Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10350 del 11/05/2011

Cassazione civile sez. II, 11/05/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 11/05/2011), n.10350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23812/2005 proposto da:

P.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato

COLETTI Pierfilippo, che la rappresenta e unitamente all’avvocato

MARCEDDU MANLIO;

– ricorrente –

contro

Z.G. (OMISSIS), G.U., G.

V., R.N., R.S., C.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOEZIO 16, presso lo studio

dell’avvocato SILLA Andrea, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CONSOLINI MARIA CARMEN;

– controricorrente –

e contro

C.R., V.A., G.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 228/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/03/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato PIERFILIPPO COLETTI difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi;

udito l’Avvocato MARIA CARMEN CONSOLINI difensore dei resistenti che

ha chiesto di riportarsi anch’essa;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso perii rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso proposto ex art. 703 cod. proc. civ., al Pretore di Reggio Emilia – sezione distaccata di Scandiamo depositato il 16 giugno 1995, Z.G., G.V., R.N., R.C., C.R., G.U., C. L. e V.A., proprietari di porzioni del Condominio (OMISSIS), esponevano che P.E. e G.L., proprietarie di una unità immobiliare posta al piano terra del Condominio, avevano destinato tale unità all’esercizio di una pizzeria e avevano installato sulla facciata esterna del fabbricato, contro la volontà espressa dall’assemblea dei condomini, una canna fumaria di acciaio, del diametro di circa 220 mm, per lo smaltimento dei fumi di un forno; che l’installazione di tale manufatto costituiva innovazione vietata dall’art. 5 del regolamento condominiale, in quanto alterava il decoro architettonico dell’edificio e arrecava grave pregiudizio alle proprietà esclusive di alcuni condomini. Pertanto, chiedevano la manutenzione del possesso. Le convenute chiedevano il rigetto della domanda.

Con sentenza del 28 aprile 2003 il Tribunale di Reggio Emilia, nel frattempo subentrato al Pretore, accoglieva la domanda, ritenendo la turbativa del possesso per la illegittima la installazione della canna fumaria sotto il profilo dell’alterazione del decoro architettonico dell’immobile condominiale.

Con sentenza dep. il 17 febbraio 2005 la Corte di appello di Bologna rigettava le impugnazioni proposte dalla convenute.

I Giudici di appello ritenevano illegittima la installazione della canna fumaria, posta dalle convenute al servizio del forno ubicato nel locale a piano di terra di loro proprietà adibito a pizzeria e non al servizio dell’impianto di riscaldamento autonomo, tenuto conto che si trattava di canna fumaria vistosa e lucente con dimensione interna di cm. 150 avente sezione utile di cmq. 177 in acciaio realizzata in mattoni “faccia a vista” che, percorrendo l’intera facciata dell’edificio fino al tetto, aveva un impatto del tutto negativo sul suo aspetto armonico: l’alterazione del decoro architettonico integrava turbativa del possesso relativo al godimento delle cose comuni da parte dei condomini.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P. E. sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso Z.G., G.V., R.N., R.S., G.U. e C. L..

Le parti hanno depositato memoria

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 cod. civ. in relazione alla L. n. 10 del 1991, art. 26, comma 2, censura la decisione gravata che, aveva ritenuto innovazione vietata le opere realizzate dalle convenute, quando la canna fumaria era stata apposta in esecuzione della delibera condominiale, adottabile a semplice maggioranza, di trasformazione dell’impianto di riscaldamento centrale in impianti unifamiliari a gas.

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 cod. civ. in relazione all’art. 1102 cod. civ., deduce che l’appoggio della canna fumaria ai muri perimetrali costituisce un uso legittimo della cosa comune ai sensi del citato art. 1102, non essendo peraltro provati fatti di alterazione della destinazione economica della cosa comune nè era risultato impedito il pari uso da parte degli altri condomini.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata laddove, nel ritenere le opere realizzate lesive del decoro architettonico dell’edificio, non aveva svolto la necessaria indagine circa lo stato e le caratteristiche dell’immobile e l’eventuale diminuzione di valore del fabbricato, essendosi sia il giudice di primo grado che quello di appello limitati a esprimere opinioni soggettive sull’interferenza del manufatto sull’estetica dell’edificio.

Con il quarto motivo la ricorrente,lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza che aveva ritenuto arbitraria l’installazione della tubazione, quando la stessa era stata apposta in esecuzione della delibera condominiale, assunta all’unanimità, di trasformazione dell’impianto di riscaldamento centrale in impianti unifamiliari a gas.

Con il quinto motivo la ricorrente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza laddove aveva ritenuto che la canna fumaria era stata installata al servizio della pizzeria posta nei locali al piano terra di proprietà delle ricorrenti, quando invece era stata posizionata a seguito della soppressione dell’impianto di riscaldamento e, soltanto temporaneamente, era stata adibita allo smaltimento dei fumi provenienti dal forno di cottura delle pizze: le dimensioni erano ridotte, per cui la canna fumaria era meno vistosa e ingombrante di quanto potrebbe apparire dalla sentenza impugnata. I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi.

La sentenza ha verificato: a) che la canna fumaria installata dalle convenute aveva la funzione di smaltire i fumi provenienti dal forno per la cottura delle pizze ubicato nel locale di proprietà delle medesime, sicchè il riferimento alle previsioni di cui alla legge n. 10 del 1991 e alla relativa legittimità del manufatto, che sarebbe stato posto in esecuzione della delibera di trasformazione dell’impianto di riscaldamento centrale, sono del tutto inconferenti, perchè non tengono conto e sono in contrasto con la ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito nell’ambito dell’indagine ai medesimi riservata;

b) la illegittimità della installazione, avendo riscontrato che la stessa era lesiva del decoro architettonico della facciata dell’edificio. Al riguardo, i Giudici hanno evidenziato che, per le dimensioni e le caratteristiche del manufatto che dal piano terra percorreva tutta la facciata dell’edificio condominiale, la installazione della canna fumaria incideva sull’aspetto e sull’armonia della facciata del fabbricato. Ne consegue che la ricorrente non può invocare, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., la legittima utilizzazione del muro comune, tenuto conto che l’appoggio di una canna fumaria al muro perimetrale di un edificio condominiale integra una modifica della cosa comune che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, qualora tale istallazione non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico:

fenomeno – quest’ultimo – che si verifica non solo quando si mutano le originali linee architettoniche, ma anche nel caso in cui la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile, e ciò a prescindere dal particolare pregio estetico dell’edificio, derivando necessariamente anche un pregiudizio economico dalla menomazione del decoro architettonico del fabbricato, che ne costituisce una qualità essenziale.

La valutazione circa l’avvenuta alterazione del decoro architettonico costituisce oggetto dell’apprezzamento del giudice di merito che, se – come appunto avvenuto nella specie – sia correttamente e congruamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità. Ed invero, le critiche formulate dalla ricorrente non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza impugnata: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente, e a favore dei resistenti costituiti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti costituiti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2011

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