Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10345 del 19/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10345 Anno 2016
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA
sul ricorso 5231-2013 proposto da:
BARETTO VITTORIO C.F. BRTVTR54P30D969C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 20, presso lo
studio dell’avvocato MADDALENA FERRAIUOLO,
rappresentato

e

difeso

dall’avvocato

VINCENZO

GIOVINAZZO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016

349

aontro

CENTRO SERVIZI SOCIO ASSISTENZIALI SANITARI IPAB

LERCARO OVADA C.F. 84001730062, in persona del
presidente e legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 19/05/2016

O

elettìvamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

ITI

presso lo studio dell’avvocato ORLANDO SIVIERI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO
RUSCA, giusta delega in atti;

controxicorrente

di TORINO, depositata il 22/08/2012 R.G.N. 1416/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito l’Avvocato FERRAIUOLO MADDALENA per delega
Avvocato GIOVINAZZO VINCENZO;
udito l’Avvocato SIVIERI ORLANDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore /
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 885/2012 della CORTE D’APPELLO

R.G. 5231/13 ud. 27.1.16 aula A

SVOLGIMENTO del PROCESSO
on ricorso del sei aprile 2009, diretto al giudice del lavoro di Alessandria, BARETTO Vittorio,
dipendente del Centro Servizi Socio Assistenziali Sanitari IPAB Lercaro Ovada dal marzo 1978,
dirigente dal primo dicembre 1996 con funzioni di segretario – direttore, chiedeva di essere
reintegrato nel posto di lavoro precedentemente occupato, con tutte le conseguenze di legge,
previa disapplicazione ex art. 63 DI.vo n. 165/2001 degli atti amministrativi presupposti
[deliberato n. 10/23 maggio 2006 (avente ad oggetto provvedimenti conseguenti alla

dichiarata la sua eccedenza in organico il conseguente collocamento in disponibilità), delibera
del comitato di amministrazione n. 8/16 maggio 2006 (nuovo regolamento … e nuovo assetto
macrostutturale dell’ente), delibera n. 9/16 maggio 2006 (definizione della nuova dotazione
organica), nonché missiva n. 752/17-18 maggio 2006 con la quale era stata comunicata al
diretto interessato l’adozione delle anzidette deliberazioni nn. 8 e 9 del 16 maggio], laddove
era stata prevista la soppressione dalla pianta organica del posto di segretario-direttore,
ricoperto da esso Baretto.
Pertanto, l’attore chiedeva la condanna dell’IPAB Lercaro Ovada alla ricostituzione del rapporto
di lavoro, con conseguente reintegra unitamente al risarcimento dei danni.
Radicatosi il contraddittorio con la costituzione dell’ente convenuto, che resisteva alle pretese
avversarie, l’adito giudice con sentenza n. 421/2010 in data sei ottobre 2010 dichiarava il
proprio difetto di giurisdizione, quale g.o., in relazione alle censure d’illegittimità per violazione
di legge ed eccesso di potere con riferimento agli atti amministrativi, che avevano preceduto la
delibera di collocamento in disponibilità del ricorrente, rigettando per il resto nel merito la
domanda e compensando le spese di lite.
Avverso detta pronuncia proponeva appello il BARETTO come da ricorso in data due dicembre
2011, per cui l’IPAB si costituiva resistendo al gravame.
Quindi, la Corte di Appello di Torino con sentenza n. 3714 in data tre luglio – 22 agosto 2012
rigettava l’impugnazione, condannando l’appellante al pagamento delle relative spese,
richiamando tra l’altro le argomentazioni della gravata pronuncia, secondo cui andava
affermato il difetto di giurisdizione del g.o. in ordine alla richiesta di disapplicazione del
provvedimento di revisione della pianta organica, quale atto di macrorganizzazione
riconducibile all’art. 2, comma 1, del dl.vo n. 165-2001 e per cui inoltre il TAR Piemonte, adito
dal medesimo ricorrente, con sentenza n. 2067/2010 aveva ritenuto la legittimità degli atti di
riorganizzazione aziendale adottati dal convenuto Centro, pure con riferimento alla decisione di
sopprimere in pianta organica la figura del Segretario Direttore, declinando invece la sua
giurisdizione in merito alle censure attinenti alla nota del presidente dell’ente 17 maggio 2006
ed ai deliberati del Comitato di Amministrazione nn. 10 e 6, in data 23 maggio 2006 e 30
maggio 2008.
In merito alle censure di appello la Corte torinese rilevava il passaggio in giudicato della
decisione del g.a., circa l’accertata legittimità degli impugnati provvedimenti amministrativi del

