Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10349 del 19/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10349 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 10653-2013 proposto da:
DEL

BERGIOLO

FABIO

C.F.

DLBFBA59H2OL3040,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAESTRO
GAETANO CAPOCCI 18, presso lo studio dell’avvocato
ARMANDO TAGLIERI, rappresentato e difeso
dall’avvocato LORENZO DI GAETANO, giusta delega in
2016

atti;
– ricorrente –

572

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI – DIREZIONE
REGIONALE DELLA LOMBARDIA C.F.

97210890584,

in

Data pubblicazione: 19/05/2016

persona del Direttore pro tempore, rappresentata e
difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i
cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI
n. 12;
controricorrente

D’APPELLO di MILANO, depositaLa 11 09/01/2013 R.G.N.

2426/2012i
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2016 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato DE CARO FLORA per delega DI GAETANO
LORENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1914/2012 della CORTE

R.g. 10653 del 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 1914/2012, depositata il
9 gennaio 2013, rigettava l’impugnazione proposta da Del Bergioio Fabio, nei
confronti dell’Agenzia delle dogane, avverso la sentenza emessa tra le parti dal
Tribunale di Busto Arsizio, n. 31 del 2012, e confermava dunque la medesima.
2. Il Bergiolo aveva proponeva appello avverso la suddetta sentenza con la
quale erano state rigettate

le domande proposte dallo stesso avverso il

licenziamento senza preavviso intimatogli in data 30 settembre 2009.

3. Il licenziamento era stato fondato sugli illeciti disciplinari oggetto della
sentenza definitiva numero n. 679/2004 del GUP di Busto Arsizio che aveva
condannato il Bergiolo alla pena detentiva di anni uno e mesi sei di reclusione,
oltre euro 600.000,00 di multa, con interdizione temporanea dai pubblici uffici per
anni due, con applicazione della sospensione condizionale della pena.
4. Per la cassazione della sentenza resa dalla Corte d’Appello ricorre il Del
Bergiolo, proponendo due motivi di impugnazione.
5. Resiste l’ Agenzia delle dogane e dei monopoli con controricorso.
6, Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre premettere che la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione del
Del Bergiolo affermando che dopo la conoscenza non ufficiale dell’avvenuta
conclusione del procedimento penale a carico dell’appellante con sentenza della
Corte di cassazione, l’Agenzia delle dogane si era attivata tempestivamente in data
30 aprile 2009 per chiedere copia della sentenza.
Ha ritenuto la Corte d’Appello che, anche a voler considerare che vi fosse
stata una conoscenza informale della conclusione del giudizio di legittimità prima di
tale data, ciò che rilevava ai fini dell’applicazione del disposto dell’articolo 68,
comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro, era l’acquisizione formale
della pronuncia definitiva al fine dell’attivazione del procedimento disciplinare
azionato, a seguito della trasmissione della sentenza e della valutazione di ogni
altra circostanza.
Il giudice di secondo grado rigettava anche il motivo di impugnazione
relativo alla circostanza che l’amministrazione avesse erroneamente mutuato le
risultanze dei giudizi penali senza svolgere alcuna autonoma valutazione di
proporzionalità della sanzione.
In proposito, la Corte d’Appello ricorda il disposto dell’articolo 653, comma
1, cpp, che stabilisce come la sentenza penale irrevocabile di condanna ha effetto
di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche
autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto della sua illiceità
penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Rileva, quindi, che
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R.g. 10653 del 2013

nella sentenza di condanna del GUP erano state evidenziati numerosi
comportamenti di sicura rilevanza penale consistenti nel prendere parte a numerose
operazioni di rimborso IVA illegittime, in concorso con un privato cittadino, risultanti
in truffe ai danni dello Stato, commesse grazie alle funzioni dallo stesso rivestite
con abuso della propria qualifica di pubblico ufficiale in servizio presso la sezione
viaggiatori dell’aeroscalo di Malpensa.
La Corte d’Appello ricorda che era stato accertato dalla magistratura penale
la apposizione sulle fatture irregolari, rimborsate in assenza dell’unico soggetto

