Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1034 del 17/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1034 Anno 2018
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 22929-2012 proposto da:
WURZBURGER ROSARIO WRZRSR48L27G902Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLO PARUTA 3, presso lo
studio dell’avvocato MALVINA SILVESTRI, rappresentato
e difeso dall’avvocato GUGLIELMO WURZBURGER, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2017
3513

contro

TREVES S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI N.220, presso lo studio

Data pubblicazione: 17/01/2018

dell’avvocato SANDRA DE MARTINO, rappresentata e
difesa dall’avvocato MANLIO LUBRANO DI SCORPANIELLO,
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 528/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato GUGLIELMO WURZBURGER.

di NAPOLI, depositata il 17/02/2012 r.g.n. 2105/2011;

20.

r.1_. n. 22929 12

SVOLGIMENTO del PROCESSO
Il giudice del lavoro di Napoli con sentenza in data 14.10.2010 rigettava la domanda, proposta da
WURZBURGER Rosario mediante ricorso del 17.5.2007, ritenendo, all’esito dell’istruttoria, non
dimostrata la natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con la convenuta società
Libreria Internazionale TREVES. Detto giudice valutava, invero, negativamente -ai fini
dell’accoglimento delle pretese, volte ad ottenere differenze retributive per il periodo gennaio
1995 / 19.12.2006- il fatto che il ricorrente fosse socio, ancorché minoritario, della società, che
egli avesse agito anche in sede giudiziaria alcune delibere della Società, che le risultanze
istruttorie non avessero confermato che le direttive fossero impartite unicamente dal socio di

accertato che il Wurzburger gestisse a sua volta la libreria, autorizzando permessi e ferie dei
dipendenti, impartendo direttive di lavoro e facendo firmare le buste paga.
Con ricorso del 15.3.2011 l’attore, rimasto soccombente, impugnava la decisione insistendo per
l’accoglimento delle domande spiegate.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 528 in data 8-17 febbraio 2012, non notificata,
rigettava l’interposto gravame.
Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il WURZBURGER
con atto in data 27-9-12 (relata negativa) / notificato poi il 10-10-2012, affidato a undici motivi,
cui ha resistito la S.r.l. TREVES in liquidazione (in persona del liquidatore e legale r.p.t. Salvatore
De Martino

ma la relativa procura a margine risulta conferita dal liquidatore GENNARO De

Martino), laddove risulta eccepita tra l’altro la tardività dell’impugnazione avversaria perché
avvenuta oltre il c.d. termine lungo, ritenuto semestrale, il difetto nell’indicazione di quanto
richiesto dall’art. 366 c.p.c. e di doglianze consentite ex art. 360 c.p.c., nonché la mancanza di
valida procura speciale ex art. 369 n. 3 c.p.c., siccome conferita su foglio separato senza alcuno
specifico riferimento al ricorso per cassazione.
Memoria ex art. 378 c.p.c. risulta depositata per il solo ricorrente.
MOTIVI della DECISIONE
In primo luogo, va rilevata la tempestività del ricorso, cui però non ha fatto seguito rituale
controricorso, debitamente notificato.
Ed invero, visto che la sentenza di primo grado risulta pubblicata, mediante deposito in
cancelleria, il 17 febbraio 2012 e che il ricorso introduttivo del giudizio risale al 15 maggio
2007, il termine per impugnare mediante ricorso per cassazione era quello c.d. lungo, cioè
annuale secondo il previgente testo dell’art. 327 c.p.c., qui ratione temporis applicabile in
virtù dell’apposito regime transitorio (infatti, le parole «decorsi sei mesi» sono state così
sostituite a quelle «decorso un anno» dall’art. 46, co. 17, I. 18 giugno 2009, n. 69, ma per
espressa previsione dell’art. 58, co. 1, I. cit.: «Le disposizioni della presente legge che
modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di
procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore»,

i

maggioranza Di Martino, non sempre presente sul luogo di lavoro ed essendo stato invece

ud. 20.09.17 / r.g. n. 22929 12

avvenuta il 4 luglio 2009). Di conseguenza, il termine ultimo per ricorrere scadeva il 17
febbraio 2013, mentre nella specie il ricorso è stato ancor prima proposto come da relata di
notifica in data 10 ottobre 2012.
Per contro, il controricorso di cui alla relata, a mezzo posta, datata 20 novembre 2012
(spedizione) manca tuttavia dell’avviso di avvenuto ricevimento in atti, non risultante
prodotto, sicché non può dirsi ritualmente notificato, ancorché poi depositato il 4 dicembre
2012. Ed invero pure i riferimenti contenuti nella memoria del ricorrente ex art. 378 c.p.c. al

Pertanto, vale il principio (cfr. Cass. n. 25735 del 05/12/2014), secondo cui nel giudizio di
cassazione, il controricorso deve essere notificato alla controparte ai sensi dell’art. 370 cod.
proc. civ., non potendosi considerare sufficiente il mero deposito presso la Corte perché l’atto
possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla
parte ricorrente; ne consegue che, in mancanza di notificazione, poiché l’atto depositato non
è qualificabile come controricorso, all’intimato non è consentito il deposito di memorie ex art.
378 cod. proc. civ. ed è preclusa la partecipazione alla discussione orale del ricorso (v. altresì
Cass. n. 1737 del 28/01/2005, secondo cui in difetto della notifica di cui all’art. 370 c.p.c. la
parte intimata non può presentare memorie, ma solamente partecipare alla discussione orale.
A tal fine il difensore, tuttavia, deve essere munito di procura speciale che, in assenza di
controricorso, deve va conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, e non può
essere apposta validamente a margine di un atto di costituzione diretto a conferire il
ministero difensivo, trattandosi di un atto che esula dalla previsione normativa di cui al terzo
comma dell’art. 83 cod. proc. civ. ed estraneo al sistema processuale disegnato dal
legislatore per il giudizio di cassazione. In senso analogo sul punto v. anche Cass. lav. n.
22928 del 09/09/2008.
Ad ogni modo, va ricordato pure che nel caso qui in esame, trattandosi di processo introdotto
con atto depositato il 17 maggio 2007, non operano le modificazioni apportate all’art. 83 del
codice di rito dalla 18 giugno 2009, n. 69, il cui art. 58, come già sopra visto riguardo al
termine stabilito dall’art. 327, espressamente infatti stabilisce che le sue nuove disposizioni
interessanti il codice di procedura civile e le relative disposizioni di attuazione si applicano ai
soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 4 luglio 2009).
Per giunta, nella specie, come pure sopra evidenziato, la procura a margine del controricorso
risulta conferita dal solo GENNARO De Martino, mentre nell’intestazione dell’atto il liquidare e
l.r.p.t. della S.r.l. TREVES è indicato con il nome di SALVATORE De Martino, con ogni
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controricorso, non danno univocamente atto dell’intervenuta notifica del controricorso stesso.

