Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10347 del 19/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10347 Anno 2016
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1710-2011 proposto da:
SARNO ANGIOLINA C.E. SRNNLN39H63E746J, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio
dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa
dall’avvocato ANGELO SORACE, giusta delega In atti;
– ricorrente contro

2016
389

CONDOMINIO DEL FABBRICATO IN NAPOLI CORSO AMEDEO DI
SAVOIA 222 P.I. 94032420633;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 19/05/2016

CONDOMINIO DEL FABBRICATO IN NAPOLI CORSO AMEDEO DI
SAVOIA 222 P.I. 94032420633, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio
dell’avvocato NUNZIO RIZZO, che lo rappresenta e

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

SARNO ANGIOLINA C.F. SRNNLN39H63E746J, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio
dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa
dall’avvocato ANGELO SORACE, giusta delega in atti;
– controri corrente al ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 7267/2009 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 16/01/2010 R.G.N. 7389/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
e’ comparso l’Avvocato CALOGERO ARMANDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, assorbito
l’incidentale.

difende, giusta delega in atti;

R.G. 1710/11

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 16.1.10 la Corte d’appello di Napoli rigettava il
gravame di Angiolina Sarno contro la sentenza 29.3.06 del Tribunale della
stessa sede che ne aveva accolto la domanda nei confronti del Condominio di
c.so Amedeo di Savoia n. 222 – Napoli, limitatamente al TFR (per C 5.507,56) e
in relazione al riconoscimento d’un rapporto di lavoro dal 1982 al 30.4.02.
Per la cassazione della sentenza ricorre Angiolina Sarno affidandosi a quattro

Il Condominio di c.so Amedeo di Savoia n. 222 – Napoli resiste con
controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi in quanto aventi ad
oggetto la medesima sentenza.

2- Il primo motivo del ricorso principale denuncia vizio di motivazione nella
parte in cui la sentenza impugnata ha qualificato come contratto d’appalto
quello intercorso dal 1972 al 1982, malgrado la mancanza d’un atto formale in
tal senso tra la sig.ra Sarno e la Cooperativa Nisco (originaria proprietaria
dell’edificio prima della costituzione del condominio, che aveva conferito alla
ricorrente l’incarico di effettuare le pulizie del palazzo) e nonostante che l’esito
dell’istruttoria abbia fatto emergere che non vi è stata soluzione di continuità né
differenza nelle modalità di svolgimento del rapporto tra il periodo precedente e
quello successivo al 1982, fattane salva la formalizzazione e la regolarizzazione
di posizione contributiva; inoltre – prosegue il ricorso – contraddittoriamente la
sentenza impugnata ha rigettato la domanda di differenze retributive per il
periodo susseguente al 1982 in base alle stesse dichiarazioni riferite al periodo
precedente, di guisa che la Corte non poteva qualificare come autonomo il
lavoro espletato nel primo arco temporale (cioè fino al 1982) e, invece,
subordinato quello successivamente espletato.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c.
per avere i giudici di merito trascurato che anche prima del 1982 sussistevano
tutti gli indici sintomatici della subordinazione, vale a dire continuità della
prestazione, sua eterodirezione da parte del condominio intimato, modalità di
erogazione del compenso, fornitura da parte del condominio degli strumenti di
lavoro, regolamentazione dell’orario di lavoro, insussistenza d’una sia pur
minima auto-organizzazione di tipo imprenditoriale e d’un rischio di impresa da
parte della lavoratrice, carattere semplice e ripetitivo delle sue mansioni (tali da
non richiedere l’esercizio d’un potere gerarchico mediante precise direttive di
lavoro).

motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

R.G.I710/11

Doglianze sostanzialmente analoghe vengono fatte valere nel terzo motivo di
ricorso, sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.
Con il quarto motivo del ricorso principale ci si duole di vizio di motivazione
nella parte in cui la gravata pronuncia ha rigettato le pretese differenze
retributive e di TFR per il periodo successivo al 1982 in base all’erroneo
presupposto che in appello la sig.ra Sarno non avesse, in proposito, svolto
alcuna censura contro la sentenza di prime cure: si obietta – invece – in ricorso

specificamente censurata per cattivo governo delle risultanze testimoniali, da
cui era emerso che la ricorrente lavorava tutti i giorni della settimana e per
almeno otto ore al giorno; infine – conclude il ricorso – la decisione della Corte
territoriale è contraddittoria là dove afferma la mancanza di prova d’un orario
lavorativo superiore alle otto ore giornaliere nel periodo 1972-2002, in
contrasto con quanto in precedenza asserito in riferimento al periodo
precedente al 1982.

3- I primi tre motivi del ricorso principale – da esaminarsi congiuntamente
perché tutti incentrati sulla qualificazione giuridica del rapporto dal 1972 al
1982 – vanno disattesi perché in realtà suggeriscono esclusivamente una
rivisitazione del materiale istruttorio (documentale e testimoniale) affinché se
ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata,
operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di
denuncia di vizio di motivazione.
In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento
della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale modus
operandi non è idoneo a segnalare un vizio di motivazione ai sensi e per gli
effetti dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. (nel testo, applicabile ratione temporis,
previgente rispetto alla novella di cui all’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in
legge 7.8.2012 n. 134).
Infatti, i vizi argomentativi deducibili con il ricorso per cassazione alla luce del
previgente testo dell’art. 360 co.