riorganizzazione ed all’approvazione della nuova dotazione organica, mediante cui era stata

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17 e 23 maggio 2006, ritenendo infondati i primi quattro motivi del ricorso inerenti alle
i
‘ I anzidette deliberazioni del C.d.A., trattandosi di giudicato che, sebbene esterno, estendeva i
i suoi effetti al presupposto della giurisdizione ivi ritenuta dal giudice adito, con conseguente
incontestabilità in altri giudizi tra le medesime parti aventi ad oggetto questioni identiche
rispetto a quelle già esaminate e coperte dal (precedente) giudicato.
Di conseguenza, dovevano ritenersi inammissibili i motivi di doglianza riproposti dall’appellante
sulla pretesa illegittimità dei provvedimenti amministrativi di macrorganizzazione, di cui

lavoro, ossia del suo collocamento in disponibilità.
Le restanti censure, rientranti nella residua giurisdizione del g.o., in ordine alla asserita
illegittimità degli altri atti, derivata da quelli amministrativi presupposti, venivano disattese
dalla Corte distrettuale, poiché si trattava di procedimenti assunti sulla base di atti di
macrorganizzazione ritenuti legittimi dal competente g.a..
Né risultavano violate altre disposizioni di legge, per cui, non essendo emersa la possibilità di
diversa occupazione del dipendente, di cui era stato disposto il collocamento in disponibilità a
seguito dell’accertata eccedenza, validamente era intervenuta la delibera di risoluzione del
rapporto di lavoro in data 30 maggio 2008, essendo stato conservato il posto per 24 mesi, di
guisa che neppure aveva rilievo lo stato di malattia del diretto interessato al momento della
comunicazione del collocamento in disponibilità.
Parimenti, non veniva giudicata fondata la pretesa del ricorrente, volta ad ottenere la
retribuzione di risultato, non erogatagli sin dall’anno 2004, trattandosi di richiesta
genericamente formulata, priva di deduzioni ed allegazioni in ordine ai fatti costitutivi del
vantato diritto.
Avverso tale pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione BARETTO Vittorio, come
da atto notificato in data 18 – 19 febbraio 2013 sula scorta di cinque motivi:

1°) violazione e/o erronea applicazione (360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 33, 34 e 34 bis dl.vo n.
165/2001, nonché dell’art. 16 c.c.n.l. 2002 – 2005;

20) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (360 n. 5 c.p.c.), non essendo stata

valutata la circostanza che l’IPAB non aveva provato l’impossibilità d’impiegare diversamente
nell’ambito della stessa amministrazione esso BARETTO, così come non si era valutato che lo
stesso sarebbe stato possibile ricollocarlo presso altre amministrazioni. Per giunta, con delibera
del primo luglio 2006 tutte le funzioni di gestione erano state attribuite ad un dirigente
esterno, su falsi presupposti (dover scegliere il segretario-direttore all’esterno dell’ente e della
sua dotazione organica …. attuale assenza di un segretario, donde

travisamento della

situazione di fatto, vizio di eccesso di potere).