ud. 20.09.1′ r.g. n. 22920 1 2

conseguente incertezza dunque pure in ordine alla valida efficacia del mandato dato all’avv.
Manlio Lubrano di Scorpaniello, il quale peraltro, nemmeno per delega, non è comparso
all’udienza pubblica del 20 settembre 2017, nonostante i regolari avvisi comunicati il sette
luglio 2017 tramite p.e.c..
Ne deriva, dunque, l’inammissibilità del controricorso.
Tanto premesso, va d’altro canto rilevato, ad ogni modo, che per il ricorso de quo idonea
procura speciale risulta conferita all’avv. Guglielmo Wurzrburger in calce al ricorso stesso e

introdotte dall’art. 1, I. 27 maggio 1997, n. 141, in vigore sin dal 31 maggio 1997).
Orbene, il WURZBUGER ha fondato il proprio ricorso sui seguenti motivi:
10 – violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. unitamente all’art. 2094 c.c. – insufficiente e
inadeguata motivazione, che non ha tenuto conto ex cit. art. 2094 della fattispecie concreta
di una piccola libreria, dove lavoravano non più di tre dipendenti, compreso il ricorrente, e
dove le operazioni quotidiane di mero commercio erano così ordinarie semplici e ripetitive di
routine da non richiedere assolutamente quella intensità di direttive e di controllo continuo e
costante, peculiare invece in aziende manifatturiere come evidenziato dalla citata
giurisprudenza.
2° – violazione dell’articolo 132 numero 4 c.p.c. con gli articoli 2094, 2380 bis e 2383 c.c.,
per avere la sentenza impugnata motivato in modo incongruo la configurabilità
dell’amministrazione, e non del lavoro dipendente, riguardo all’attività svolta dal socio
WURZBURGER. Infatti, nella specie mancava l’effettiva ed esclusiva assunzione della titolarità
dei poteri di gestione. La Corte territoriale aveva confuso tra l’altro i poteri di un impiegato di
primo livello esecutivo, come da relativa declaratoria, con malintesi poteri di amministrazione
di una società di capitali, con ciò falsamente applicato la normativa in materia societaria,
dovendosi altresì tener conto nella specie dell’esistenza di un amministratore unico comunque
presente, che impartiva direttive per le scelte imprenditoriali di fondo nella ordinaria normale
piccola libreria in questione.
3° motivo – violazione degli articoli 112,116 e 132 numero 4 c.p.c. unitamente agli articoli
2730 2733 e 2735 del codice civile, avendo erroneamente la Corte di merito ipotizzato poteri
di gestione nei confronti dell’attore, mentre gli atti difensivi della TREVES sia in sede
extragiudiziale, tra cui il verbale di conciliazione fallito (laddove Salvatore De Martino aveva
escluso l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, dichiarando invece che il ricorrente era
stato sempre socio della società fin dalla sua costituzione), sia in ambito giudiziale si

con il medesimo notificato (v. in proposito, in particolare, le aggiunte all’art. 83 c.p.c.

ucl. 2 , ,.09.1 —

r.í2,- . n. 22929 12

– limitavano a dedurre soltanto le funzioni di socio dell’attore, non certamente di
amministratore. Pertanto, l’impugnata sentenza aveva elevato il ricorrente da socio ad
amministratore, non solo ponendo in essere un’indebita extrapetizione, ma altresì ignorando
la vera e propria confessione fatta dalla TREVES in sede di tentativo di conciliazione in sede
contenziosa, laddove era stata dedotta la mera qualità di socio. “Questa confessione, che
avrebbe dovuto costituire piena prova legale contro colui che era stata fatta e che avrebbe
dovuto vincolare il giudice”, era stata invece ignorata, falsamente applicando la normativa di

menzionata giurisprudenza (Cass. n. 18237 del 2003, n. 1038 del 1965 e n. 1389 del 1967).
4° motivo – violazione degli articoli 115 e/o 116 c.p.c. unitamente all’articolo 132 n. 4 dello
stesso codice, in combinato disposto con l’articolo 2697 c.c., non avendo la sentenza
impugnata tenuto conto del fatto che il ricorrente aveva conservato, dalla Feltrinelli (dalla
quale proveniva), la qualifica di impiegato di 1 0 livello, così come riportata a pagina 3 dello
stesso ricorso, circostanza rilevante ai fini di causa e non specificamente contestata dalla
TREVES. Inoltre, la sentenza di appello aveva omesso di prendere seriamente in
considerazione l’estratto contributivo previdenziale, poiché inerente al versamento dei
contributi per lavoro dipendente, che, sebbene versati soltanto per il 1995, erano significativi
per come fosse sorto il rapporto tra il socio e la convenuta società. Dunque, la Corte
territoriale aveva ignorato e falsamente applicato la citata normativa, con una motivazione
del tutto incongrua, poiché inappropriata e fuor di luogo rispetto alla funzione probatoria del
versamento dei contributi, funzione distinta e diversa rispetto al documento depositato
esclusivamente per evidenziare la qualifica di impiegato di 1 0 livello esecutivo in esso
annotata; documenti distinti e diversi che la Corte distrettuale aveva confuso quasi come
fungibili e/o inutili duplicati, ancora una volta senza una congrua motivazione.
50 motivo – violazione degli artt. 116 e 132 n. 4 c.p.c., in combinato disposto con l’articolo
2697 c.c., essendo la sentenza impugnata, nel negare attendibilità alle deposizione del teste
d’Esposito, incorsa in errore dovuto ad insufficiente conoscenza degli atti processuali con i
quali contrastava, avendo il teste tra l’altro affermato il vero, allorché aveva dichiarato che
nell’anno 2000 aveva avuto modo di vedere che l’attore non percepiva interamente la somma
di euro 1800, già regolarmente erogata a cadenze mensili. Parimenti, il teste D’Esposito
aveva dichiarato la verità, laddove aveva risposto di non aver visto alcuna documentazione
relativa alla società, per cui non sapeva dire chi fossero i soci, mentre sbrigativamente nella