legittimato a chiedere tale rimborso, timbri con numeratore riconducibili al Del
Bergiolo, nonché la firma dello steso sulle fatture, cui seguivano i rimborsi tutti in
contanti, pur in assenza, nel territorio italiano del soggetto avente diritto al
rimborso.
Alla luce di tali risultanze, risultava l’addebitabilità di condotte in contrasto
con i doveri d’ufficio, tali da legittimare la perdita di fiducia del datore di lavoro nel
dipendente, integrando la violazione dell’art. 2 del CCNL correttamente richiamato
nel provvedimento di licenziamento e nella sentenza di primo grado.
2. Con il primo motivo di impugnazione è dedotta violazione dell’articolo
2106 cc, omesso esame di un fatto decisivo.
Assume il ricorrente, richiamando la disciplina di cui all’art. 7 della legge n.
300 del 1970, e agli artt. 54 e 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché i contratti
collettivi di comparto, che l’Amministrazione non avrebbe svolto alcuna
istruttoria, ma avrebbe fatto riferimento, acriticamente, ai fatti oggetto del
processo penale.
La fattispecie oggetto del licenziamento non rientrava in quelle
specificamente indicate dall’art. 55 quater del d.lgs 165 del 2001.
Nel caso di specie, nessuna istruttoria era stata svolta per l’accertamento
del fatto concreto. Orbene, la fattispecie in esame non rientrava in alcuna delle
ipotesi di cui alla norma richiamata, il ricorrente durante le fasi processuali non
era stato sospeso, e neppure allontanato o trasferito dalla sua sede di lavoro come
risultava dagli atti, il ricorrente aveva continuato a svolgere la sua attività di lavoro
con le medesime funzioni. Così facendo, il giudice d’appello aveva violato l’articolo
2106 del codice civile. Nel caso di specie l’amministrazione si era limitata a fare
proprie le risultanze del procedimento penale conclusosi, omettendo quindi di
fondare la irrogata sanzione sulla base di una autonoma valutazione dei fatti e di
tutto il materiale probatorio acquisito nel procedimento penale.
La sanzione disciplinare deve essere graduata in base alla gravità dei fatti
contestati, e non è possibile applicare automaticamente una sanzione disciplinare
prescindendo dalla valutazione della sua proporzionalità.
3. Il motivo non è fondato.
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R.g. 10653 del 2013

L’efficacia delle sentenze penali nel giudizio disciplinare è regolata dall’art.
653 c.p.p., che attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza penale irrevocabile
di assoluzione e a quella di condanna, rispettivamente quanto all’accertamento che
il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha
commesso e quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità
penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
L’equiparazione della sentenza applicativa della pena patteggiata alla
sentenza di condanna, espressamente prevista a determinati fini già dalla legge 19

marzo 1990, n. 55, art. 15, comma 1 bis, opera ora anche ai fini del procedimento
disciplinare. Infatti, dal combinato disposto dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, e
dell’art. 653 c.p.p., comma 1 bis, nel testo di cui alla cit. iegg 27 marzo 2001, n.
97, artt. 1 e 2, risulta che la sentenza irrevocabile di applicazione della pena a
richiesta (cd. sentenza di patteggiamento), al pari della sentenza penale
irrevocabile di condanna, ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità
disciplinare (v. C. cost. n. 336 del 2009; Cass., n. 10 marzo 2010 n. 5806).
La sentenza n. 336 del 2009 è intervenuta sul valore del giudicato della
sentenza di patteggiamento, e ha affermato «la ratio posta a fondamento della
legge n. 97 del 2001, è nota ed è stata rimarcata anche da questa Corte.
Nell’osservare, infatti, che “con le novità introdotte dalla legge n. 97 del 2001, sia
la sentenza penale irrevocabile di condanna, sia la sentenza di applicazione della
pena su richiesta sono destinate ad esplicare effetti nel giudizio disciplinare”, si è
rilevato che, in tal modo, il legislatore ha inteso assicurare “non solo una
sostanziale coerenza tra sentenza penale ed esito del procedimento amministrativo,
ma, soprattutto, una linea di maggiore rigore per garantire il corretto svolgimento
dell’azione amministrativa” (v sentenza n. 186 del 2004). Un rigore, d’altronde,
espressamente evocato nei lavori preparatori della citata legge n. 97 del 2001, al
punto che lo stesso relatore della iniziativa legislativa non mancò di sottolineare
come la opzione prescelta, “pur incidendo negativamente sulla portata deflattiva del
contenzioso penale dell’istituto del patteggiamento, (aveva) il sicuro e positivo
effetto di impedire che soggetti la cui credibilità è minata dall’applicazione della
pena patteggiata, (potessero) continuare a rivestire responsabilità nelle
amministrazioni pubbliche”».
Nella specie, dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale rilevava che sia
dal GUP di Busto Arsizio che dal Collegio penale, con motivazione che condivideva,
erano stati evidenziati numerosi comportamenti tenuti dal Del Bergiolo di rilevanza
penale, consistenti nel prendere parte a molteplici operazioni di rimborso illegittime,
in concorso con un privato cittadino, risultanti in truffa ai danni dello Stato
commesse grazie alle funzioni dallo stesso rivestita, con abuso della propria
qualifica di pubblico servizio presso la sezione viaggiatori dell’aeroscalo di Milano.
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R.g. 10653 del 2013

