Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10343 del 11/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 11/05/2011), n.10343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22344/2007 proposto da:

AUTOTRASPORTI MULTIPLI ARCESE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

BENEDETTO CAIROLI 2, presso lo studio dell’avvocato PINELLI GIUSEPPE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PICCOLI Maurizio, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

e sul ricorso 25005/2007 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AUTOTRASPORTI MULTIPLI ARCESE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 28/2007 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 08/06/2007 R.G.N. 18/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. M.A., premesso di essere dipendente della società Autotrasporti Multipli Arcese s.p.a., impugnava dinanzi al Tribunale di Trento il licenziamento per giustificato motivo intimatogli in data 8 giugno 2006. Deduceva che il recesso, motivato dalla datrice di lavoro con il mancato conseguimento della patente di guida italiana e con la scadenza del permesso di soggiorno, era ingiustificato in ogni profilo, che egli, non essendo residente in Italia, non era obbligato a conseguire la patente di guida italiana e, inoltre, aveva ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Costituitasi la società, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 12.819,55 a titolo di risarcimento commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla data del recesso a quella di esercizio, da parte del lavoratore, dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione.

2. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Trento, che, con sentenza dell’8 giugno 2007, respingeva l’appello della società nonchè quello proposto dal lavoratore in via incidentale.

In particolare, per quanto interessa in questa sede di legittimità, la Corte di merito rilevava che: a) il M., essendo munito di patente di guida estera e non essendo residente in Italia, non era obbligato, ai sensi dell’art. 185 C.d.S., ad ottenere il rilascio della patente italiana; e, d’altra parte, era pacifico che le circolari ministeriali, puntualmente applicate dalla polizia stradale, richiedevano la patente di guida italiana solo in caso di effettiva iscrizione nei registri anagrafici; b) il permesso di soggiorno era stato rinnovato e, al riguardo, erano del tutto irrilevanti, perchè estranee alla contestazione, le deduzioni della società relative alla assenta illegittimità di tale rinnovo; c) il risarcimento era stato correttamente limitato sino alla data in cui il lavoratore aveva esercitato, nel corso del giudizio, l’opzione per l’indennità sostitutiva, poichè dopo tale data non sussisteva alcun obbligo di reintegrazione in capo alla datrice di lavoro; d) il credito era stato esattamente determinato dal Tribunale, considerato che, peraltro, non erano stati specificamente contestati 1 conteggi allegati al ricorso introduttivo e; che, in particolare, nella retribuzione globale doveva essere ricompresa l’indennità di trasferta in ragione della continuità e abitualità delle relative prestazioni.

2. Contro questa sentenza la società propone ricorso deducendo sei motivi di impugnazione. Il lavoratore resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare, i ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2. Il ricorso della società si articola nelle seguenti censure.

2.1. Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 135 C.d.S., si sostiene che il M., vivendo stabilmente in Italia, era obbligato a richiedere l’iscrizione nel registro dei residenti e, comunque, era tenuto a richiedere la conversione della patente di guida estera, ovvero il rilascio della nuova patente italiana.

2.2. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., si lamenta che la Corte di merito non abbia pronunciato sulla specifica deduzione, ritualmente sollevata dalla società, relativa al predetto obbligo del lavoratore di richiedere la residenza italiana (stante l’accertamento della sua residenza effettiva in Italia) e sulla conseguente impossibilità della prestazione lavorativa in assenza del relativo adempimento.

2.3. Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18. Si sostiene che, avendo il lavoratore domandato con l’atto introduttivo la reintegrazione nel posto di lavoro in conseguenza della declaratoria di illegittimità del licenziamento, la successiva richiesta di conseguire l’indennità sostitutiva era inammissibile, che il diritto di optare per tale indennità nasce solo a seguito della pronuncia giudiziale di ripristino del rapporto.

2A. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3. Si lamenta che i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto incontestati i conteggi prodotti dal lavoratore, pur in presenza della espressa e globale contestazione della pretesa creditoria, e abbiano determinato il quantum senza verificare la rispondenza di tali conteggi alle effettive risultanze processuali.

2.5. Con il quinto motivo, denunciando violazione dell’art. 18 cit., in relazione all’art. 19 del c.c.n.l., si lamenta che nella retribuzione globale di fatto, ai lini del risarcimento del danno, siano state incluse l’indennità di trasferta e quella di disagio, pur trattandosi di emolumenti che, in base alla contrattazione collettiva, hanno natura risarcitoria, e non retributiva.

2.6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 425 c.p.c., rilevandosi che la retribuzione di fatto sia stata determinata solo in base ai conteggi del lavoratore e senza alcuna verifica delle previsioni contrattuali e delle risultanze processuali, omettendo altresì di disporre consulenza tecnico-contabile.

3. L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia violazione dell’art. 18 cit., lamentando che il risarcimento del danno sia stato liquidato solo fino al momento della comunicazione dell’opzione per l’indennità sostitutiva, anzichè sino alla data dell’effettivo pagamento di tale indennità.