10 n. 5 c.p.c. non possono consistere in

apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, perché a
norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – come tale
insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio
convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità,
l’affidabilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie,
quelle ritenute idonee e rilevanti, con l’unico limite di supportare con congrua e
logica motivazione l’accertamento eseguito (v.,
Cass. S.U. n. 5802/98).

ex aliis, Cass. n. 2090/04;

che nelle pagine 11 e 12 dell’atto d’appello la sentenza del Tribunale era stata

R.G. 1710/11

Le

differenti

letture

ipotizzate

in

ricorso

scivolano

sul

piano

dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e
una loro delibazione, in punto di fatto, incompatibili con il giudizio innanzi a
questa Corte Suprema, cui spetta soltanto il sindacato sulle massime di
esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie, nonché la
verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle
argomentazioni sostenute, senza che ciò possa tradursi in un nuovo

gradi precedenti.
A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non
può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito,
dovendosi limitare questa Corte a verificare che egli non abbia confuso con
massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.
Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto
generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a
decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla
cui osservazione sono dedotti e oltre i quali devono valere; tali massime sono
adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei
sillogismi giudiziari.
Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del
sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit,
insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti
priva, però, di qualunque pur minima plausibilità.
Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di
inesistenti massime di esperienza né violazioni di regole inferenziali, ma si
limita a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il
che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di
legittimità, che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità
argomentativa la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella
ritenuta in sentenza.
Né un ricorso per cassazione può enucleare vizi di motivazione dal mero
confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che
suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in
sede di legittimità.
In breve, la gravata pronuncia ha – con motivazione immune da vizi logici o
giuridici – accertato che per il periodo anteriore al 1982 manca la prova della
subordinazione, non risultando un vincolo di orario di lavoro, un
assoggettamento ad eterodirezione della prestazione lavorativa né una sua

accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei

R.G. 1710/11

infungibilità soggettiva (atteso che la ricorrente veniva a volte coadiuvata dal
marito e dai figli).
Quanto agli altri possibili indici sintomatici della subordinazione, essi vengono
invocati in ricorso senza però chiarire quali sarebbero state le concrete modalità
di erogazione del compenso percepito dalla sig.ra Sarno dal 1972 al 1982 e
quali gli strumenti e/o i materiali di lavoro che sarebbero stati forniti dal
condominio intimato, a tal fine non bastando il mero rinvio agli atti e alla

Né risulta la contraddittorietà di motivazione che – ad avviso della ricorrente sarebbe stata insita nel rigetto della domanda di differenze retributive per il
periodo susseguente al 1982 in base alle stesse dichiarazioni riferite al periodo
precedente, nel senso che la Corte territoriale non avrebbe potuto qualificare
come autonomo il lavoro espletato nel primo arco temporale (cioè fino al 1982)
e, invece, subordinato quello successivamente espletato: in realtà, poiché
l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato era pacifica tra le parti a
decorrere dal 1982, in nessun caso i giudici d’appello avrebbero potuto
pervenire ad una soluzione diversa per tale periodo, mentre per quello
precedente hanno valorizzato, oltre alle dichiarazioni della ricorrente e dei testi,
anche il contratto stipulato con la cooperativa Nisco, concludendo per il difetto
di prova della subordinazione.
In proposito è appena il caso di ricordare che ben può il giudice di merito
ritenere attendibile e affidabile un teste riguardo a determinati contenuti
narrativi e non anche in ordine ad altri provenienti dal medesimo dichiarante.
L’unico limite alla c.d. valutazione frazionata di una prova dichiarativa è che
non vi siano interferenze fattuali e logiche fra la parte del narrato ritenuta falsa
o comunque non attendibile o non affidabile e le rimanenti parti reputate,
invece, meritevoli di credito, interferenze che si verificano solo quando – ma
non è questo il caso in esame – fra la prima parte e le altre esista un rapporto
di causalità necessaria ovvero quando l’una sia imprescindibile antecedente
logico dell’altra.

4- Il quarto motivo del ricorso principale va disatteso perché prospetta sub
specie di vizio di motivazione quello che, in realtà, si sarebbe dovuto dedurre
come error in procedendo, tale essendo la denunciata omissione di pronuncia
su un motivo di gravame erroneamente ritenuto insussistente dal giudice
d’appello.
Giova in proposito ricordare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto
censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 co. 1° c.p.c.,
deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed
4

continuità della prestazione.

R.G. 1710/11

inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata
norma codicistica, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o
l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in
cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia su una delle domande o eccezioni
proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità
della fattispecie di cui al n. 4 dei primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo
all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi (ed è ciò che manca nel caso in

omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché
sostenga.che la motivazione sia mancante od insufficiente (cfr. Cass. S.U. n.
17931/13).
Né si ravvisa la contraddizione – circa l’orario di lavoro – lamentata nel quarto
motivo del ricorso principale: in realtà, dalla lettura della motivazione non
emerge affatto che la Corte territoriale abbia affermato che nel periodo 19721982 la ricorrente abbia osservato un orario di otto o più ore giornaliere, anzi, i
giudici d’appello hanno ritenuto insussistente la prova d’un vincolo orario in tale
lasso di tempo.

5- II rigetto del ricorso principale assorbe la disamina di quello incidentale
condizionato, con il quale il condomino intimato denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1117 e ss. c.c. e vizio di motivazione, per avere la Corte
di merito disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del
condominio medesimo per il periodo anteriore al 1982 (legittimazione che il
condominio attribuisce alla Società Cooperativa a r.l. Nisco) in base al
all’erroneo presupposto d’una sua costituzione di fatto sin dal 1972.

6- In conclusione, il ricorso principale va rigettato, mentre quello incidentale
condizionato risulta assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte,
riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, dichiara assorbito quello incidentale
condizionato e condanna la ricorrente principale a pagare le spese del giudizio
di legittimità, liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori come per legge.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 2.2.16.

esame) univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa

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