Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10352 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10352 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 7405-2012 proposto da:
CONIGLIARO ANTONELLA C.F.

CNGNNL79M59Z614P,

(già

Antonia Domenica, come da decreto del Prefetto della
Provincia

di

Palermo

del

24/10/2009

pro.

2005003987/1.134/Area V bis), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA C. CORVISIERI 46, presso lo
2014
121

studio dell’avvocato CAVALIERE DOMENICO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MERCATI
NICOLETTA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 13/05/2014

CENTRO

DIAGNOSTICA

0255321 -0820,

PER

IMMAGINI

S.R.L.

P.I.

già Centro Radiologico Dott. F. Violante

S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato GIURATO

SEBASTIANO, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

244/2011 della CORTE D’APPELLO

di PALERMO, depositata il 26/04/2011 R.G.N. 794/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

14/01/2014

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito l’Avvocato MERCATI NICOLETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO I che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

UGO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMANO

Udienza del 14 gennaio 2014— Aula A
n. 7 del ruolo — RG n.7405/12
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata: 1) conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n.
3983 del 6 novembre 2008 nelle parti riguardanti: a) il rigetto del ricorso di Antonina Domenica
Conigliaro volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole il 5 maggio 2003 da
parte del datore di lavoro Centro Diagnostica per Immagini s.r.l. (con le conseguenti pronunce); b)
il rigetto delle richieste differenze retributive; 2) dichiara la cessazione della materia del contendere
in ordine al TFR, alla tredicesima e alla quattordicesima mensilità.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) i fatti oggetto della contestazione disciplinare che ha portato al licenziamento sono pacifici
essendo acclarato che la lavoratrice non si è presentata al lavoro il 18, il 22 e il 23 aprile 2003,
senza alcuna richiesta di autorizzazione ovvero spiegazione:
b) deve escludersi che l’interessata abbia dimostrato fatti che possano avere una portata
esimente;
c) le acquisizioni processuali hanno evidenziato un indiscutibile deterioramento dei rapporti
personali tra le parti, in conseguenza del sospetto dell’amministratrice del Centro, Orsola Toscano,
che la lavoratrice intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito, ma non hanno anche
evidenziato “un inadempimento, a opera del datore di lavoro, delle obbligazioni, principali o anche
solo accessorie, nascenti dal rapporto”;
d) pertanto, il licenziamento è giustificato, in quanto le funzioni di segreteria
nell’organizzazione dell’attività di uno studio professionale di diagnostica strumentale, come il
Centro di cui si tratta, “rappresentano un imprescindibile punto di riferimento per il regolare
svolgimento del servizio”, sicché il descritto comportamento della lavoratrice deve considerarsi
idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro;
e) va confermata la sentenza di primo grado nella parte relativa al rigetto delle richieste
differenze retributive e va dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine al TFR,
alla tredicesima e alla quattordicesima mensilità perché, in corso di causa, il datore di lavoro ha
provveduto al relativo pagamento, considerato satisfattivo delle proprie pretese al riguardo, da parte
della lavoratrice.
2.— Il ricorso di Antonella (già Antonina Domenica) Conigliaro domanda la cassazione della
sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, il Centro Diagnostica per Immagini s.r.l.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Il ricorso è articolato in due motivi.

Si sostiene che per non riscontrare nella sentenza impugnata una “obiettiva deficienza del
criterio logico” che ha portato alla formazione del convincimento della Corte d’appello sarebbe
stato necessario che nella stessa fosse stato fatto esplicito riferimento anche alle risultanze disattese.
In altri termini, la Corte palermitana — che ha ritenuto giustificato il licenziamento dall’assenza
ingiustificata dal lavoro della dipendente — avrebbe dovuto valutare le ragioni di tale assenza,
soprattutto dopo avere dato atto dello “indiscutibile deterioramento” dei rapporti tra le parti.
Invece, la Corte territoriale ha omesso di motivare al riguardo e, quindi, di considerare se
l’assenza dal lavoro della Conigliaro poteva essere susseguita a comportamenti censurabili del
datore di lavoro, cioè potesse essere considerata come l’effetto di una reazione diretta e impulsiva
ad un torto subito o percepito da parte del datore di lavoro.
Al riguardo, la Corte palermitana non avrebbe potuto ignorare che dalla prova testimoniale
era emerso che: 1) mai, in precedenza, la dipendente aveva avuto problemi disciplinari; 2) anzi, i
datori di lavoro apprezzavano la sua capacità lavorativa ed erano intenzionati a metterla “in regola”;
3) il deteriorarsi dei rapporti — culminato con un violento diverbio svoltosi immediatamente i giorni
di assenza, nel quale le vennero rivolte accuse infamanti — riguardavano soltanto l’amministratrice
Orsola Toscano e dipendevano dal sospetto di questa — rivelatosi infondato — che la lavoratrice
intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito.
1.2.— Con il secondo motivo si denunciano: a) in riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ., in relazione agli artt. 2104 e 2105 cod. civ.,
nonché degli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966, “per la mancata giusta valutazione della
sanzione disciplinare rispetto alla gravità dell’infrazione contestata”; b) in relazione all’art.360, n. 5,
cod. proc. civ., mancata o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si sottolinea come la Corte palermitana, per effetto delle omissioni motivazionali già
individuate nel precedente motivo, non ha giustificato né motivato sul profilo relativo
all’adeguatezza e proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto al condotta della lavoratrice.
Una corretta valutazione di tale comportamento — da effettuare nel complessivo contesto di
quanto è pacificamente avvenuto con riguardo sia alle circostanze oggettive sia ai risvolti soggettivi
e psicologici della condotta — avrebbe dovuto portare la Corte territoriale a concludere che solo una
sanzione non espulsiva poteva considerarsi proporzionata al comportamento stesso.
Il

Esame delle censure
2

1.1.— Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (sulla disponibilità delle prove acquisite)
e dell’art. 116 cod. proc. civ. (sulla valutazione delle prove stesse); b) in relazione all’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione “sulle ragioni e ai fini della valutazione
della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso”.

