Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10350 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 01/06/2020), n.10350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mau – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34998-2018 proposto da:

IMMOBILIARE DIBIERRE DI D.B. R. & C. SNC, in persona del

socio e legale rappresentante pro tempore, D.B.R.,

R.E., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA ARMENIA, 4,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA BAIONI, rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCO CODOGNO;

– ricorrenti –

contro

B. SERVIZI IMMOBILIARI PER L’IMPRESA DI B.I. & C. SAS,

in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE UNIVERSITA’ 27,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO TEDESCHI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALBERTO GYULAI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1025/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CASA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado riconoscendo il diritto del mediatore B. Servizi Immobiliari per l’impresa di B.I. & C. s.n.v. al pagamento della provvigione da parte della Immobiliatre DiBiErre di D.B. R. & C. s.n.c., in relazione a una compravendita immobiliare.

Il primo giudice aveva riconosciuto che l’eccezione di nullità del contratto per mancata iscrizione della società al ruolo dei mediatori fosse stata sollevata solo con la comparsa conclusionale, aggiungendo che l’opposta aveva dato la prova della iscrizione indicando il numero nella memoria di replica, cui aveva allegato la visura CCIAA, che riportava il cit. codice.

Secondo la corte d’appello tale valutazione era corretta, avendo il mediatore dimostrato in corso di causa, per documenti, che la società era iscritta al ruolo agenti.

La corte aggiungeva che l’iscrizione non era richiesta per i collaboratori del mediatore.

Per la cassazione della sentenza Immobilare DiBi Erre di D.B. & C. s.n.c., D.B.R. e R.E. hanno proposto ricorso affidato a un unico motivo.

B. Servizi Immobiliari per l’impresa di B.I. & C. s.n.c. ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere rigettato, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

L’unico complesso motivo di ricorsa denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6, che condiziona il diritto del mediatore alla provvigione all’iscrizione nei ruoli degli agenti di mediazione, e omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

I ricorrenti sostengono che la prova della iscrizione era stata data limitatamente alla società solo con la comparsa conclusionale tardivamente, mentre non era stata data affatto relativamente a coloro che avevano in concreto svolto l’attività di mediazione.

Il motivo è infondato.

“In tema di mediazione, qualora l’attività di intermediazione sia svolta in forma societaria, è necessario, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, che siano iscritti nell’albo di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, (nel testo applicabile ratione temporis) la società o il suo legale rappresentante. Ne consegue che l’iscrizione nel ruolo dei mediatori del legale rappresentante a titolo personale (come persona fisica) non è sufficiente a far sorgere in capo alla società il diritto alla provvigione (Cass. n. 26781/2013).

A tale principio la corte si è puntualmente attenuta, avendo accertato che “l’opposta aveva dimostrato in corso di causa, per documenti, che la società era iscritta al ruolo degli agenti”.

In quanto alla mancata dimostrazione della iscrizione di coloro che avevano operato nella vicenda (ulteriore censura oggetto del motivo in esame), si sostiene che costoro, contrariamente a quanto supposto dalla corte di merito, non avevano esplicato una semplice attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti, ma avevano svolto attività mediatizia in senso proprio, compiendo atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, e impegnativi per l’ente da cui dipendono.

Secondo i ricorrenti, in applicazione di consolidati principi di giurisprudenza (Cass. n. 8709/2009), da ciò discendeva che, nella specie, era necessaria anche l’iscrizione delle persone fisiche in proprio. In particolare l’attività tipica di mediazione, giustificativa della iscrizione, è identificata dai ricorrenti nell’accompagnamento del potenziale acquirente alle visite (pag. 8 del ricorso).

In questo senso, però, la censura prelude a una inammissibile ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dalla sentenza, che ha riferito l’attività di mediazione alla società e non alle persone fisiche.

Ai ricorrenti non giova richiamare il principio di Cass. n. 8707/2009. Tale pronuncia, infatti, è intervenuta in una fattispecie diversa da quella in esame, nella quale “tutti gli atti tipici della professione mediatoria” erano sono stati in concreto posti in essere da una persona fisica, in assenza di qualsiasi intervento della società tramite persona abilitata. In tale situazione la Corte ha riconosciuto che, in quel caso, il risultato dell’opera del mediatore utilmente accettata e valorizzata da entrambe le parti, così come accertato dai giudici di merito, era consistita nell’intervento della persona fisica, figlio della legale rappresentante della società, il quale avrebbe accompagnato l’acquirente a visitare l’appartamento posto in vendita presentandolo quindi allo stesso e rendendo così possibile il successivo perfezionamento dell’affare tra le parti. Quindi ha negato il diritto alla provvigione non essendo colui che aveva svolto l’intera attività di mediazione abilitato al compimento di tale attività.

E’ facile rilevare che il precedente non fornisce argomento per sostenere, in termini assoluti, che il rispondere al telefono, prendere contatti e l’accompagnamento del potenziale acquirente alle visite (pag. 3 della memoria), qualora compiuti da collaboratori della società incaricata della mediazione, costituiscano atti a rilevanza esterna tale da richiedere l’autonoma iscrizione del collaboratore all’apposito albo.

Quanto a Cass. n. 18889/2008, richiamata in memoria, la medesima riafferma principi consolidati nella giurisprudenza della Corte: “In tema di mediazione, qualora l’attività di intermediazione sia svolta in forma societaria, l’obbligo di iscrizione nell’apposito ruolo grava in primo luogo sulla società in quanto tale ed anche sui suoi legali rappresentanti, sul preposto a tale ramo d’attività e sugli ausiliari che svolgano l’attività mediatoria per conto della società, i quali tutti dovranno possedere i requisiti previsti dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39, e dal regolamento di attuazione approvato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452. Ne consegue che sia insufficiente, al fine del sorgere del diritto alla provvigione in capo alla società non iscritta nell’apposito ruolo che abbia esercitato attività di mediazione, il fatto che il suo legale rappresentante sia iscritto nel ruolo dei mediatori come persona fisica, in quanto ciò lo abilita a svolgere l’attività di mediazione e a percepire la provvigione in nome proprio e non anche a nome della società, con conseguente obbligo di restituire la provvigione percepita in capo al soggetto non iscritto”.

Sotto questo profilo i ricorrenti censurano la decisione in termini generici e di principio, in assenza di qualsiasi deduzione di un fatto, dedotto e non esaminato (arg. ex 360 c.p.c., comma 1, n. 5: Cass., S.U., n. 8053/2914), idoneo a dimostrare che l’attività di mediazione facesse capo in via diretta e alle persone fisiche e non alla società, di cui la corte di merito ha accertato la regolare iscrizione.

In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

ridetta il ricorso; condanna i ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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