Il ricorrente denunciava, altresì, stravolgimento del combinato disposto normativo di cui all’art.
14 Statuto IPAB e all’art. 9, comma 1, dl.vo n. 207/2001.
2

l’attore chiedeva la disapplicazione, quali presupposti dell’atto di gestione del rapporto di

R.G. 5231/13 ud. 27.1.16 aula A

Il collocamento in disponibilità di esso BARETTO era stato disposto sulla base di un’impropria e
sviata applicazione della disciplina contrattuale di riferimento in tema di collocamento in
disponibilità dei lavoratori alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. Il collocamento in
disponibilità era stato disposto dalla IPAB con la deliberazione n. 10/2006, ancor prima di
avviare e concludere le procedure propedeutiche di cui all’art. 16 c.c.n.l. , 33, comma settimo,
34 e 34 bis dl.vo n. 165/2001 in tema di collocamento e ricollocamento del personale in
mobilità o in disponibilità, laddove tra l’altro la stessa Regione Piemonte aveva comunicato che
il ricorrente non risultava inserito negli elenchi del personale in disponibilità, di cui agli artt. 34
dl.vo n. 165/2001 e 7 L. n. 3/2003.
La risoluzione del rapporto, disposta con deliberato n. 6 del 30 maggio 2008, si sarebbe potuta
evitare ove fosse intervenuta la corretta e doverosa comunicazione da parte del Centro Servizi
IPAB Lercaro e ove il BARETTO fosse stato correttamente iscritto nell’apposito elenco tenuto
dalle compenti strutture;

3°) violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) in tema di comporto,
omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa lo stato di malattia del BARETTO al
momento della risoluzione del rapporto di lavoro (360 n. 5 c.p.c.), tenuto conto dei certificati
del medico curante (nn. 58-59 fascicolo di primo grado ricorrente), laddove la Corte di Appello
aveva rilevato che detta risoluzione era successivamente intervenuta, soltanto con la
deliberazione n. 6/30-05-2008;

4°) violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 28-29 c.c.n.l. 1998 – 2001,
4 c.c.n.l. dirigenza biennio economico 2004-05 – omessa , insufficiente e/o contraddittoria
motivazione circa le conclusioni sulla retribuzione di risultato (art. 360 co. I n, 5 c.p.c.),
mentre con l’atto di appello alle pagine 17/20 si era fatto riferimento anche alla cd.
retribuzione di risultato, per cui nelle conclusioni con l’invocata reintegra era stata chiesta la
restitutio in integrum (compresa la retribuzione di risultato);
5 0 ) motivo – error in procedendo – violazione art. 112 c.p.c. in relazione al 360 n. 4 c.p.c.,
laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto con il rigetto del l’interposto gravame era stato
ritenuto l’assorbimento circa il preteso risarcimento del danno. Per contro, si sarebbe dovuto
tener conto del globale comportamento antigiuridico di parte datoriale, lesivo integrità psicofisica, della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, con sconvolgimento della sua
esistenza, così come dedotto con l’atto di appello.

Il Centro Servizi Socio Assistenziale Sanitari I.P.A.B. Lercaro Ovada ha resistito al ricorso
avversario con proprio controricorso.

Sono state depositate MEMORIE ex 378 c.p.c. da entrambe le parti.
3

/i
/

R.G. 5231/13 ud. 27.1.16 ak.ila. A

MOTIVI della DECISIONE
Il ricorso, nei limiti in cui può dirsi ammissibile, è comunque infondato, sicché va senz’altro
respinto.
I primi due motivi, che per la loro evidente connessione, possono esaminarsi congiuntamente,
non tengono conto di quanto rilevato dalla sentenza di primo grado, successivamente
confermata con opportune integrazioni da quella di appello, soprattutto circa l’inammissibilità
di doglianze o di deduzioni attinenti al precedente giudizio definito dal giudice amministrativo,