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riferimento ed ignorando quella civilistica, nonché disattendendo i principi di cui alla

ud. 20.09.17 r.g. n. 22929 12

sentenza era stato scritto che addirittura non sapeva che il ricorrente, sebbene suo amico,
fosse anche socio.
6° motivo – violazione degli articoli 116 e 132 n. 4 c.p.c. in combinato disposto con l’articolo
2697 c.c. in ordine alla valutazione della testimonianza resa da Francesco Wurzburger.
7 0 motivo – violazione dell’articolo 116 e dell’articolo 132 n. 4 c.p.c., in combinato disposto
con l’articolo 2697 c.c., relativamente alla deposizione resa dalla teste Scognamiglio, da cui
non poteva desumersi che l’attore avesse assunto l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri

senso di un’operazione meramente materiale e non decisionale, quindi ben compatibile con
ciò che il lavoratore rappresentava per l’età ed esperienza professionale, quale impiegato di
1 0 livello esecutivo. Diversamente opinando, non si comprendeva a cosa fosse servita la
direzione decisionale dell’amministratore unico (DE MARTINO) per la TREVES del 1995 al
2006.
8° motivo – violazione degli artt. 116 e 132 n. 4 c.p.c. in combinato disposto dell’articolo
2697 c.c., anche per quanto riguarda la documentazione relativa alle retribuzioni per lavoro
percepite dal ricorrente, mentre la sentenza impugnata mostrava di credere a retribuzioni
genericamente occasionali, negando altresì valenza probatoria alle stesse ricevute delle due
uniche tredicesime pagate al ricorrente, sia pure soltanto negli anni 2003 e nel 2004,
riportate nei conteggi come percepite. La Corte aveva dunque negato valore probatorio a
ricevute di pagamento eseguiti al ricorrente, che in tempi non sospetti la società convenuta
aveva accettato e ritenuto idonee per quanto sulle stesse scritto con la firma del lavoratore,
ricevute che in sede contenziosa la società aveva depositato per sostenere che le stesse
rappresentarono anticipi trattenuti dal ricorrente su indimostrati e mai deliberati utili di
gestione da distribuire ai soci.
9 0 motivo – violazione dell’articolo 132 n. 4 c.p.c. unitamente agli articoli 2380 bis, 2471
comma 1 0, 2475 bis comma 1° codice civile, in combinato disposto con l’articolo 2697
comma 2° dello stesso codice, visto che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori, mentre nella specie dagli atti emergeva che l’amministrazione della società
risultava affidata al socio amministratore unico Salvatore De Martino, legale rappresentante
della stessa. Mancava ogni prova che da parte del ricorrente ci fosse stata effettiva
assunzione di autonomia di poteri di direzione amministrativa, circostanza peraltro in
contrasto con l’assunto della convenuta, secondo la quale il ricorrente era soltanto un socio.

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di gestione. Anche riguardo alla cosiddetta erogazione di stipendi, la stessa andava intesa nel

ud. 20.09.17 r.g. i. 22929 12

10 0 motivo – violazione dell’articolo 132 n. 4 c.p.c. unitamente all’articolo 2476 comma 2
c.p.c., perché, contrariamente a quanto ipotizzato dalla Corte territoriale, l’attore proprio in
quanto socio, estraneo all’amministrazione, aveva posto in essere azione di responsabilità
contro l’amministratore unico, conclusosi con la sentenza n. 8580 del 2008.
11 0 e ultimo motivo di ricorso – violazione dell’articolo 132 n. 4 c.p.c., unitamente agli articoli
2479 comma 2 numero 1, 2727 e 2729 c.c., perché in ogni caso è riservata alla competenza
dell’assemblea dei soci l’approvazione del bilancio e la divisione degli utili, mentre nel caso in