Sottolineava il giudice di appello come erano stati accertati dalla
magistratura penale la apposizione, sulle fatture irregolari, rimborsate in assenza
del’unico soggetto legittimato a chiedere tale rimborso, di timbri con numeratore
riconducibile al Del Bergiolo, nonché la presenza della firma dello stesso su tali
fatture, cui sono seguiti rimborsi successivi tutti in contanti pur in assenza, nel
territorio italiano, dell’avente diritto al rimborso.
Alla luce di tali risultanze, affermava la Corte d’Appello che erano

d’ufficio, accertate con sentenza penale di condanna irrevocabile, tali da legittimare
la perdita di fiducia del datore di lavoro nel dipendente che deve invece sostenere il
rapporto di lavoro, integrando così quella violazione dell’articolo 2 del contratto
collettivo di lavoro correttamente richiamata sia nel provvedimento di licenziamento
sia nella decisione impugnata.
Il Giudice di appello, quindi, ha sottoposto i suddetti elementi al proprio
vaglio critico, valutandone la loro rilevanza al fine della negazione del vincolo di
fiducia che connota il rapporto di lavoro.
Ne consegue che la Corte d’Appello di Milano si e’ conformata al pertinente
orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in base al quale il giudice
civile, puo’ utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un
giudizio penale, gia’ definito, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi
di fatto gia’ acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al
proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel
giudizio civile (vedi, per tutte: Cass. 16 maggio 2000, n. 6347; Cass. 7 febbraio
2005, n. 2409; Cass. 19 ottobre 2007, n. 22020; Cass. 27 aprile 2010, n. 10055;
Cass. 29 ottobre 2010, n. 22200; Cass. 30 gennaio 2013, n. 2168; Cass. 21 giugno
2013, n. 15673).
La Corte territoriale, inoltre, ha supportato tale valutazione con congrua,
logica e lineare motivazione.
Pertanto, la sentenza impugnata sfugge alla censure lamentata, in quanto
anche la mancata disposizione della previa acquisizione degli atti del processo
penale risulta effettuata in conformita’ al consolidato e condiviso indirizzo di questa
Corte secondo cui il giudice che fondi il proprio convincimento sulle risultanze di una
sentenza penale non e’ tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del
processo penale ed esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un
razionale convincimento, ritenga sufficienti le risultanze della sola sentenza (Cass.
13 maggio 1982, n. 2968; Cass. 15 dicembre 2000, n. 15826; Cass. 29 ottobre
2010, n. 22200).

addebitabili all’appellante molteplici condotte in contrasto con i propri doveri

R.g. 10653 del 2013

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’articolo 68,
comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro delle agenzie fiscali in
relazione all’articolo 5, comma 4, della legge 97 del 2001.
Il ricorrente si duole che pur avendo informato, con lettera del 29 aprile
2009, l’Amministrazione della decisione della Corte di cassazione del 30 aprile
2009, la stessa riattivava il procedimento penale solo l’8 luglio 2009, in violazione
delle disposizioni richiamate che indicano nella notizia della sentenza definitiva il
momento in cui deve essere riattivato il procedimento disciplinare, perché dalla

riattivazione decorre il termine per la conclusione dello stesso.
Il motivo non è fondato.
Come questa Corte ha già affermato (Cass., n. 22418 del 2009, richiamata
dalla Corte d’Appello), in tema di procedimento disciplinare nei confronti di
dipendenti pubblici condannati in sede penale, il termine per l’instaurazione o la
riattivazione del procedimento stesso, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 97 del 2001,
decorre dalla comunicazione della sentenza irrevocabile all’Amministrazione datrice
di lavoro, rispondendo tale soluzione alla duplice esigenza di non procrastinare
eccessivamente il potere disciplinare dell’amministrazione e di evitare che il termine
decorra anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza e all’avvenuta
conoscenza, da parte dell’Amministrazione medesima, dell’irrevocabilità della
condanna del proprio dipendente, e dovendosi escludere che, ai fini della
identificazione del termine iniziale, assuma rilevo la comunicazione della sentenza
penale alle parti e ai loro difensori, trattandosi di attività interna al processo penale
funzionale all’impugnazione del provvedimento giudiziale. Resta ferma, peraltro, la
possibilità per la P.A. di riattivare la procedura anche a seguito di una
comunicazione non ufficiale della sentenza irrevocabile ad opera del proprio
difensore ovvero dello stesso dipendente che miri a far cessare una situazione di
obbiettiva incertezza a lui pregiudizievole, rispondendo tale soluzione ai canoni di
buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Nella specie come deduce lo stesso ricorrente l’Amministrazione in data 29
aprile 2009 riceveva dallo stesso una lettera informativa, ma non interveniva la
comunicazione della sentenza.
5. Il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
PQM

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R.g. 10653 del 2013

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro quattromila per compensi
professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Il Presidente

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’Il febbraio 2016

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