Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10337 del 19/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10337 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 5284-2010 proposto da:
SAIR S.R.L. (c.f. 03184420150), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA LIMA 15, presso l’avvocato MARIO ETTORE
VERINO, che la rappresenta e difende unitamente agli
avvocati GABRIELE MASO, VALTER LOCCISANO, UGO RUFFOLO,
giusta procura a margine del ricorso e procura
speciale per Notaio dott. UMBERTO COSMO di TREVISO Rep.n. 31177 del 10.3.2016;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 19/05/2016

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona
del Ministro pro tempore, MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del
Ministro pro tempore, AGENZIA DEL DEMANIO, in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliati in

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 28/2009 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 12/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/04/2016 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
uditi, per la ricorrente, gli Avvocati GABRIELE MASO,
VALTER LUCCISANO e UGO RUFFOLO che hanno chiesto la
rimessione della causa alle SS.UU. o alla Corte
Costituzionale e raccoglimento del ricorso;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato dello Stato

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

MARINELLA DI CAVE che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto del ricorso e delle istanze di remissione alle
SS.UU. e di legittimità costituzionale.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinte citazioni, la S.n.c. Valle Cavallino, poi
trasformata in SAIR S.r.l., convenne in giudizio innanzi al

dei Trasporti e della Navigazione, per sentire accertare il suo
diritto di proprietà sull’intera estensione di Ha 508.56.50 delle
valli da pesca denominate “Cavallino” e “Basegia”, acquistate
per atto del 17.10.1946, Voltolina Notaio, e confinanti con la
laguna lungo un argine di terra battuto, realizzo«) do tempo
immemorabile ed a tratti interrotto da manufatti idonei al
passaggio dell’acqua. Chiese, inoltre, la condanna generica delle
Amministrazioni convenute al risarcimento dei danni derivanti
dall’illiceità delle pretese avanzate in merito alla superficie di Ha
284.56.00, perché ritenuta demaniale.
Le Amministrazioni convenute chiesero, in via
riconvenzionale, l’accertamento della natura demaniale
dell’anzidetta estensione del compendio vallivo, con la condanna
al rilascio ed al pagamento dell’indennità di occupazione, da
liquidarsi in separato giudizio. Il Tribunale adito, riunite le cause
e pure nel contraddittorio con l’Agenzia del Demanio, dichiarò la
carenza di legittimazione passiva del Ministero dei Trasporti
accolse, in parte, la domanda principale, accertando la natura
privata e non demaniale dell’intero complesso immobiliare, e
rigettò quella di danni. Tale decisione, gravata in via principale
delle Amministrazioni ed incidentale dalla Società Sair, fu

Tribunale di Venezia il Ministero delle Finanze ed il Ministero

ribaltata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Corte
d’Appello di Venezia, che, dopo aver rilevato l’avvenuto
passaggio in giudicato dello statuito difetto di legittimazione del

gravame principale. I giudici d’appello evidenziarono che le valli
da pesca, costituenti parte del sistema lagunare a carattere
unitario, erano state ritenute di natura demaniale già in base alla
normativa preunitaria, ed in ispecie ad un regolamento di polizia
lagunare del 1841, rimasto in vigore fino alla r.d.l. n. 1853/1936,
natura confermata dalla L n. 366/1963, ed affermarono che l’area
in contesa faceva parte del demanio marittimo necessario, ex art.
28, lett. b), del cod. nav. sia per la sua conformazione trattandosi di bacini di acqua salsa o salmastra, comunicanti col
mare seppur con l’ausilio di meccanismi idraulici- sia perché
idonea ad essere utilizzata per la pesca e per la navigazione, con
piccoli natanti, sia, infine, a salvaguardia dell’interesse primario
di conservazione e tutela del fragile regime idraulico della
laguna. La Corte d’Appello ritenne, per l’effetto, fondate le
domande restitutoria e risarcitoria proposte dalla parte pubblica
ed infondata quella risarcitoria proposta dalla Società.
La Sair S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza, con
trentuno motivi, illustrati da memoria. Il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, il Ministero delle Infrastrutture e
Trasporti e l’Agenzia del Demanio resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, accolse, nel resto, il

1. Col primo motivo, deducendo la violazione e falsa
applicazione degli artt. 11 e 12 preleggi, 822 e ss cc; 28 Cod.
Nav.; del Regolamento austriaco 20.12.1841, del RDL n. 1853

ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto demaniale
il compendio vallivo in applicazione del regolamento austriaco
del 1841, ed, in un’ottica di sostanziale continuità, dalle norme
di polizia idraulica del 1936 e dalla vigente legge n. 366 del
1963, e,cioè,ha fondato la valutazione della demanialità ex lege
per effetto di disposizioni dell’impero austro-ungarico,
ovviamente abrogate, invece che in applicazione della norma in
vigore al momento della decisione e, dunque, dell’art. 28 del
codice della navigazione.
2. Con il secondo motivo, la Società deduce la violazione
e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 preleggi, 822 e ss cc; 28
Cod. Nav.; del Regolamento austriaco 20.12.1841; degli artt. 1 e
16 della L n. 3706 del 1877; 76 e 80 del RD n. 1090 del 1882;
del RD n. 546 del 1905; del RDL n. 1853 del 1936, della L n.
1471 del 1942 e dell’art. 9 della L n. 366 del 1963. La tesi della
demanialità ex lege dell’intero bacino acqueo ricompreso tra la
foce del Sile e la Conca di Brondolo, e cioè di una molteplicità
di beni disomogenei, sol perché compresi all’interno della
conterminazione della laguna di Venezia, è inaccettabile,
prosegue la ricorrente, essendo la considerazione unitaria della
laguna, da parte del regolamento austriaco e dalle successive

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del 1936, della L n. 1471 del 1942 e della L n. 366 del 1963, la

disposizioni, da riconnettere, invece, all’ambito di applicazione
delle disposizioni di polizia idraulica, che non implicano,
necessariamente, la natura demaniale dei beni ad essa

pubblico, come accertato dalla giurisprudenza (anche risalente) e
dalla dottrina, dovendo, pure per tale verso, concludersi che la
natura demaniale deve essere in concreto accertata in riferimento
ai presupposti di cui all’art.28 Cod. Nav.
3. Col terzo motivo, denunciando la violazione degli artt.
822, 823 cc; 28, 32 e 35 Cod. Nav; 41, 66 e 67 del RDL n. 1853
del 1936; della L n. 1471 del 1942 ; 2, 9 e 24 della L n. 366 del
1963, la ricorrente afferma che la legislazione speciale sulla
Laguna di Venezia, al contrario di quanto affermato dai giudici
d’appello, esclude la demanialità dell’area, tenuto conto che la
disciplina distingue le valli da pesca rispetto agli altri spazi
acquei lagunari e ne conferma la proprietà privata.
4. Col quarto motivo, si deduce la violazione e falsa
applicazione del regolamento austriaco del 1841, dei paragrafi
285, 287, 290, 311, 355, 1455, 1456 e 1472 del codice civile
austriaco dell’epoca, e del RDL n. 1853 del 1936. La ricorrente
lamenta che la tesi secondo cui le valli (pacificamente private
all’epoca della Serenissima) sarebbero divenute demaniali per
volontà del governo austriaco trascura dati storici inconfutabili,
ed in ispecie che, all’epoca, le acque pubbliche, così come i beni
appartenenti al demanio necessario, non erano soggetti al regime

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assoggettati, trattandosi, piuttosto, di beni privati d’interesse

d’indisponibilità da parte dei privati, che caratterizza l’attuale
statuto dei beni demaniali, potendo, anzi, essere alienati ed
usucapiti.

della sentenza laddove, dapprima, sostiene la tesi della
demanialità ex lege

delle valli, per poi affermare che

l’accertamento di siffatta natura consegue al positivo
accertamento di determinate connotazioni fisiche dei beni stessi.
6. Con il sesto motivo si lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 11 e 12 preleggi, 822 e ss cc; 28, 32 e 35
Cod. Nav.; del Regolamento austriaco 20.12.1841. La ricorrente
ribadisce che l’accertamento della demanialità dei beni
controversi non poteva farsi risalire ad una situazione di fatto
remota e, addirittura, ad ordinamenti previgenti, dovendo,
piuttosto valutarsi i beni nella loro consistenza al momento della
decisione, e tenersi conto anche delle modifiche operate
dall’uomo, laddove assentite dalla competente autorità.
7. Con il settimo motivo, la Società denuncia la violazione
dell’art. 2697 cc, dell’istituto dell’immemorabile e dell’art. 28
del Cod. Nav. La Corte d’Appello, afferma la ricorrente, ha
ritenuto che la chiusura “a stagno” delle due valli, sia avvenuta
in via di fatto, in assenza di specifica diversa documentazione
che avrebbe dovuto esser prodotta da essa parte privata. La
permeabilità delle valli alle maree sino alla chiusura a stagno
delle medesime non comportava affatto l’inversione dell’onere

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5. Con il quinto motivo, si deduce la contraddittorietà

della prova in ordine alla sussistenza dei requisiti della
demanialità, che avrebbe dovuto esser fornita ex adverso,
considerato che, da tempo immemorabile, le valli sono state

quali hanno eseguito le opere di arginatura “col consenso e
l’approvazione della competente amministrazione e ritenuto che
di tale realtà secolare si debba tener conto nell’accertare se le
valli appartengano o meno al demanio marittimo”.
8. Con l’ottavo motivo, si deduce la violazione degli artt.
111 Cost.; 115 e 116 cpc, per avere la Corte ritenuto abusive le
opere di arginatura delle Valli in assenza di deduzione in tal
senso della parte pubblica.
9. Col nono motivo, si denuncia la violazione degli artt.
157 del Codice della Marina Mercantile del 1877 e dell’art 35
del Cod. Nav. La ricorrente si duole che la Corte veneziana abbia
affermato che, per la loro natura demaniale marittima (naturale e
necessaria), l’acquisto sia a titolo originario che a titolo
derivativo delle valli deve ritenersi nullo per impossibilità
dell’oggetto, in assenza di un formale atto di sdemanializzazione,
da adottarsi a norma dell’ad 35 del Cod. Nav, e prima a norma
dell’art. 157 del codice della marina mercantile. Quest’ultima
norma, deduce la ricorrente, non imponeva alcun atto formale, e
l’Amministrazione non ebbe mai a manifestare il dissenso
rispetto all’utilizzazione esclusivamente privata delle valli da
pesca, con conseguente usucapione delle stesse.