neppure ad utili di gestione. Inoltre, a fronte degli fatti e atti di causa sarebbe stato
seriamente ragionevole concludere per ritenere accertata come lavoro dipendente l’attività
prestata dal ricorrente dal 1995 all’anno 2006, presso atto che l’attore, come semplice socio e
con un’impresa che non produceva utili, soltanto con uno stipendio fisso mensile poteva
riuscire ad avere quel reddito necessario sufficiente per sé e per la propria famiglia, reddito
esclusivamente dal lavoro, dunque come da certificazione dell’Agenzia delle Entrate
depositata all’udienza di discussione davanti al tribunale, quindi reddito da lavoro dipendente.
Tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese, poiché in effetti tendono,
inammissibilmente a sovvertire in questa sede di legittimità, quanto con esauriente
motivazione per contro accertato ed apprezzato dai giudici nei due gradi del giudizio di
merito, segnatamente riguardo comunque alla esclusa natura subordinata del dedotto
rapporto di lavoro.
Invero, la Corte partenopea ha dato atto dei motivi a sostegno dei quali era stato interposto il
gravame dal WURZBURGER, il quale aveva lamentato l’omessa valutazione di talune
circostanze e di documenti rilevanti, come il pagamento di contributi previdenziali ed
assicurativi nel periodo iniziale del rapporto, i compensi erogati, i redditi da lavoro certificati
dall’Agenzia delle Entrate ed il pagamento anche di tredicesime mensilità. Quanto alle
emergenze della prova testimoniale, l’appellante, inoltre, si era doluto del fatto che il primo
giudicante aveva attribuito rilevanza alle generiche affermazioni del teste Scognamiglio (il
quale aveva riferito circa una attività di gestione da parte del Wurzburger), ma senza valutare
adeguatamente il ruolo svolto dal Di Martino, amministratore unico della Società e presente
sul luogo di lavoro, sia pure solo nelle fasi strategiche della giornata. Inoltre, l’appellante
aveva evidenziato come nessun documento fosse stato offerto ex adverso a sostegno della
tesi di una gestione svolta dal Wurzburger, cui aveva finito per aderire il primo giudicante. Di
conseguenza, il ricorrente aveva impugnato la decisione di primo grado per violazione dell’art.
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esame, assenti tali circostanze, i pagamenti percepiti dal ricorrente non potevano imputarsi

ud. 20.(0.17 r r.g. n. 22929-12

112 c.p.c., essendo stata affermato un ruolo dell’appellante quale socio amministratore, e
non già di semplice socio, come pure sostenuto da parte convenuta.
L’appellante aveva, altresì, dedotto la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. quanto alla
inadeguata valutazione delle prove e dei documenti in atti, nonché delle emergenze della
prova testimoniale raccolta. La motivazione della sentenza, proseguiva l’appellante, doveva
ritenersi non esaustiva ex art. 132 n. 4 c.p.c., in quanto, come da menzionata giurisprudenza
di legittimità in casi analoghi, il potere dell’imprenditore doveva essere valutato tenendo

L’appellante – ancora – aveva lamentato la violazione delle disposizioni civilistiche per le quali
la gestione della impresa spetta agli amministratori indicati nell’atto costitutivo e/o da
successivi atti societari e non a pretesi gestori di fatto. Sosteneva che facendo anche
adeguato uso delle presunzioni, doveva ritenersi dimostrato che esso Wurzburger avesse
lavorato quale dipendente ed in modo ininterrotto dal 1995 al 19 dicembre 2006, ricevendo
retribuzioni e mensilità aggiuntive e che, ambiguamente, le certificazioni contributive erano
riferite a prestazioni occasionali. Insistendo, infine, per la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato sorto in relazione alle mansioni di impiegato esecutivo di primo livello,
l’appellante aveva quindi concluso per la riforma della impugnata sentenza e l’accoglimento
delle pretese articolate con l’atto introduttivo del giudizio.
Dunque, appare evidente come la Corte distrettuale abbia dato ampio conto delle doglianze a
suo tempo mosse dal WURZBUGER, doglianze che in effetti sono pressoché quasi del tutto
corrispondenti ai sopra riportati, ancorché sinteticamente, motivi di ricorso per cassazione.
A fronte di tali risultanze la Corte napoletana con la pronuncia qui impugnata non ha in alcun
modo eluso le problematiche poste dall’appellante – attuale ricorrente, richiamando in primo
luogo il quadro giurisprudenziale in materia, secondo cui in tema di rapporto di lavoro alle
dipendenze di società di capitali è ben possibile che anche nei confronti di un socio titolare
della maggioranza del capitale sociale si instauri un rapporto di lavoro subordinato, ferma
restando peraltro la non configurabilità di un rapporto di lavoro quando il socio stesso, a
prescindere dalla formale investitura a componente dell’organo amministrativo, abbia assunto
l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione (Cass. 21759/2004). Ancora in tema di
società di capitali, veniva citato il principio in forza del quale non può, al contrario, attribuirsi
rilievo determinante alla circostanza che il socio di una s.r.l. sia titolare di una quota minima
del capitale sociale, in quanto, per la qualificazione ai fini previdenziali del rapporto, occorre
altresì valutare il fatto che il soggetto abbia assunto un ruolo gestori°, “anche di mero fatto e
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conto della peculiarità della fattispecie, nella quale esso poteva anche non manifestarsi.

tic!. 2k

r.g. i. 22921 12

– delimitato” che trovi ragionevole spiegazione in una posizione di autonomia dai normali
controlli cui sono sottoposti in genere i lavoratori subordinati o autonomi, correlata alla

partecipazione alla proprietà dell’azienda (Cass. 24898/2010, che nella specie, sebbene
riferita a questione determinata dalla contestata iscrizione alla gestione speciale
commercianti, aveva avuto modo di affermare che anche il socio accomandatario di sas, il
quale non ha funzioni di amministrazione della società né può trattare o concludere affari in
nome della stessa, deve rispettare tale delimitazione dei ruoli nel caso che collabori all’interno

