Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1035 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. I, 17/01/2011, (ud. 13/12/2010, dep. 17/01/2011), n.1035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della corte d’appello di Napoli RGN

1775/07 depositato il 9 luglio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 13 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.M. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che, liquidando Euro 16.500,00 per anni sedici e mesi sei di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al t.a.r. Campania a far tempo dal 18 novembre 1987 e non ancora definito alla data di deposito della domanda (24 maggio 2007).

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che “Il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione deducendosi che la corte d’appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte europea sono manifestamente infondati alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente ai principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Con il quarto e il quinto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001” (Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Gli ulteriori motivi con i quali ci si duole sotto diversi profili della parziale compensazione delle spese sono anch’essi manifestamente infondati in quanto il giudice ha dato rilievo all’accoglimento solo parziale della domanda ed è principio affermato quello secondo cui “Nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, trova applicazione fa disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese. Tale principio non è in contrasto con l’art. 34 della convenzione europea per i diritti dell’uomo, come modificata dai protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali; pertanto, anche nel caso di accoglimento parziale della domanda o quando sussistano giusti motivi, l’autonomia della normativa nazionale comporta l’applicabilità della regola dettata dell’art. 92 c.p.c.” (Cassazione civile, sez. 1^, 15 luglio 2009, n. 16542).

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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