Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10344 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 01/06/2020), n.10344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24479-2017 proposto da:

L.V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIAGRAZIA CARUSO;

– ricorrente –

contro

N.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1665/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

Fatto

RITENUTO

per quel che ancora assume rilievo, che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Catania rigettò l’impugnazione proposta da L.V.R. nei confronti di Nicolosi Marta, avverso la sentenza di primo grado, che aveva disatteso la domanda di condanna della N. al pagamento della somma di denaro portata da tre assegni di conto corrente, che apparivano da quest’ultima girati;

che la sentenza d’appello, senza entrare nel merito della vicenda, accertò la prescrizione della pretesa, stante che il prospettato diritto alla restituzione (prezzo pagato per la stipula di contratto preliminare di compravendita immobiliare, secondo l’assunto) risaliva al 1982 “o al più tardi” al 1985 (data di emissione degli assegni), dovendo assegnarsi al procedimento esecutivo, pendente nei confronti della N. dal 16/12/1992, efficacia istantanea, con la conseguenza che, estintosi il predetto procedimento nel 2016, la prescrizione doveva considerarsi regolarmente decorsa dalla data dell’intervento in giudizio, non constando il compimento di atti interruttivi ultronei;

che avverso la statuizione d’appello ricorre la L.V. illustrando tre censure;

che con ordinanza n. 31212, dep. 3/12/2018, questa Corte ha disposto la rinotifica del ricorso;

che, avendo la ricorrente fatto luogo all’adempimento, la causa è stata rimessa in decisione;

che la N. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

RITENUTO

che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 346 e 343 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:

– la sentenza di primo grado non aveva esaminato l’eccezione di prescrizione, avendo disatteso la pretesa della L.V. con altri argomenti;

– la Corte d’appello aveva riesaminato la questione, nonostante che l’appellata non avesse proposto appello incidentale sul punto, limitandosi alla mera riproposizione;

considerato che la doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento, costituendo punto d’approdo consolidato l’affermazione secondo la quale solo se un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2, (S.U. n. 11799, 12/5/2017, Rv. 644305; conf. ex multis, Cass. n. 24658/2017, Cass. n. 21264/2018) S.U. 13195/2018.

considerato che il secondo motivo, con il quale la L.V. deduce l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la sentenza d’appello, a suo dire, non avrebbe tenuto conto di plurime emergenze dalle quali sarebbe stato possibile ricavare l’esistenza di atti interruttivi, è inammissibile per le ragioni di cui appresso:

a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); conseguendone che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831);

b) la ricorrente deduce una vasta, disordinata e non governabile congerie di atti, esiti processuali, inferenze, che, secondo il suo assunto, avrebbe dimostrato la esistenza di atti interruttivi, apparendo del tutto evidente che la indicazione, priva di ogni specificità, anche sotto il profilo dell’autosufficienza, piuttosto che evidenziare uno o più fatti decisivi, puntualmente rilevati, rimasti negletti, nonostante il dibattito su di essi, invoca nella sostanza un inammissibile riesame di merito, peraltro, sulla base di atti in questa sede non conoscibili;

c) per contro, la sentenza d’appello esclude espressamente sussistenza di atti della procedura esecutiva, successivi al primo, contenenti richiesta di pagamento;

considerato che il terzo motivo, con il quale la L.V. lamenta la violazione degli artt. 2943 e 2945, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata reputato istantanea l’interruzione procurata dall’intervento in sede esecutiva, è destituito di giuridico fondamento, non avendo la ricorrente offerto argomenti significativi utili al fine di porre in discussione il consolidato orientamento di legittimità, al quale la Corte di Catania si è correttamente adeguata, il quale ha chiarito che: “Secondo il costante orientamento di questa Corte (1146/65, 10480/92) in tema di prescrizione nel caso di estinzione del processo il nuovo periodo di prescrizione relativa al diritto dedotto in giudizio inizia a decorrere, a norma dell’art. 2945 c.c., comma 3, dall’atto introduttivo del giudizio, ovvero dalla domanda introdotta in corso di causa e non anche da uno degli atti processuali successivi, quali le deduzioni difensive, le istanze di merito, riferendosi l’art. 2943 c.c., agli atti rivestiti della forma scritta idonei a costituire in mora il debitore (intimazioni o richieste fatte per iscritto ex art. 1219 c.c.). Può da ciò trarsi il corollario che la interruzione della prescrizione determinata dall’atto con cui si inizia o si interviene in un giudizio esecutivo ha carattere permanente, in quanto si protrae fino alla emanazione della sentenza irrevocabile. Tuttavia, se il processo si estingue, l’effetto interruttivo ha carattere istantaneo ed il nuovo periodo inizia a decorrere dalla data dell’atto interruttivo (art. 2945 cc., comma 3). In tale situazione, quindi, la domanda produce la interruzione della prescrizione, ma solo con effetto istantaneo (cfr. Cass. 5707/87)” (Sez. 3, n. 10700, 27/10/1998); nè, peraltro, la L.V. ha attribuito la chiusura anticipata della procedura esecutiva a causa non ascrivibile al creditore procedente (cfr., Sez. 3, n. 12239, 9/5/2019);

considerato che non v’è luogo a regolamento delle spese poichè la controparte è rimasta intimata;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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