Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10343 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/06/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 01/06/2020), n.10343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18530-2019 proposto da:

P.A.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARCELLO SERRA;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PRINCIPESSA

CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ALTIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE ACCARDI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il

19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA

GIANNACCARI.

Fatto

RILEVATO

che:

– il Tribunale di Cagliari, con ordinanza del 19.03.2019, nella causa iscritta al R.G. 6986/2018, accolse, per quanto di ragione, la domanda dell’Avv. M.R., che aveva chiesto la liquidazione dei compensi per le prestazioni professionali svolte in favore di P.A.M.C.;

tale attività professionale aveva ad oggetto prestazioni giudiziali in una causa innanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Cagliari e attività di consulenza stragiudiziale finalizzata alla rivalutazione di un assegno divorzile nonchè alla revisione delle condizioni di divorzio;

– il compenso venne liquidato dal Tribunale tenendo conto dei valori tabellari medi;

– per la cassazione di detta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione A.M.C. sulla base di un motivo;

– l’Avv. M.R. ha resistito con controricorso;

– il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

– con l’unico motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2,4,7, 19, per aver il Tribunale liquidato il compenso per l’attività professionale svolta dall’avvocato senza tener conto della scarsa importanza dell’opera prestata dal professionista, che, nella causa innanzi al giudice del lavoro, era subentrato al precedente difensore quando la vi era già stato il rinvio per la discussione e non era più possibile mutare la strategia difensiva; la fase di studio e quella decisoria sarebbero, pertanto, esorbitanti in considerazione dell’attività difensiva già svolta dal precedente difensore. Nella liquidazione del compenso, inoltre, il giudice di merito non avrebbe tenuto conto del modesto livello di complessità delle questioni giuridiche, di cui aveva dato atto nell’ordinanza impugnata;

– il motivo è infondato;

– in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, il giudice deve solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 2386 del 31/01/2017, Rv. 642544 – 01; conf. Cass. n. 26608 del 09/11/2017; n. 29606 del 11/12/2017);

– in questo quadro normativo, si va consolidando l’orientamento secondo cui, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (Cassazione civile sez. VI, 15/12/2017, n. 30286 e, in motivazione Cassazione civile sez. VI, 04/03/2019, n. 6296; Cassazione civile sez. VI, 31/07/2018, n. 20183). nella specie, il giudice di merito ha liquidato i compensi sulla base dei valori tabellari medi sicchè le censure svolte in relazione all’importanza dell’opera prestata, sia in ambito giudiziale che stragiudiziale, sono infondate e si risolvono in un diverso apprezzamento dell’attività professionale svolta dal difensore, subentrato dopo la revoca del precedente difensore, non consentita in sede di legittimità;

il ricorso va pertanto rigettato;

le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile -2 della Corte di cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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