1. Il ricorso principale non merita accoglimento.

1.1. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, non sono fondati. Infatti, alla stregua del principio, enunciato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 101 del 2011, secondo cui fra i mezzi di interpretazione della legge possono ricomprendersi le prassi amministrative, ossia il comportamento degli organi competenti all’applicazione di essa, non può ritenersi legittimo il licenziamento di un conducente straniero di autotreni, come il M., motivato con il possesso della patente di guida del Paese d’origine e la mancata conversione in patente italiana, quando il giudice di merito – come nella specie – abbia accertato, in modo incensurabile in cassazione, che per prassi amministrativa tale conversione viene richiesta solo quando il conducente straniero sia iscritto da almeno un anno come residente nei registri anagrafici italiani, ancorchè egli possa di fatto dimorare abitualmente in Italia. E, con questo presupposto, resta irrilevante che il lavoratore, nel caso di specie, abbia trascurato di richiedere tale iscrizione, secondo la previsione dell’art. 136 C.d.S., poichè la violazione del relativo obbligo – come accertato nella decisione impugnata – non incide sulla possibilità di rendere la prestazione di lavoro, stante la richiamata prassi amministrativa.

1.2. Infondato è anche il terzo motivo. La richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione, l’indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 108 del 1990, costituisce esercizio di un diritto derivante dall’illegittimità del licenziamento e riconosciuto al lavoratore dalla stessa norma di legge; ne consegue che la domanda formulata dal lavoratore in corso di causa e volta ad ottenere l’indennità in sostituzione della reintegrazione richiesta con l’atto introduttivo non viola il principio dell’immutabilità della domanda, avendo sempre ad ometto il risarcimento conseguente all’illegittimo recesso (cfr. Cass. n. 15898 del 2005).

3.3. Le censure relative alla determinazione del danno, contenute nei restanti motivi c.d. esaminabili congiuntamente in quanto connesse, non sono fondate poichè: a) l’ammontare del credito risulta fissato in base a puntuali verifiche compiute dai giudici di merito, tanto che, come risulta dalla sentenza impugnata, dal conteggio sono state escluse diverse indennità e altri emolumenti, come le indennità sostitutive di ferie, festività e riduzioni di orario; b) la determinazione della retribuzione globale di fatto è stata operata dai medesimi giudici con puntuale riferimento alle concrete modalità della prestazione e alle previsioni della contrattazione collettiva, anche in relazione all’indennità di trasferta e a quella di disagio, e, al riguardo, le censure della ricorrente sono del tutto prive di specificità, peraltro non riportando le clausole contrattuali che si assumono disattese, mentre neanche risulta prodotto il c.c.n.l. nella sua interezza (essendosi prodotto solo un estratto, come indicato in calce al ricorso), così come prescritto dall’art. 369 c.p.c. (cfr.

Cass., sez. un., n. 20075 del 2010).

52. Il ricorso incidentale è fondato.

La questione che il ricorrente pone a questa Corte è se il danno sopportato dal prestatore di lavoro a causa del ritardo del datore nel pagamento dell’indennità sostitutiva debba essere pari alle retribuzioni mensili non percepite nel periodo intercorso fra l’esercizio della facoltà d’opzione ed il pagamento dell’indennità, oppure debba essere limitato sino alla data di comunicazione dell’opzione per l’indennità sostituiva come ritenuto dalla Corte d’appello. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che, nel caso di scelta, da parte del lavoratore illegittimamente licenziato, dell’indennità sostitutiva della reintegrazione ai sensi dell’art. 18, comma 5, fino all’effettivo pagamento dell’indennità il datore è obbligato a pagare le retribuzioni globali di fatto (cfr. Cass. n. 3380, n. 11609 del 2003;

n. 6312, n. 2 1199 del 2009). Si è affermato, in particolare, che il sistema dell’art. 18 cit., si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell’interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo;

principio che è espressione dell’art. 24 Cost. e che significa, per quanto qui interessa, che il rimedio risarcitorio, ossia del risarcimento del danno sopportato dal lavoratore per ritardato percepimento dell’indennità sostitutiva, deve ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempiere l’obbligo indennitario. Nè sembra necessario stabilire se trattisi di obbligazione con facoltà alternativa (schema che la dottrina dubita poter ricorrere quando la scelta spetti al creditore e che la Corte costituzionale evocò con l’ord. n. 291 del 1996 in specifica questione qui estranea), potendosi piuttosto ravvisare una dichiarazione di volontà negoziale del lavoratore, i cui effetti limitatamente all’ammontare dell’indennità sono sottoposti al termine dell’effettivo ricevimento di essa (cfr.

Cass. 24199/09, cit.). La sentenza della Colle d’appello non si sottrae perciò alle censure del ricorrente, avendo invece limitato il risarcimento alle retribuzioni maturate sino all’esercizio dell’opzione.

6. In conclusione, è respinto il ricorso principale ed è accolto quello incidentale. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione a quest’ultimo ricorso, con rinvio alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, per la definizione della controversia in base al principio di diritto sopra enunciato. Lo stesso giudice di rinvio pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale e accoglie l’incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2011

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