medesima p.a., qui controricorrente, mediante sentenza di rigetto, non impugnata, perciò
passata in giudicato, così come ampiamente precisato sul punto dalla Corte territoriale con la
decisione di cui si invoca la cassazione (cfr. d’altro canto Cass. H civ. n. 2213 del 4/2/2005,
secondo cui l’esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare un atto della
pubblica amministrazione è precluso qualora la legittimità dell’atto sia stata accertata dal
giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, resa nel contraddittorio delle parti.
Conforme Cass. I civ. n. 60/08.01.2003.
V. altresì in senso analogo Cass. II civ. n. 6788 del 2/4/2015, secondo cui non è consentita la
disapplicazione dell’atto presupposto allorché la legittimità di esso sia stata affermata dal
giudice amministrativo nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato.
V. pure Cass. sez. un. civ. n. 28535 del 2/12/2008: gli atti presupposti a quello impugnato
possono essere disapplicati, pure in mancanza di espressa impugnazione, salvo che la loro
legittimità sia stata affermata dal aiudice amministrativo nel contraddittorio della parte e con
autorità di giudicato.
Cass. H civ. n. 3390 del 15/02/2007: il potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto
amministrativo resta escluso soltanto se la sua legittimità sia stata affermata dal giudice
amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato.
Cfr. ancora Cass. S.U. n. 3052 del 9/2/2009: spettano alla giurisdizione generale di legittimità
del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del
provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale -e del relativo contratto di lavoro-,
previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto
esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli
atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee
fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi.
Non può infatti operare in tal caso il potere di disapplicazione previsto dall’art. 63, comma 1,
del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo,
su cui incide il provvedimento amministrativo, e non -come nella specie- una situazione
giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all’esito della
rimozione del provvedimento. In applicazione del suddetto principio, la Corte ha ritenuto,

4

inizialmente adito dallo stesso dr. BARETTO, praticamente per gli stessi fatti ed atti con la

RG. 5231/13 ud. 27.1.1(1 aula A

quindi, nella specie devoluta al giudice amministrativo la controversia nella quale alcuni
funzionari comunali – deducendo la lesione delle aspettative di avanzamento nella carriera e il
/ relativo danno – chiedevano la rimozione del provvedimento sindacale di conferimento di
incarico dirigenziale a persona esterna, adottato sulla base di un atto organizzativo della
Giunta che, modificando il regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e servizi, aveva
consentito l’attribuzione di incarichi dirigenziali fuori dalla dotazione organica, invece che la
scelta nell’ambito dei dipendenti).

particolare, che l’appellante aveva adito con ricorso in data 22 luglio 2006 il TAR Piemonte,
impugnando le delibere dell’IPAB Lercaro Ovada nn. 8 e 9 del 16 maggio 2006 e la n. 10 del 23
maggio 2006, nonché la nota presidenziale n. 752/17 maggio 2006. li suddetto g.a. con
sentenza n. 2067/17 marzo 2010 aveva rigettato i primi quattro motivi di ricorso relativi alle
deliberazioni del 16 maggio 2006, passando così la decisione in cosa giudicata (giudicato
esterno), con conseguenti effetti vincolanti anche per questo giudizio pendente tra le stesse
parti (c.d. efficacia panprocessuale), a tal uopo citando copiosa giurisprudenza di legittimità
sul punto. Ne derivava l’inammissibilità dei motivi di ricorso riproposti dal BARETTO sulla
pretesa illegittimità dei provvedimenti amministrativi di macrorganizzazione, di cui veniva
chiesta la disapplicazione, inerenti alla definizione della nuova pianta organica ed alla
soppressione del posto di direttore-segretario ricoperto dal ricorrente, presupposti all’atto di
gestione del rapporto di lavoro, ossia del collocamento in diponibilità.
Gli ulteriori motivi di ricorso erano attinenti alla nota presidenziale del 17 maggio 2006
(comunicazione al BARETTO dell’eccedenza) ed alle delibere del 23 maggio 2006
(dichiarazione dell’anzidetta eccedenza) e del 30 maggio 2008, poiché afferenti alla concreta
gestione del rapporto di lavoro in esame rientravano invece nella giurisdizione ordinaria.
Nell’indicare, quindi, i motivi dell’interposto gravame, la Corte territoriale li riteneva infondati,
osservando in primo luogo che le censure dell’appellante inerivano alla pretesa illegittimità
(derivata dagli atti amministrativi presupposti) dei suddetti atti in data 17 e 23 maggio 2006,
con il conseguente collocamento in disponibilità del BARETTO, erano infondate, poiché assunti
dall’IPAB Lercaro Ovada sulla base di atti di macrorganizzazzione ritenuti legittimi, come
sopra esposto dal TAR Piemonte.
Orbene, in ordine a tale argomentazione nulla di preciso ha confutato il ricorrente con
l’impugnazione di cui si discute in questa sede.
Pertanto, indipendentemente dalla intrinseca correttezza del suddetto ragionamento, ogni
altra contestazione sul punto è preclusa dalla mancanza di specifica e rituale impugnazione al
riguardo. Del resto, una volta coperta dal giudicato di legittimità degli atti presupposti, non è
possibile rimettere in discussione la validità dei provvedimenti che ne erano derivati (dalla
rideterminazione della pianta organica per soli 34 posti, nessuno dei quali d’inquadramento 1

