Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1034 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 17/01/2020), n.1034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29997/2018 proposto da:

F.O., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Massimo Auditore, giusta procura in calce al ricorso,

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 796/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 16 aprile 2018, respinge il ricorso proposto da F.O., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del locale Tribunale che ha respinto il ricorso del richiedente avverso provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che

a) il richiedente ha dichiarato di essere stato costretto a lasciare il proprio Paese per sottrarsi alla vendetta di un parente al quale aveva ucciso un figlio;

b) il primo Giudice ha respinto la domanda di protezione internazionale sul rilievo secondo cui – a parte l’insussistenza delle relative condizioni – il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuto, rispettivamente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b) e art. 16, comma 1, lett. b), come modificati dal D.Lgs. n. 18 del 2014, art. 1, comma 1, lett. h) e l), n. 1, a causa della commissione del suddetto grave delitto;

c) questa statuizione non è stata impugnata nell’atto di appello, sicchè su di essa si è formato il giudicato;

d) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute o altro non adeguatamente tutelabili nel Paese di origine e quindi tale da consentire di accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso di domanda la cassazione della suddetta sentenza per cinque motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato in cinque motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, con riguardo al mancato utilizzo, da parte della Corte d’appello, dei poteri istruttori officiosi;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto in materia di status di rifugiato, sostenendosi che la vicenda familiare narrata sarebbe idonea alla concessione dello status di rifugiato;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto relative alla protezione sussidiaria, alla quale il richiedente avrebbe diritto per la diffusa violenza nel Paese di origine;

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano la protezione umanitaria, affermandosi che il richiedente avrebbe fornito gli elementi probatori per ottenere almeno questa forma di protezione;

1.5. con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa attività di indagine e verifica presso le Autorità del Bangladesh in merito all’uccisione del cugino per motivi ereditari confessata dal ricorrente;

2. l’esame dei motivi di censura porta al rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

3. i primi tre motivi e il quinto motivo – da trattare insieme perchè intimamente connessi – vanno dichiarati inammissibili perchè nella sostanza le censure con essi proposte finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, la quale peraltro ha basato il rigetto della domanda di protezione internazionale sulla considerazione secondo cui, in assenza di impugnazione nell’atto di appello, si è formato il giudicato interno sulla statuizione del tribunale di rigetto della anzidetta domanda sul principale rilievo secondo cui a causa della commissione dell’omicidio di un parente confessato dal ricorrente, il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non potevano essere riconosciuti, rispettivamente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b) e art. 16, comma 1, lett. b), come modificati dal D.Lgs. n. 18 del 2014, art. 1, comma 1, lett. h) e l), n. 1;

3.1. nei suddetti motivi questa statuizione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la sentenza sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata, il che accade anche nel quinto motivo con il quale il ricorrente lamenta un deficit di indagini da parte della Corte d’appello sul suddetto omicidio per motivi ereditari, ma non contesta l’affermazione relativa alla formazione del giudicato interno sul punto;

3.2. l’anzidetta omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, tutte le censure formulate negli indicati motivi, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

4. anche il quarto motivo è inammissibile in quanto con esso si sostiene che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria, ma ci si limita ad affermare che alla suddetta soluzione avrebbe dovuto pervenirsi “a fronte di quanto narrato dal F. e degli elementi probatori dallo stesso forniti”, pertanto in modo apodittico e del tutto generico e quindi non conforme al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione;

5. in sintesi, il ricorso deve essere respinto;

6. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto difese in questa sede;

7. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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