2.1.- Fatta questa premessa, deve essere osservato, con riguardo all’impostazione generale del
ricorso, che, nonostante nell’intestazione di entrambi i motivi si faccia riferimento anche alla
violazione di norme di legge oltre a denunciarsi vizi di motivazione, la lettura complessiva del
ricorso pone in evidenza il carattere sostanzialmente formale del suddetto richiamo, risolvendosi, in
realtà, la maggior parte delle censure, nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza
impugnata, non per errori di logica giuridica che renderebbero la motivazione stessa incongrua o
incoerente, ma per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione
dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo
consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze
probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio
2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n.
18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
2.2.- D’altra parte, la Corte d’appello — conformandosi ai principi consolidati e condivisi,
affermati da questa Corte in materia — partendo dalla premessa secondo cui la ingiustificata assenza
dal servizio è un comportamento che ha un intrinseco disvalore, in quanto lede di per sé i doveri
fondamentali connessi con il rapporto di lavoro, ha ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva
rispetto alla condotta addebitata alla lavoratrice, all’esito di un giudizio di diritto — ossia di
sussunzione del fatto addebitato nella previsione legale degli artt. 1 e ss. della legge 15 luglio 1966,
n. 604 (vedi, al riguardo: Cass. 9 dicembre 2013, n. 27440) — effettuato dopo avere adeguatamente
accertato la ricorrenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi propri della fattispecie.
In particolare, la Corte territoriale, pure avendo dato atto del pacificamente emerso
deterioramento dei rapporti personali tra la amministratrice del Centro e la lavoratrice, ha tuttavia
escluso che quest’ultima abbia dimostrato fatti cui si possa attribuire una portata esimente ed ha
altresì precisato che la dipendente non ha minimamente avvertito il datore di lavoro della propria
intenzione di assentarsi per diversi giorni, così creando notevoli problemi organizzativi per lo studio
professionale di diagnostica strumentale presso il quale svolgeva le mansioni di segretaria.

3

2.- I due motivi di ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione —
non sono da accogliere per le ragioni di seguito precisate, ancorché la motivazione della sentenza
impugnata abbisogni di alcune correzioni con riguardo a certe argomentazioni (art. 384 cod. proc.
civ., u.c.), la cui erroneità non ne determina tuttavia l’annullamento, non incidendo sulla
complessiva conformità a diritto della decisione assunta, quale risulta dal relativo dispositivo (vedi,
per tutte: Cass. 9 gennaio 2008, n. 207; Cass. 22 marzo 2010, n. 6845).


Infatti, tra i normali obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro rientra anche
quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro eventuali impedimenti nel regolare
espletamento della prestazione che determinino la necessità di assentarsi e il mancato rispetto di tale
obbligo può giustificare il licenziamento in quanto la suddetta assenza dal lavoro — anche se, in
astratto, dovuta a motivi legittimi — se non comunicata è idonea ad arrecare alla controparte
datoriale un pregiudizio organizzativo derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta
effettiva ripresa della prestazione lavorativa (arg. ex Cass. 1 febbraio 1999, n. 844; Cass. 14 maggio
2003, n. 7478; Cass. 17 maggio 2013, n. 10552).
Idoneità che deve essere accertata nel caso concreto, come accaduto nella specie.
2.3.- Ne consegue che, a fronte della suddetta assorbente argomentazione, non ha rilievo
l’ulteriore argomento svolto dalla Corte palermitana, a proposito della condotta datoriale, secondo
cui le acquisizioni processuali non hanno evidenziato “un inadempimento, a opera del datore di
lavoro, delle obbligazioni, principali o anche solo accessorie, nascenti dal rapporto”.
Tale argomento, in quanto tale, non sarebbe assolutamente adeguato a descrivere il
comportamento datoriale ai fini della presente controversia, perché: 1) non solo è di per sé non
coerente con il contesto, nel quale ciò che rileva è il comportamento concreto tenuto dal lavoratore
e dal datore di lavoro con riguardo alla produzione del fatto posto a base del licenziamento; 2) ma,
inoltre, si limita a porre l’accento sull’avvenuto adempimento di obblighi che, per legge, incombono
ordinariamente sul datore di lavoro.
Tuttavia, una volta chiarito, per quel che si è detto sopra, quale deve essere considerata la
ratio decidendi della sentenza impugnata, l’erroneità del suddetto argomento diviene ininfluente, in
quanto essa finisce con il riguardare una affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della
decisione, tale da essere configurata come un obiter dictum, del tutto privo di rilievo e di efficacia
vincolante (vedi, per tutte: Cass. 8 febbraio 2012, n. 1815).
III

Conclusioni

3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. La peculiarità l’attuale della controversia e la
natura delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Ro , nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 14 gennaio 2014.

Tali ultime osservazioni, in base a costanti orientamenti di questa Corte, sono di per sé
sufficienti a ritenere adeguatamente e congruamente motivata l’affermata proporzionalità del
licenziamento al comportamento tenuto dalla dipendente.

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