Anche in tal caso, dunque, secondo la Corte d’Appello, “il dato formale deve essere associato
al ruolo sostanziale nell’ambito della società”. Da tali arresti i giudici di secondo grado
ricavavano il principio che, a prescindere dalla formale attribuzione di poteri gestori
nell’ambito di una società di capitali, è tuttavia rilevante, ai fini della esatta qualificazione del
rapporto controverso, accertare il concreto svolgimento di attività gestoría, ancorché
delimitata ed anche da parte di un socio di minoranza e che, in definitiva, debba pur sempre
esaminarsi non il dato formale, bensì il ruolo sostanziale svolto nell’ambito della società dal
socio che assume di essere stato lavoratore subordinato.
Pure nell’ambito delle società di persone, nella stessa ottica, ancorché in un diverso contesto
normativo, si era affermata la configurabilítà di un rapporto di lavoro subordinato nei
confronti del socio, purché si accertasse anche la prestazione comunque di attività lavorativa
sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia, e ciò anche in
presenza di atti di gestione o di partecipazione alle scelte della vita della società (Cass.
23129/2010). Infine, quanto all’associazione in partecipazione con apporto di prestazione
lavorativa da parte dell’associato, al fine di distinguere tale ipotesi da quella determinata
dall’instaurarsi di un rapporto di lavoro subordinato, pur avendo indubbio rilievo il nomen
juris usato dalle parti, occorreva altresì accertare se lo schema negoziale pattuito avesse
effettivamente caratterizzato la prestazione lavorativa, ovvero se questa si fosse svolta con lo
schema della subordinazione, come nel caso di retribuzione erogata a cadenze fisse ed in
presenza di direttive tecniche e di continui controlli della prestazione (Cass. 4524/2011).
Poiché del resto ogni attività umana economicamente rilevante può formare oggetto sia di un
rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo (Cass. 4036/2000), occorreva, nel
corso dell’accertamento, tener conto di una serie di circostanze sia pure nel contesto dettato
dalla configurazione formale che le parti ebbero ad attribuire al rapporto, contesto come detto
comunque non irrilevante e significativo. A tal fine certamente valutabili, ma non decisivi,
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dell’impresa al fine di non perder la garanzia della limitazione di responsabilità personale).

ud. 20.09.17 ,rg.ti. 22929-12

– risultavano i c.d. criteri sussidiari costituiti dal rispetto dell’orario e dalla forma (fissa o meno)
della retribuzione, dovendosi pur sempre apprezzare con priorità la subordinazione, intesa

come assoggettamento alle direttive del datore di lavoro circa le modalità di esecuzione della
prestazione. Tali criteri sussidiari potevano, peraltro, avere maggior valenza in caso di una
prestazione estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità (vedi
Cass. 8569/2004), mentre assumevano diversa valenza in casi ben diversi, come quello in
esame.

collegio la prova cui era tenuto l’attore doveva assumere particolare rigorosità ed univocità a
fronte di una situazione che vedeva esso Wurzburger (socio di minoranza dal 2000, ma non
tale all’epoca in cui venne ad instaurarsi il rapporto) affermare la sussistenza di una
subordinazione regolata però dalle parti con modalità riconducibili alla volontà di configurare
il rapporto di lavoro come autonomo. In tal senso militava, infatti, il rilievo che nel ricorso
introduttivo non è stata mai indicato con quali modalità si sarebbe instaurato il rapporto in
questione ed in quale occasione e da chi il Wurzburger sarebbe stato assunto nel 1995. La
documentazione versata in atti dallo stesso appellante era al contrario riferita a “consulenza e
prestazioni occasionali”, che nel 1997 giunsero a 60.494.000 al lordo di ritenute operate nel
regime fiscale coerente con un rapporto di lavoro autonomo. Inoltre, se era pur vero che
alcune ricevute riportavano somme per lire 3500.000, doveva osservarsi che tra quelle
riproposte dall’appellante all’esame della Corte, varie ricevute recavano tutte la medesima
data di rilascio del 31.12.1996, di cui alcune però riferite a mesi precedenti, anche per il
diverso importo di lire 2.500.000. Quanto, poi, alla portata delle altre “ricevute” richiamate
nell’appello (nella quali appariva la dicitura “tredicesima”), esse andavano valutate con
estrema prudenza, tenendo conto del fatto che apparivano redatte a mano ed erano
comunque sottoscritte dal solo appellante, senza alcun timbro o sottoscrizione ulteriore,
essendo quindi rimaste del tutto incerte anche le modalità della loro compilazione a fronte
della contestazione, sollevata in primo grado dalla Società, la quale aveva sostenuto essere
stato lo stesso ricorrente a prelevare in totale autonomia il denaro dalla cassa, compilando
quindi le relative annotazioni. Non era, inoltre, trascurabile che alcuni di detti documenti
recavano una data successiva alla mensilità aggiuntiva cui essi sarebbero riferiti (a luglio
2005 ad esempio sarebbero stati ricevuti vari “ANTICIPI” ma per tredicesima 2004 e così
anche ripetutamente nel corso del mese di giugno 2005, tutte somme di diverso importo),

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Riepilogando ed applicando i criteri emersi dal ricordato contesto giurisprudenziale, secondo il

2,1.119.1 –

r.g. n. 22929 12

mentre il 27.2.2000 “W. Francesco” (presumibilmente figlio di Wurzberger) avrebbe ritirato
800.000 lire, ma ma a titolo di “buono” per l’appellante.
« La teste Scognamiglio, giudicata attendibile, tra il 2000 ed il 2002 addetta alla cassa, aveva
dichiarato che le retribuzioni erano erogate o dal ricorrente ovvero dal Di Martino e che gli
stessi consegnavano il denaro prelevandolo dalla cassa, a conferma, secondo la Corte
distrettuale, del fatto che il Wurzburger era autonomamente libero di prelevare il denaro dalla
cassa, come appunto sostenuto dalla società. Quest’ultima nell’esibire le ricevute (pag. 9

