Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1034 del 17/01/2017
Cassazione civile, sez. VI, 17/01/2017, (ud. 21/11/2016, dep.17/01/2017), n. 1034
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20777-2014 proposto da:
avv. P.G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CASSIODORO 19, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CALO’, che lo
rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO SCM S.P.A. IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso il decreto n. 343/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il
06/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO.
Fatto
IN FATTO ED IN DIRITTO
E’ stata depositata in Cancelleria e regolarmente comunicata, la seguente relazione:
“Il Tribunale di Roma, col decreto oggi impugnato, ha respinto l’opposizione allo stato passivo proposta dall’avv. P. per l’ammissione in prededuzione per il credito di rivalsa Iva sulle somme effettivamente ripartite, correlato al credito per prestazioni professionali di Euro 374.145,63, ammesso allo stato passivo del Fallimento SCM s.p.a. in privilegio, ex art. 2751 bis c.c., n. 2.
Ricorre l’avv. P., con ricorso affidato ad otto motivi.
Il Fallimento non ha svolto difese.
Rileva quanto segue.
Il ricorso è inammissibile ex art. 380 c.p.c..
E’ stato reiteratamente espresso da questa Corte il principio secondo il quale il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento, non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art. 111, comma 1, Legge Fall. (applicabile nel testo “ratione temporis”), in quanto la disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6 secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura (in alternativa al momento di prestazione del servizio), cosicchè, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa, non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell’amministrazione o dall’esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758 c.c., comma 2, nel caso in cui sussistano beni – che il creditore ha l’onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo – su cui esercitare la causa di prelazione. Nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, nemmeno è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell’IVA di cui alla fattura, poichè tale situazione è conseguenza del sistema di contabilizzazione dell’imposta e non di un’anomalia distorsiva del sistema concorsuale (così tra le ultime, le pronunce 9616/2016, 7414/2014, 8222/2011).
Il Tribunale si è uniformato a detto orientamento, nè i motivi del ricorrente inducono ad un ripensamento del principio consolidato. Il ricorrente con i primi due motivi si limita a ribadire che solo con la fatturazione del corrispettivo della prestazione nasce il credito di rivalsa dell’iva, che l’interpretazione della S.C. altera la neutralità dell’iva, non favorisce nè l’imparzialità nè il buon andamento delle procedure fallimentari; col terzo, adduce che la tesi avversata comporta che, ammesso il credito del professionista in privilegio ed il credito di rivalsa in chirografo, in sede di riparto, il curatore, non sussistendo somme per i chirografari ma solo per i privilegiati, pretenderà dal professionista l’emissione di fattura con indicazione del corrispettivo, che verrà pagato, e dell’iva, che non sarà pagata perchè in chirografo); col quarto e col quinto, si duole della violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 41 Cost.; col sesto e col settimo, della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 27 e 30 nonchè dell’art. 21, comma 2, n. 4 e delle tabelle A, B, C del detto D.P.R.; con l’ottavo, della violazione degli artt. 19 e 26, D.P.R. cit., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66, comma 3 e art. 101, comma 5 e degli artt. 92 e ss. l.f., sempre ribadendo la nascita del credito di rivalsa solo all’atto della fatturazione”. In esito all’odierna udienza camerale, il Collegio, letta anche la memoria del ricorrente, condivide integralmente le considerazioni esposte nella relazione, che non risultano superate dalla replica contenuta nella memoria.
Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituito il Fallimento.
PQM
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017