5

Orbene, come già accennato all’inizio, in narrativa, la Corte torinese aveva osservato, in

R.G. 5231/13 u(.1. 27.1.16 aula A

dirigenziale, previa verifica del fabbisogno, con conseguente eccedenza per la posizione
occupata dal BARETTO, per il quale inoltre con accertamento di fatto insindacabile, né invero
specificamente impugnato, la Corte distrettuale rilevava che nulla di preciso aveva dedotto
l’appellante sulla possibilità di riassorbire l’eccedenza all’interno dell’amministrazione, e che
non vi erano state richieste in proposito da parte di altre amministrazioni. Pertanto, non
risultava violato l’art. 33, commi 7 e 8, del dl.vo n. 165/2001, applicabili della specie, in cui le
eccedenze erano inferiori a dieci).

pure rilevato che l’ente aveva assolto agli obblighi d’informativa, mediante le note del 17
maggio 2006 (nn. 752 e 755), avendo comunicato le eccedenze allo stesso ricorrente ed alle
oo.ss., nonché con missiva n. 811 del 26 maggio 2006 agli enti interessati la situazione di
disponibilità del ricorrente al Ministero della Funzione Pubblica, alla Regione Piemonte, alla
Provincia di Alessandria al Comune di Ovada, ed alle stesse 00.55., con invito all’applicazione
degli artt. 34 e 34 bis DI.vo n. 165/2001 in materia di liste di disponibilità. La Corte di merito,
inoltre, ha precisato che le suindicate missive erano state riscontrate dagli enti interessati
(docc. 50, 51, e 52 della produzione di parte appellata), sicché a quest’ultima non incombeva
l’ulteriore obbligo, in ordine alla tenuta dei relativi elenchi. Pertanto, aveva fatto seguito, in
data 30 maggio 2008, la delibera del Consiglio di Amministrazione, relativa alla risoluzione del
rapporto di lavoro.
Dunque, nei sensi anzidetti vanno disattesi i primi due motivi di ricorso, risultando del tutto
corrette le anzidette argomentazioni.
Quanto al terzo, parimenti legittima deve giudicarsi la motivazione fornita dalla Corte
distrettuale, laddove riteneva ininfluente la circostanza che l’appellante fosse in malattia
allorché gli venne comunicato il prevedimento di collocamento in disponibilità, atteso infatti
che detto prevedimento non determina de jure la perdita del posto di lavoro, che invece
rimane soltanto sospeso, tenuto conto di quanto al riguardo previsto dall’art. 33, comma 8,
Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (testo in vigore dal 24-5-2001 al 14-11-2009,

Quanto, poi, all’iscrizione in appositi elenchi del personale in mobilità, la Corte torinese ha

secondo cui dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni
inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un’indennità pari all’80% per cento
dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro
emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I
periodi di godimento dell’indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti
di accesso alla pensione e della misura della stessa. E’ riconosciuto altresì il diritto all’assegno
per il nucleo familiare di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n.69, convertito,
con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n.153, e successive modificazioni ed
integrazioni), richiamando altresì l’art. 34 comma 4 dello stesso DI. vo n. 165/01 (il personale
in disponibilità iscritto negli appositi elenchi ha diritto all’indennità di cui all’articolo 33, ._ tt_\