costituivano la prova documentale dei prelievi effettuati in autonomia dal ricorrente. Tale
circostanza era rimasta sostanzialmente non contestata nella memoria di replica depositata in
primo grado dal Wurzburger in data 14-5-2008, salvo una contestazione circa il disordine con
cui la produzione ex adverso era stata effettuata e la sua Irrilevanza ovvero la carenza di
“attestazione pubblica” di quanto depositato, questione comunque superata dal fatto che poi
lo stesso appellante aveva riproposto alla Corte proprio le fotocopie de quibus, chiedendone
dunque la valutazione sia pure ai propri fini.
A rendere ancor meno univoco il quadro da esaminare, con riferimento alle predette
retribuzioni aggiuntive, la Corte territoriale osservava che a pag. 2 dello stesso atto di appello
era stato affermato che II Wurzburger “precisava nel ricorso che NON aveva percepito la
13.ma e 14.ma né i ROL” negando dunque quanto contraddittoriamente sostenuto in altra
parte dell’appello.
Era, pertanto, ben limitato il rilievo da attribuire ad un compenso che sarebbe stato
percepito (ovvero prelevato dallo stesso Wurzburger) per entità omogenee mensili, laddove le
stesse ricevute in atti ed i documenti rilasciati per le prestazioni “autonome” militavano in
senso opposto rispetto alle tesi dell’appellante.
La presenza del De Martino, socio di maggioranza ma solo dal 2000, sul luogo di lavoro nello
stesso ricorso di primo grado era stata ammessa come non continua per la esigenza dello
stesso di essere presente in altra libreria gestita da una società (Alpha Libri S.r.l.) di cui il De
Martino era amministratore unico. La questione degli interessi rilevanti del De Martino in tale
diversa società era stata ampiamente dibattuta sia nelle del/bere assembleari in atti che nel
corso dei giudizi instaurati in sede ordinaria dallo stesso attuale appellante.
Il teste D’Esposíto, da valutare con prudenza non solo perché amico di famiglia ma per aver
egli stesso lavorato “a nero” per la società nel 2000, aveva dichiarato di conoscere i fatti per
il periodo precedente sia in virtù del rapporto di amicizia che delle sue frequentazioni come
IO

punto 3.4 della memoria di costituzione di primo grado) aveva dedotto che le medesime

l

id. 2i.U9.17

r.g., n. 22929 12

cliente nella libreria Treves. Il teste, in un primo momento, aveva affermato che il ricorrente
era quotidianamente presente dalle ore 8.30 alle 21.00 ma poi, nel corso della testimonianza,
aveva ammesso che “effettivamente” dal febbraio 2000 il Wurtzburger era costretto a
sottoporsi a dialisi nei giorni dispari, per cui necessariamente terminava la propria presenza
sul luogo di lavoro ancor prima, verso le 14.30. Il tenore di tali dichiarazioni appare, dunque,
confermativo di una tendenza del teste a rendere dichiarazioni favorevoli al ricorrente, cui lo
stesso teste era legato da rapporto di vecchia amicizia.

somma di euro 1800 che pure, per quanto a sua conoscenza, avrebbe dovuto percepire: tale
dichiarazione non collimava neppure con i conteggi allegati al ricorso introduttivo, nei quali si
ammette che in tutti i mesi del 2000, periodo in cui il D’Esposito era presente in libreria,
sarebbe stata percepita proprio la somma in lire pari ad euro 1807,60. Il teste, infine, aveva
dichiarato di non sapere quali somme sarebbero state percepite prima del 2000 e addirittura
di non sapere che il ricorrente, pur suo amico, era anche socio della società. Tali rilievi
permettevano di ritenere, secondo la Corte partenopea, non attendibile la dichiarazione del
D’Esposito, come sottolineato dalla appellata, che aveva reputato inverosimile che il teste non
conoscesse una tale circostanza pur in presenza di vecchi rapporti di amicizia.
Non diversamente opinavano i giudici di appello riguardo alla testimonianza del figlio del
ricorrente, che oltre ad essere legato da stretti vincoli con l’appellante, era stato a sua volta
lavoratore “a nero” nella libreria in due diversi periodi. Il teste, che dichiarava di essere stato
inquadrato soltanto nel 2003, aveva affermato che il padre continuava a lavorare sempre con
lo stesso impegno, anche dopo essere diventato socio di minoranza, nel 2000. Tale
dichiarazione non appariva coerente con il contesto, laddove era certo che da tale epoca il
ricorrente ebbe a sottoporsi a dialisi, la quale comportava la sua assenza almeno nei giorni
dispari.
Comunque, i due testi, secondo í quali era pregnante e continua la presenza del De Martino in
libreria, non avevano precisato quali sarebbero state le direttive impartite, tanto più che la
presenza a tal fine, nella migliore delle ipotesi si sarebbe limitata all’inizio ed alla fine della
giornata di lavoro.
Ben più attendibile, invece, a giudizio della Corte d’Appello, risultava la testimonianza della
Scognamiglio, addetta alla cassa tra il 2000 ed il 2002, la quale aveva affermato che il De
Martino, proprio per il suo impegno nell’altra libreria, era quasi sempre assente e che proprio
per questo la gestione della prima libreria avveniva anche ad opera del ricorrente, il quale,
11

Costui, inoltre, aveva riferito di aver avuto modo di vedere che il ricorrente non percepiva la

20.00.1 – r.g. n. 22020 12

come già prima riferito, prelevava il denaro dalla cassa per pagare i dipendenti, facendo
firmare anche le buste paga. Il De Martino -aveva detto la teste- era presente in libreria
soltanto un paio di volte in media alla settimana e dunque era il Wurzburger che autorizzava
ferie e permessi, proprio perché più presente in libreria anche se, come riferito ancora dalla
teste, í suoi orari non coincidevano sempre con quelli della libreria, anche perché era in dialisi
nei pomeriggi dei giorni dispari. Doveva a questo punto chiarirsi che l’attività di gestione della
libreria, riferita al Wurzburger dalla teste, era sufficiente a connotare il rapporto in senso non

