atto con il quale i genitori avevano trasferito, ma in effetti donato, alla figlia Ad. l’usufrutto di un appartamento in Palermo.

Il tribunale, con sentenza non definitiva, rigettava tali domande; disponeva lo scioglimento della comunione relativa ai beni ereditari di M.V.; disponeva la prosecuzione del giudizio per la divisione dell’asse ereditario di C.F..

Il tribunale metteva in luce la differenza, dal punto di vista teorico, fra domanda di divisione e domanda di riduzione per lesione di legittima, per concludere che l’attore non aveva proposto altra domanda se non quella di divisione. In ogni caso, secondo il tribunale, pur a volere ritenere che l’attore avesse dedotto la qualità di legittimario, egli non aveva denunciato la eccedenza della supposta donazione rispetto alla quota di riserva, nè aveva chiesto la riduzione delle disposizioni lesive, ma aveva agito solo per il recupero alla massa dei beni donati, senza neanche avere dimostrato di avere accettato l’eredità con beneficio di inventario, nonostante la pretesa fosse stata proposta nei confronti di un estraneo.

La sentenza non definitiva è stata oggetto di appello immediato dinanzi alla Corte d’appello di Palermo, che l’ha confermata, richiamando, in aggiunta agli argomenti già spesi dal primo giudice, i principi di giurisprudenza di legittimità sugli oneri di deduzione imposti al legittimario che intenda proporre l’azione di riduzione. Per la cassazione della sentenza M.A. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi.

2. Con il primo motivo si censura l’interpretazione della domanda da parte dei giudici di merito, che era univocamente intesa a far valere il proprio diritto di legittimario e conseguire la quota di riserva; con il secondo motivo si censura la decisione in base al rilievo che i giudici di merito avevno applicato la medesima disciplina ai due negozi impugnati di simulazione, nonostante, con riferimento alla donazione effettuata in favore di P.M., fosse stata eccepita la nullità del negozio dissimulato per difetto di forma; con il terzo motivo si denuncia ancora la mancata considerazione, da parte della corte d’appello, della nullità che affliggeva una delle due donazioni; con il quarto motivo si denuncia la mancata considerazione degli elementi indiziari dedotti ai fini della prova della simulazione; con il quinto, infine, la mancata considerazione di ulteriori cause di nullità che inficiavano la donazione elargita in favore di P.M..

P.M. e M.A. hanno resistito con controricorso. M.V. è rimasto intimato.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

3. I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, eseguita presso il domiciliatario.

L’eccezione è infondata.

L’attuale ricorrente aveva indicato nella citazione in appello l’indirizzo PEC, accompagnato dalla precisazione di volere ricevere presso il medesimo “le comunicazioni e notificazione nel corso del procedimento”.

Emerge chiaramente dalla giurisprudenza della Corte che l’indicazione della PEC, pure se eseguita senza ulteriori specificazioni, è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare in via esclusiva la notificazione telematica, mentre non può affermarsi altrettanto nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Cass. n. 25215/2014; n. 23412/2016).

Il controricorrente sostiene che l’indicazione della Pec vale a mettere fuori gioco la sola notificazione mediante deposito in cancelleria al difensore che non abbia eletto domicilio ai sensi indicato ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82. Al contrario discende dei principi sopra indicati che, in presenza di un indirizzo PEC ufficiale indicato dal difensore, non esplicitamente circoscritto alle sole comunicazioni, la circostanza che il difensore, come nella specie, abbia eventualmente eletto domicilio ai sensi del citato R.D. n. 37 del 1934, art. 82 non può elidere il principio, di valenza costituzionale inerente il diritto di difesa, del rispetto della scelta legittimamente effettuata dalla parte (Cass. n. 2942/2019).

Consegue che la notificazione della sentenza presso il domiciliatario deve ritenersi inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione.

4. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

Si deve chiarire che, nonostante la questione della simulazione fosse stata introdotta dall’attore con riferimento a due diversi atti di disposizione, i motivi di ricorso censurano la sentenza relativamente alla decisione assunta dalla Corte d’appello sulla sola domanda di simulazione proposta contro l’atto dispositivo intercorso fra il defunto M.V. e la nipote P.M.. I riferimenti contenuti al diverso atto originariamente impugnato hanno solo carattere illustrativo, ma non esprimono alcuna censura contro la decisione.

I giudici di merito non hanno dato seguito alla domanda volta a fare accertare la simulazione dell’atto, rimproverando all’attore di avere proposto solo una domanda di divisione e non anche una domanda di riduzione per lesione di legittima.

Il rilievo riecheggia il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, diretta a dissimulare, in realtà, una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è terzo rispetto alle parti contraenti, sicchè la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti quando, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva, proponga contestualmente all’azione di simulazione una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso” (Cass. n. 19912/2014; n. 6632/2006).

In altre pronunce il principio è formulato in termini più ampi, in modo da ricomprendere l’ipotesi del legittimario che impugni il negozio di simulazione assoluta oppure il negozio dissimulato sia nullo per difetto di forma: “L’erede legittimario che agisca per l’accertamento della simulazione di una vendita compiuta dal “de cuius”, siccome dissimulante una donazione affetta da nullità per difetto di forma, assume, rispetto ai contraenti, la qualità di terzo con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando abbia proposto la domanda sulla premessa dell’avvenuta lesione della propria quota di legittima. In tale situazione, infatti, detta lesione assurge a causa petendi accanto al fatto della simulazione ed il legittimario, benchè successore del defunto, non può, pertanto, essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c., non rilevando la circostanza che egli, quale erede legittimo, benefici non solo dell’effetto di reintegrazione della summenzionata quota, ma pure del recupero del bene al patrimonio ereditario per intero, poichè il regime probatorio non può subire differenziazioni a seconda del risultato finale cui conduca l’accoglimento della domanda” (Cass. n. 15510/2918; n. 24134/2009).

Costituisce principio altrettanto pacifico che l’onere ex art. 564 c.c. – il legittimario che voglia far ridurre donazioni o legati fatti in favore di persone non chiamate come coeredi ha l’onere di accettare l’eredità con beneficio di inventario – non viene in considerazione qualora sia fatta valere la simulazione assoluta o la nullità del negozio dissimulato. In questo caso il legittimario quale potrà proporre la domanda di simulazione pur se ha accettato l’eredità senza beneficio di inventario (Cass. n. 20971/2018). In effetti una tale domanda, essendo diretta ad accertare che i beni non sono mai usciti dal patrimonio del de cuius, non è preordinata, nemmeno in via eventuale, all’esercizio dell’azione di riduzione. Nei casi ora considerati, infatti, il legittimario integra la legittima sul bene oggetto della vendita assolutamente simulata mediante la petitio hereditatis contro il simulato acquirente, non con l’azione di riduzione, che si dirige per definizione contro liberalità valide (Cass. n. 12317/2009).

Si ricorda inoltre che quando la pretesa donazione simulata sia stata fatta a un estraneo non è configurabile alcuna pretesa del legittimario a titolo di collazione, che opera esclusivamente nei rapporti fra coniuge e discendenti del defunto (art. 737 c.c.).

La corte d’appello non si è attenuta a tali principi, essendo stata guidata nella valutazione della fattispecie dall’unico criterio volto a verificare se le deduzioni dell’attore consentissero di ravvisare un esercizio dell’azione di riduzione, laddove nella specie, in relazione al negozio intercorso fra il de cuius e P.M., la verifica della posizione assunta dal legittimario, al fine di riconoscere o negare le agevolazioni probatorie, andava fatta in base a criteri diversi, tenuto conto che il legittimario aveva dedotto la nullità del negozio dissimulato.

Assorbiti gli altri motivi.

La sentenza va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, perchè provveda a nuovo esame dell’impugnazione attenendosi al principio di cui sopra.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi tre motivi; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 1 giugno 2020

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