Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10338 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10338 Anno 2015
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: MELONI MARINA

SENTENZA

sul ricorso 9071-2010 proposto da:
COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA GIOVANNI GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato
MARIA DANIELA PERRONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato FRANCESCO LETO giusta delega a margine;
– ricorrente –

2015

contro

720

CIPRIANO GIOVANNI;

avverso

la

sentenza

n.

Intimato

45/2009

della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di MESSINA, depositata il

Data pubblicazione: 20/05/2015

12/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/02/2015 dal Consigliere Dott.

MARINA

MELONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’inammissibilità in subordine accoglimento del
ricorso.

Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per

i.

Svolgimento del processo
Il comune di Barcellona Pozzo di Gotto aveva
notificato a Cipriano Giovanni una cartella di

1995.
Il contribuente impugnò la cartella di pagamento
davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di
Messina la quale annullò la pretesa impositiva con
sentenza confermata, su appello del contribuente,
dalla Commissione Tributaria Regionale della
Sicilia.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale della Sicilia ha proposto ricorso per
cassazione il Comune di Barcellona Pozzo di Gatto
con tre motivi. Cipriano Giovanni non ha spiegato
difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE

pagamento relativa a Tarsu per l’anno d’imposta

Con il primo e secondo motivo di ricorso il
Comune di Barcellona Pozzo di Gotto lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art.112
cpc, per violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ed
omessa pronuncia su un punto decisivo della
1

69-\

!

controversia per non avere il giudice di
appello, in violazione della norma indicata,
tenuto conto che lo stesso contribuente aveva
dichiarato esplicitamente di occupare una

per esposizione e mq 750 per deposito, per un
tributo dovuto totale di lire 7.390.845, e per
avere poi omesso di considerare che la
superficie complessiva interessata dal tributo
era maggiore di quella dichiarata.
Con il terzo motivo di ricorso il Comune
ricorrente lamenta illegittimità della sentenza
impugnata per violazione del principio di
pubblicità degli atti amministrativi perché i
giudici di appello hanno ritenuto che la mancata
produzione in giudizio del Regolamento Tarsu
era causa di annullamento della cartella di
pagamento in violazione del principio di
presunzione legale di conoscenza dell’atto.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Infatti i giudici di appello hanno confermato la
decisione di primo grado in quanto il Comune non
aveva adempiuto alla richiesta di fornire
informazioni in ordine alle categorie di
2

superficie di complessivi mq 1350 di cui 600 mq

I
,

.s.
h

appartenenza

dei

locali

ed

alle

tariffe corrispondenti rendendo così impossibile
rideterminare l’ammontare dovuto.
In particolare il terzo motivo relativo alla
mancata produzione in giudizio del Regolamento
Tarsu e principio di pubblicità degli atti
amministrativi è infondato in quanto, a seguito
dell’ordinanza del giudice di primo grado del
25/3/1999, il Comune era onerato dalla
produzione indipendentemente dalla conoscibilità
dell’atto e non poteva sottrarsi all’ordine dato
dal giudice.
Conseguentemente risultano infondati anche il
primo e secondo motivo in quanto i giudici di
appello non hanno violato il principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato perché,
invece, non hanno potuto, per negligenza del
Comune parte in causa, pronunciare in ordine
alla legittimità della tariffa applicata.

II,

In ogni caso i quesiti posti a base dei tre
motivi di ricorso sono inidonei. Infatti occorre
rilevare che il ricorso è stato proposto nel
vigore della d.lgs nr. 40 del 2/2/2006 art.6 che
ha introdotto l’art. 366 bis cpc alla stregua
del quale nei casi previsti dall’articolo
3

oi-

360,
1),

primo
2),

3)

comma,

numeri

e 4),l’illustrazione di ciascun

motivo si deve concludere a pena di
inammissibilità con la formulazione di un
quesito di diritto. Nella fattispecie i quesiti

conformi al paradigma fissato, a pena di
inammissibilità, dall’articolo 366 bis cpc. A
tal riguardo si osserva che le Sezioni unite di
questa Corte (cfr.le sentenze n. 28054 del 2008,
n. 26020 del 2008, n. 18759 del 2008, n. 3519
del 2008, n. 7197 del 2009) hanno affermato che
il quesito deve costituire la chiave di lettura
delle ragioni esposte e deve quindi porre la
Corte di cassazione in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione di una regula juris
che sia, in quanto tale, suscettibile di
ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto
a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a
dire che la Corte di legittimità deve poter
comprendere dalla lettura del solo quesito,
inteso come sintesi logico – giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente
compiuto dal giudice di merito e quale sia,
secondo la prospettazione del ricorrente, la

4

di diritto che corredano i tre motivi non sono

3

regola da applicare.
Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha
adempiuto all’onere, dai contenuti sopra
precisati, della proposizione di una valida
impugnazione, in quanto i quesiti formulati a

collegamento alla fattispecie. Infatti nei
quesiti non si richiede alla Corte di indicare
quale sia l’esatta interpretazione della norma
tra quella adottata nella sentenza impugnata ed
un’altra diversa, ritenuta corretta dal
ricorrente, ma solo di pronunciarsi sulla
legittimità della decisione.
Per quanto sopra deve essere respinto il ricorso
proposto. Nulla per le spese in mancanza di
costituzione del resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della

conclusione dei motivi sono astratti e privi di

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