precedenza esposto, pur sempre necessario dimostrare, con onere a carico di parte attrice, la
sussistenza di una subordinazione gerarchica, in presenza di concrete direttive e controllo,
che certo non potevano essere impartite con sufficiente continuità in un rapporto, connotato
almeno formalmente dalle parti in regime di autonomia e che vedeva le sporadiche presenze
sul luogo del lavoro dell’altro socio De Martino. Con quest’ultimo il ricorrente condivideva
(almeno) la gestione non solo della libreria ma anche delle direttive da impartire ai
dipendenti, ai quali il Wurzburger erogava altresì stipendi, prelevando autonomamente il
denaro dalla cassa. Tale attività, certo, non era svolta normalmente dalla cassiera, che a sua
volta percepiva in tal modo le sue retribuzioni. Ne derivava che la possibilità di attingere
senza controlli dalla cassa, ripetutamente sottolineata dalla Società, appariva tale da
evidenziare che il ricorrente non fosse sottoposto a particolari controlli e agisse in autonomia.
Essendo del tutto sminuita dai rilievi prima esposti, la portata del criterio sussidiario della
fissità della retribuzione (peraltro elemento non univoco), doveva ancora osservarsi che
giustamente la sentenza impugnata aveva dato rilievo al fatto che le vicende mostrarono una
attiva partecipazione del Wurtzbuger alla vita societaria, culminata nella impugnazione delle
varie delibere in un giudizio conclusosi, tra l’altro, con una pronuncia negativa anche in ordine
alla impugnazione della delibera del 19.12.2006, quella a seguito della quale il Wurtzburger
fu estromesso, essendogli inibito l’accesso in libreria. Si ricordava inoltre che la qualità di
socio di minoranza, ripetutamente lamentata in gravame, era tale solo dal 2000, mentre in
precedenza, al momento dell’instaurarsi del preteso rapporto di subordinazione, essa era
assente, dovendosi allora pur sempre dimostrare in che modo si sarebbe pervenuti
all’assunzione del socio Wurzburger e da chi sarebbe stato esercitato il potere gerarchico. Né
poteva trascurarsi che anche il dovere di giustificare le assenze costituiva uno dei tratti tipici
della subordinazione, e che nella specie invece non risultava che l’appellante avesse in realtà

12

certo favorevole rispetto alla dedotta subordinazione, poiché sarebbe stato, per quanto in

ud. 20.09.1T r.g. n. 22912

mai dovuto giustificare la propria assenza sul luogo di lavoro ovvero il mancato rispetto degli
orari.
Neanche poteva l’appellante dolersi della mancata valutazione della situazione contributiva
risultante dall’attestazione rilasciata dall’Istituto previdenziale. Invero, con il ricorso
introduttivo del giudizio era stato pure allegato l’omesso versamento di contributi per l’intero
periodo dal 1.1.1995 al 19.12.2006 e che mai il rapporto era stato denunciato agli istituti
assicurativi e di previdenza (punto 4 pag. 1 e punto 24 pag. 4). L’estratto versato in atti (sub

alle dipendenze della Società Feltrinellí Editore S.p.a.. Di conseguenza, in primo grado non fu
mai dedotta la circostanza che i contributi risultanti versati nel gennaio 1995 come da
predetto estratto fossero riferibili ad un rapporto formalizzato dalla società appellata, né
risultava mai esibita documentazione a riprova di tale circostanza. Pertanto, non può dolersi
l’appellante della mancata valutazione di tali documenti, né poteva fondare sugli stessi la sua
pretesa.
La sentenza impugnata sfuggiva, dunque, alle censure dell’appellante, in quanto,
riassuntívamente, fu adeguatamente valutato il quadro testimoniale e documentale, e la
decisione di rigetto appariva conforme a diritto sia pure alla stregua delle ulteriori
argomentazioni svolte.
Pertanto, come si evince dalla succitata parte narrativa, nonché dalla corrispondente congrua
ed esauriente motivazione, per la quale del resto almeno formalmente lo stesso ricorrente
non ha nemmeno denunciato un vizio di motivazione (ex art. 360 comma I n. 5 c.p.c.,
secondo il testo previgente nella specie ratione temporis applicabile, con riferimento alla data
di pubblicazione della sentenza de qua, risalente al febbraio 2012, perciò anteriore alla
modifica apportata dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in I. 7 agosto
2012, n. 134, tenuto conto del regime transitorio disciplinato dall’art. 54, co. 3, dello stesso
decreto, in relazione alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione, avvenuta il 12 agosto 2012), la sentenza di
appello appare del tutto immune dagli errori di diritto ipotizzati dal ricorrente, avendo i giudici
di merito con l’anzidetta ampia argomentazione escluso il carattere subordinato delle
prestazioni rese dal socio Rosario Wurzburger in favore della TREVES, visto che egli gestiva di
fatto con ampia autonomia la libreria, ancorché senza essere amministratore della società cui
partecipava ed alla quale la stessa libreria faceva capo. In tal sensi, quindi, risultano anche
del tutto inconferenti i richiami operati da parte ricorrente alle norme del codice civile in tema
13

33) era, dunque, correlato alla affermata preesistenza di un rapporto di lavoro, regolarizzato

nel. 20.09.1 – ,rg. n. 22929 12

di società. Inoltre, come già accennato, non risultando ritualmente e chiaramente denunciato
alcun vizio ex cit. art. 360 n. 5, nemmeno appaiono pertinenti le varie censure formulate in
ordine all’art. 134 n. 4 c.p.c., peraltro anche ingiustificate, visto che l’impugnata sentenza
appare del tutto in linea con il requisito della coincisa esposizione delle ragioni di fatto e di
diritto della decisione richiesto dal codice di rito (con l’ulteriore precisazione che nella specie
si applica il nuovo testo dell’art. 132 n. 4, come modificato dall’art. 45, co. 17, I. 18 giugno
2009, n. 69, in base al regime transitorio specificamente dettato dall’art. 58, comma II, della

