Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10339 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10339 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

Jv

SENTENZA

sul ricorso 12693-2008 proposto da:
BIBBO

ANTONIO

BBBNTN41C09A020D,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 96, presso lo
studio dell’avvocato MARSICANO GIORGIA, rappresentato
e difeso dall’avvocato MORGANTE GASPARE;
– ricorrenti contro

BIBBO

CANIO

BBBCNA39B24A020C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo
studio dell’avvocato CLEMENTE MICHELE, che lo
rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 13/05/2014

- controricorrenti

avverso la sentenza n. 1349/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 21/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2014 dal Consigliere Dott. EMILIO

udito l’Avvocato MICHELE CLEMENTE difensore del
resistente che si riporta al controricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MIGLIUCCI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Il tribunale di Latina rigettava la domanda di reintegrazione
del possesso con la quale Antonio Bibbo aveva lamentato di essere stato
spogliato dal fratello Canio Bibbo del passaggio esercitato dal cancello

accedeva al fabbricato distinto in due distinte unità abitative,
rispettivamente di proprietà dei fratelli, con corte comune.
Il primo Giudice riteneva che le due abitazioni avevano due
diversi ed autonomi accessi, dei quali ciascuno dei fratelli
aveva la esclusiva disponibilità:
pertinenza del ricorrente,

l’uno in via Molella, di

l’altro, quello via Cavalieri di

Vittorio Veneto del resistente, del quale il ricorrente non
aveva offerto la prova di averne il possesso
Con sentenza dep. il 21 marzo 2007 la Corte di appello di Roma
rigettava l’impugnazione proposta dall’attore.
Nell’escludere il possesso invocato dal ricorrente, i Giudici
ritenevano che l’uso indifferenziato dei due cancelli da parte dei
fratelli era da escludere a stregua delle concordanti e precise
dichiarazioni rese dai testi Paddeu e Dì’Alessandro, che avevano trovato
conferma nello stato dei luoghi e nell’autorizzazione ai realizzare un
ponticello concessa

ad personam dal convenuto all’attore il quale non

aveva dimostrato di avere esercitato una relazione di fatto che non fosse
giustificata da meri atti di tolleranza.
Avvero tale decisione propone ricorso per cassazione Antonio Bibbo sulla
base di quattro motivi.

aperto sulla via Cavalieri di Vittorio Veneto attraverso il quale

Resiste con controricorso l’intimato, depositando memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

esaminare le dichiarazioni rese dagli informatori i quali, avendo
prestato giuramento di rito, dovevano considerarsi veri testimoni i quali
avevano riferito in merito al passaggio esercito e all’apposizione del
lucchetto che l’aveva poi impedito.
1.2. – Il motivo è infondato.
La sentenza ha ritenuto che, in base alle dichiarazioni rese dai
testi, doveva escludersi il possesso invocato dal ricorrente, avendo
evidenziato come le circostanze riferite dai citati testi avessero avuto
anche il riscontro di elementi obiettivi. In tal modo ha compiuto una
valutazione implicita di non rilevanza o decisività delle altre prove , / 1
emerse, e ciò a prescindere se di trattasse di informatori o meno. Qui
occorre osservarsi che intanto può configurarsi il vizio di motivazione
per omesso esame di un documento o delle risultanze di una prova in
quanto si tratti di un elemento probatorio decisivo nel senso che la
relativa acquisizione sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e
non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze di
causa su cui si è fondato il convincimento del giudice del merito, si che
la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. Pertanto, non può
essere dedotto il vizio di motivazione per denunciare il mancato esame di
elementi che siano suscettibili di essere liberamente apprezzati
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1.1. – Il primo motivo censura la decisione gravata che aveva omesso di

unitamente ad altri con essi contrastanti nell’ambito della valutazione
discrezionale del complessivo materiale probatorio riservata al giudice
di merito : altrimenti la Corte di Cassazione verrebbe in sostanza
investita del riesame del merito della controversia, che è sottratto al

2.- Il secondo motivo censura la sentenza di primo grado laddove aveva
ritenuto non raggiunta la prova del possesso invocato dall’attore quando
il tribunale aveva ridotto a due la lista dei testi indicati per
riferire sulle circostanze capitolate sui fatti decisivi della
controversia. La richiesta di tale prova era stata ribadita in secondo
grado e la Corte ha ritenuto la causa matura per la decisione senza
ammettere la prova ma confermando la sentenza di prime cure.
3.- Il terzo motivo deduce che la prova non poteva essere limitata a due
testi, tenuto conto che la fase cautelare è distinta da quella di merito
lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale articolata in
appello su fatti successivamente verificatisi.
4.- Il secondo e il terzo motivo – che, stante la stretta connessione,
vanno esaminati congiuntamente – sono infondati
a) La riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un
potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, non censurabile
in sede di legittimità, ed esercitabile anche nel corso dell’espletamento
della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti
i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua
l’ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve
essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal
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giudice di legittimità.

complesso della motivazione della sentenza.
b)

Il

principio

di infrazionabilità delle prove,

comporta

la

inammissibilità, in appello, di una prova testimoniale che, anche in modo
indiretto, si appalesi preordinata a contrastare, completare o confortare

determinare, attraverso nuove modalità e circostanze, ovvero per la
connessione delle circostanze già provate

con quelle da provare,

una

diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo
istruttorio nelle precedenti fasi del processo.
5.1. – Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per avere omesso
di considerare la comproprietà della corte e dei relativi cancelli che
erano rimasti nella disponibilità, utilizzo e godimento di entrambi i
proprietari, posto che, in presenza della comproprietà deve presumersi
anche il compossesso : il che avrebbe trovato conferma nelle
dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal resistente. In
presenza di una situazione di compossesso, era a carico del convenuto
l’onere della prova relativa all’inesistenza del diritto, mentre era da
escludere che tale situazione trovasse fondamento in meri atti di
tolleranza.
5.2. Il motivo è infondato.
In primo luogo, va considerato che oggetto della domanda era la
reintegrazione del possesso del passaggio che sarebbe stato esercitato
attraverso il cancello sulla via e non del compossesso del cortile comune
Peraltro, va considerato che la tutela possessoria risponde a esigenze di
ordine pubblico, essendo diretta a evitare che i cittadini si facciano
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le risultanze di quella già dedotta e assunta in primo grado, e cioè a

ragione da sè stessi (ne cives ad arma veniant), ed è concessa con
riguardo a situazione di fatto, indipendentemente dal titolo giuridico su
cui esse si basano e dei diritti che sulla cosa abbia l’autore dello
spoglio. In particolare, in tema di compossesso di beni comuni, occorre
obiettivamente

destinati ad arrecare utilità e quei beni la cui utilità deriva dalla
necessaria attività dei comproprietari. Rispetto a questi ultimi, non è
possibile configurare la presunzione di compossesso derivante dalla
comproprietà del cortile, posto che l’utilità che da esso se ne ritrae
dipende dalla attività in concreto su di esso esercitata dal
comproprietario, ciò tanto più nella specie in cui esistevano due
accessi, dei quali uno ( quello di cui è causa) l’attore aveva lamentato
di essere stato privato del possesso. Pertanto, doveva essere verificato
in concreto l’effettivo esercizio del potere di fatto che l’attore era
onerato di provare avendo dedotto di esercitare detto passaggio e di
esserne stato privato.
Il ricorso va rigettato.Le spese della presente fase vanno poste in
solido a carico del ricorrente, risultato soccombente
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente

al pagamento in favore del

resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in euro
2.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per onorari di
avvocato oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio 2014
Il Cons. estensore

Il Pres i

distinguere quei beni che per la loro natura sono

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