Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10346 del 01/06/2020
Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 01/06/2020), n.10346
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28646-2018 proposto da:
C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e
difesa dagli avvocati FIORAVANTE RONCA, COSTANTINO MONTESANTO;
– ricorrente –
contro
D.M.M., D.M.P., D.M.A.,
D.M.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo
studio dell’avvocato MARINA CARDONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato ROBERTO LENZA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 884/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,
depositata il 15/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 31/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
GRASSO.
Fatto
RITENUTO
che la Corte d’appello di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione proposta da C.C., così confermando quella di primo grado;
che D.M.G., la C. e altri, la cui posizione più non rileva, avevano acquistato, frazioni di un compendio immobiliare in origine in proprietà di B.S. e successivamente diviso tra i di lui figli;
che il Tribunale accogliendo in parte la domanda avanzata da D.M.G. e successivamente dai di lui figli D.M.C., D.M.M., D.M.P. e D.M.A., intervenuti per successione, siccome riporta la sentenza d’appello, aveva dichiarato che gli eredi di D.M.G. “erano comproprietari per 24/27 (8/9) sull’aia e sul pertinenziale pozzo e che il residuo era di proprietà della convenuta; dichiarava altresì che gli attori erano gli unici ed esclusivi proprietari della corte e del forno insistente sulla particella (OMISSIS); conseguentemente condannava la convenuta al rilascio immediato della corte e del forno”;
che avverso la predetta statuizione C.C. propone ricorso sulla base di tre motivi e che i D.M. resistono con controricorso;
che entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Diritto
RITENUTO
che con il primo motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che la Corte salernitana, dopo aver errato nella specificazione in ventisettesimi delle quote (a 7/9 e 2/9 corrispondevano, rispettivamente, 21/27 e 6/27 e non già 23/27 e 4/27), assumendo che:
– la sentenza si era limitata a riportare le valutazioni del Giudice di primo grado, senza esaminare i titoli di provenienza, le indicazioni catastali, i grafici redatti dal CTU, che illustravano le intervenute mutazioni e limitandosi, infine, ad affermare che “la dedotta espropriazione” non assumeva rilievo, poichè la Corte d’appello doveva limitarsi “a vagliare solo la legittimità dell’ordine di ripristino in ordine a detto bene comune”;
ritenuto che la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità per il convergere di più ragioni:
a) la ricorrente pretende di devolvere al giudizio di legittimità l’intero riesame della vicenda di merito, dipanata dai Giudici di primo e secondo grado, peraltro attraverso il sommario richiamo ad atti del processo non specificamente, ragionatamente e compiutamente messi a disposizione della Corte, ivi incluse le risultanze della CTU, richiamate attraverso ellittiche interpretazioni;
b) per contro, la sentenza impugnata, prende in esame le doglianze dell’appellante e le disattende alla luce delle risultanze degli elaborati del consulente del giudice (pagg. 8 e 9), nel mentre le condizioni del bene, materiali (da tempo franato) e giuridiche (oggetto di esproprio) non è dato cogliere perchè dovrebbero interferire con la vicenda qui al vaglio;
c) la Corte d’appello ha preso in esame i fatti decisivi (dei quali, in definitiva la ricorrente chiede interpretazione alternativa), essendo sufficiente che il giudice, come nel caso di specie, dia mostra di ponderare le emergenze di causa, che fra loro coordinate, lo indirizzano in una data direzione, non occorrendo che il medesimo debba elencare ogni singola e minuta risultanza, ove il complesso del ragionamento, specie ove supportato dal condiviso lavoro del consulente, mostri inequivocamente che egli ha preso in considerazione la complessità del fatto;
e) quanto all’errore matematico evidenziato (la cui sussistenza viene riconosciuta anche dai resistenti, che lo addebitano ad una errata trascrizione in sentenza della corretta indicazione del CTU), deve osservarsi che lo stesso non solo non ha formato oggetto di motivo di ricorso, ma neppure di richiesta di correzione e risulta, peraltro, ininfluente, avendo la sentenza d’appello confermato quella di primo grado, scevra da errore;
considerato che il secondo motivo, con il quale la C. deduce nullità della sentenza impugnata per omessa o apparente motivazione, ex art. 132, comma 2, n. 4, e/o art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 4, è manifestamente destituito di giuridico fondamento:
– come sopra si è evidenziato la sentenza qui al vaglio ha reso compiuta e intelligibile motivazione, dovendosi, pertanto escludere l’ipotesi dell’assenza o del simulacro motivazionale, che come noto ricorre solo, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145); dovendosi a tale ipotesi aggiungere il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talchè appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo aprioristico, che prescinde dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto;
considerato che il terzo motivo, con il quale vengono denunziati “gli stessi motivi”, con ciò essendosi voluto intendere le stesse violazioni, di cui ai due precedenti motivi, a riguardo della condanna della ricorrente a ripristinare l’aia e a rilasciare la corte e il forno, affermandosi che la censura non era stata esaminata dalla Corte locale, è manifestamente infondato, avendo la sentenza d’appello esaminato il punto e, laddove, peraltro assai impropriamente, la ricorrente abbia inteso prospettare l’assenza di motivazione, non possono che valere le precedenti osservazioni, avendo la decisione appalesato le ragioni della statuizione (pag. 9);
considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, siccome in dispositivo;
considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020