Del resto, è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una
violazione di norme di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice
di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un
nuovo, ma non consentito, terzo grado di merito (così, tra le più recenti, si è pronunciata
questa S.C., sez. III civ. – 3, come da ordinanza n. 8758 del 04/04/2017).
Va poi ricordato che in tema di ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del
materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si
alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il
suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a
valutazione (Cass. VI civ. – L n. 27000 del 27/12/2016. Cfr. parimenti Cass. III civ. n. 11892
del 10/06/2016: la violazione dell’art. 116 c.p.c. -norma che sancisce il principio della libera
valutazione delle prove, salva diversa previsione legale- è idonea ad integrare il vizio di cui
all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di
una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente
apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime). Nella
specie di cui è qui processo, alla luce delle suddette ampie argomentazioni, fornite dalla Corte
territoriale, non si ravvisano, evidentemente, gli estremi di legge per ritenere violate le
disposizioni di cui ai succitati artt. 115 e 116, laddove poi quanto all’art. 2697 c.c. tale norma
disciplina l’onere della prova e non attiene alle valutazioni di merito, desunte invece
dall’acquisito materiale istruttorio.
Invero, è di tutta evidenza come, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge
quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto
14

medesima L. n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009).

r.g. n. 22929 12

• un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., parte ricorrente non
abbia rappresentato altro che mere questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso
in questa sede di legittimità.
Comunque, ancorché non sia stato espressamente formulato alcun vizio di motivazione, ogni
altra censura risulta prospettata dalla ricorrente pure in difformità da quanto previsto dall’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche
introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (omessa, insufficiente o contraddittoria

qualsiasi riferimento ad un preciso accadimento o a una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”, che, pertanto,
risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure così irritualmente
formulate.
Sono, dunque, insindacabili in questa sede di legittimità le argomentazioni in base alle quali
la Corte di merito ha giudicato infondate le pretese creditorie azionate dal WURZBURGER nei
confronti della convenuta società (cfr. del resto Cass. I civ. n. 14267 del 20/06/2006 ed altre
di segno analogo, secondo cui in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al
principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla
lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di
legittimità), a fronte degli anzidetti motivati accertamenti ed apprezzamenti, in punto di fatto.
Ed invero, come è noto, pure la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza,
impugnata con ricorso per cassazione, conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito
di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse
sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti
(salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il vizio di motivazione,
sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia
15

motivazione, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”), mancando

. 20.09.17

r.g. n. 22929 12

• rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. sez.
un. civ. n. 13045 del 27/12/1997. In particolare, alla cassazione della sentenza, per vizi della
motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento
svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente

valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte. V.
Cass. III civ. n. 20322 del 20/10/2005, conformi Cass. n. 2222 e n. 12467 del 2003, n. 7073
del 28/03/2006, n. 12362 del 24/05/2006, n. 11039 del 12/05/2006, n. 6264 del
21/03/2006, n. 4001 del 23/02/2006, n. 1120 del 20/01/2006, nonché n. 15805 del
28/07/2005, n. 11936 del 2003 e n. 15693 del 2004.
V. in senso analogo inoltre Cass. I civ. n. 1754 del 26/01/2007, Cass. lav. n. 15489 del g.
11/07/2007 conformi Cass. n. 91 del 07/01/2014, n. 5024 del 2012, n. 18119 del
02/07/2008, n. 23929 del 19/11/2007 – Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011, Cass. sez. un.
civ. n. 24148 del 25/10/2013, Cass. III civ. n. 17037 del 20/08/2015, nonché Cass. lav. n.
25608 del 14/11/2013 conforme Cass. n. 14973/ 2006). Del resto, la conformità della
sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., richiede soltanto che
l’esposizione dei fatti di causa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della
controversia e che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico giuridico
seguito, sicché è sufficiente che la sentenza consenta di desumere la ragione per la quale
ogni istanza proposta dalle parti sia stata esaminata e di ricostruire l’esatto ragionamento
posto a base della decisione (v. in tal sensi Cass. lav. n. 21420 del 21/10/2015. Parimenti,
secondo Cass. III civ. n. 20112 del 18/09/2009, affinché sia integrato il vizio di “mancanza
della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., occorre che la
motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere
risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna
argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue
argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di
individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del “decisum”. In senso conforme v.
anche Cass. III n. 3596 del 10/12/1971, secondo la quale, di conseguenza, unicamente la
mancanza della motivazione o la presenza di una motivazione puramente apparente può dar
16

o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi

ud. 3).09.17

r g. n. 22929-12

. luogo a nullità della sentenza per violazione delle indicate norme di legge ex art. 360 n. 4
c.p.c., mentre altra cosa è quando la motivazione, pur presente nella sentenza, riveli, però,
errori di diritto ovvero lacune, insufficienze o contraddizioni nella disamina dei punti decisivi
della controversia, i quali vizi possono condurre alla cassazione della sentenza, ma sotto altri
profili, espressamente previsti dalla legge, ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., peraltro nei limiti
consentiti dalla succitata giurisprudenza.
Ed in proposito è opportuno richiamare il principio ribadito da Cass. sez. un. civ. n. 22232 del

da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia,
percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente
inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie,
ipotetiche congetture. In senso analogo v. anche Cass. Sez. 6 – 5, n. 9105 del 07/04/2017:
ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di
merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li
indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo,
impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
Pertanto, non si rilevano errori di diritto nell’impugnata sentenza, a parte ogni altra
considerazione circa l’ammissibilità di complete ed esaurienti allegazioni ex art. 366 c.p.c. e la
pertinenza delle censure dedotte in relazione alle critiche vincolate consentite nei soli limiti
fissatati dall’art. 360 c.p.c., né tanto meno alcuna nullità di sorta, rilevante ai sensi dell’art.
360 n. 4 dello stesso codice, di modo che il ricorso va respinto.
Infine, non si provvede sulle spese, nonostante la soccombenza di parte ricorrente, attesa la
rilevata inammissibilità del controricorso, non notificato e mancante di valida procura, nei
sensi di cui si è detto all’inizio, sicché manca il presupposto della valida costituzione della
parte intimata, sebbene risultata vittoriosa anche all’esito di questo giudizio di legittimità,
perché a favore di quest’ultima possa disporsi la condanna alle spese.
P. Q. M.
la Corte RIGETTA il ricorso.
Così deciso in Roma il venti settembre 2017

IL PRESIDENTE

03/11/2016, secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta

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