6

R.G. 5231/13 ud. 27.1.16 aula A

comma 8, per la durata massima ivi prevista. La spesa relativa grava sul bilancio
dell’amministrazione di appartenenza sino al trasferimento ad altra amministrazione, ovvero
al raggiungimento del periodo massimo di fruizione dell’indennità di cui al medesimo comma
8. Il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data, fermo restando quanto
previsto nell’articolo 33. Gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del
collocamento in disponibilità sono corrisposti dall’amministrazione di appartenenza all’ente
previdenziale di riferimento per tutto il periodo della disponibilità).

Pertanto, la risoluzione del rapporto di lavoro era intervenuta successivamente, soltanto con
la delibera n. 6 del 30 maggio 2008.
Riguardo al IV motivo, relativo alla retribuzione di risultato, le argomentazioni svolte da parte
ricorrente non superano i fondati rilievi sul punto contenuti nella sentenza impugnata, poiché
in effetti detto mezzo di impugnazione si è limitato a riportare quanto in proposito dedotto
con l’atto di appello. Per contro, la Corte distrettuale, nel richiamare la motivazione del primo
giudicante – il quale aveva rilevato che l’attore non aveva assunto conclusioni sul puntogiustamente rilevava la genericità della domanda, effettivamente priva di deduzioni ed
allegazioni in ordine ai fatti costituitivi del vantato diritto (non bastando evidentemente in
merito le sole previsioni, necessariamente astratte, contemplate dalla contrattazione collettiva
o dalla normativa di legge in materia). Infatti, mancava (e manca tuttora) l’indicazione delle
circostanze legittimanti la percezione del suddetto emolumento: gli obiettivi assegnati, la
positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti rispetto a tali obiettivi,
secondo le risultanze dei sistemi di valutazione in essere, nonché delle risorse disponibili.
Su tali indispensabili circostanze, invece omesse da pare dell’interessato (che aveva l’onere di
allegarle ritualmente, oltre che di provarle tempestivamente), il motivo di ricorso tace
completamente, sicché finisce con il non confutare la reale portata dell’argomentazione, in
virtù della quale la suddetta pretesa creditoria veniva disattesa, donde la sua inammissibilità.
E parimenti va detto per quanto attiene al V e ultimo motivo di ricorso, laddove si contesta in
effetti una omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno, mentre la Corte
distrettuale avrebbe dovuto tener conto del

globale comportamento

asseritamente

antigiuridico di parte datoriale.
de qua -peraltro genericamente allegata dal

Invero, correttamente la pretesa risarcitoria

ricorrente in ordine all’integrità psicofisica ed alla dignità dei diritti del lavoratore,

con

affermazioni invero apodittiche ed astratte, comunque non autosufficienti nell’ambito del
giudizio di legittimità- si fonda su di un presupposto, nettamente contrario proprio alla
complessiva

ratio decidendi della decisione impugnata, secondo cui non era possibile

accertare alcuna illegittimità nell’attività di parte convenuta in occasione della vicenda di cui è
causa, per le ragioni sopra ampiamente chiarite. Di conseguenza, non sussistendo l’asserita
antigiuridicità del tutto correttamente, oltre che invero prudentemente, la Corte torinese

7

(1

i

R.G. 5231/13 ud. 27.1.16 aula A

considerava assorbito l’ultimo motivo di appello, circa la presa omessa pronuncia sulla
richiesta risarcitoria.
Dunque, nei sensi anzidetti, il ricorso proposto dal dr. Vittorio Baretto va respinto, con
conseguente condanna di detto soccombente alle spese. Sussistono, di conseguenza, anche i
presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.
La Corte, RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle relative

professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 27 gennaio 2016

IL PRESIDENTE

spese, che liquida a favore di parte controricorrente in euro 3000,00 per compensi

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