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utilizzate per l’esercizio dell’acquacoltura da soggetti privati, i

10. Col decimo motivo, si denuncia la violazione dell’art
28 Cod. Nav. “con riguardo alla qualificazione delle valli come
bacini d’acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte

l’azionamento di meccanismi idraulici (chiaviche) approntati dai
privati. La ricorrente evidenzia che la lett. b) dell’art. 28 Cod.
Nav. non si riferisce alle valli da pesca legittimamente chiuse
(sia arginate che semiarginate), prive di libera comunicazione col
mare (semmai con la laguna) ed è concettualmente incompatibile
con l’attività di allevamento del pesce da semina “legittimamente
effettuata da secoli nelle valli in questione”.
11. Con l’undicesimo mezzo, la ricorrente denuncia la
violazione dell’art 28 Cod. Nav. “con riguardo all’accertamento
dell’idoneità delle valli ai pubblici usi del mare”, per avere la
Corte veneziana ritenuto la navigazione praticabile con piccoli
natanti, nonostante la risalente chiusura degli accessi.
L’acquisita CTU aveva, per contro, accertato che, per la
modestia dei fondali, le due valli presentavano caratteristiche
decisamente non favorevoli alla navigazione e dovevano essere
mantenute a quote adeguate, con periodiche operazioni di
dragaggio, per consentirne la percorrenza lungo i canali a mezzo
di barchini a fondo piatto. L’accertamento dell’idoneità
funzionale agli usi pubblici del mare, afferma la ricorrente, deve
essere condotta in modo rigoroso, in quanto opera non sul piano
dell’espropriabilità del bene, ma della sua attribuzione al

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dell’anno comunicano liberamente con il mare”, seppur con

demanio dello Stato senza alcun indennizzo. Non basta, pertanto
che il bacino di acqua salmastra comunichi liberamente col mare,
essendo, anche, necessario che, per le sue caratteristiche

mare. Al riguardo, afferma la ricorrente, non può valere né
l’esercizio della pesca, come erroneamente ritenuto dalla Corte
territoriale, che ha confuso l’acquacoltura -che non è pesca ma
attività di allevamento, e quindi agricola- con la pesca vagantiva,
né la navigabilità a mezzo di piccoli barchini, certamente non
assimilabile alla navigazione marittima, né la salvaguardia
dell’ambiente paesistico storico, archeologico ed artistico della
Città di Venezia, non essendo la tutela del regime idraulico della
laguna assimilabile all’uso pubblico del mare, e non essendo,
comunque, indispensabile la demanialità dei beni in essa
ricompresi.
12. Con i motivi dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo
quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo, la ricorrente
prospetta le censura di cui ai motivi decimo ed undicesimo, sotto
il profilo del vizio di motivazione. In particolare, la ricorrente
evidenzia che la Corte territoriale: a) ha ritenuto navigabili le
valli, pur dando atto della loro inaccessibilità con navi e
qualsivoglia natante; b) ha dissentito, senza adeguata
motivazione, dalle conclusioni del CTU che la escludevano, pure
evidenziando che, nella situazione preesistente al momento della
chiusura delle valli, i varchi che si affacciavano sulla laguna era

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intrinseche, il bene sia idoneo a svolgere le stesse funzioni del

presidiati con barriere formate da un alto graticcio di canne, con
inibizione della navigazione; e) ha ritenuto le valli soggette
all’influenza delle maree, e dunque all’interesse primario per la

dalle conclusioni del CTU e contraddittoriamente affermando
che le valli non sono soggette alle maree con la trasformazione
da “asserragliate” a valli “chiuse a stagno”; d) ha individuato in
modo contraddittorio l’epoca della chiusura -mediante la
sostituzione delle cogolere con le chiaviche- di Valle Cavallino,
individuandola dapprima dopo il 1943 e, poi l nel 1937; e) non ha
considerato che nel “Catasto De Bemardi del 1843” le valli
erano individuate come “arginate” e non come erroneamente
affermato, “aperte o semiarginate” (in relazione alla circostanza
che, all’epoca, i varchi erano chiusi da cogolere, anziché dalle
chiaviche) con argomento contraddittorio, tale qualificazione
derivando dalla presenza o meno di argini lungo tutto il
perimetro della valle, interrotti dai varchi controllati dai
vallicoltori (presenti anche nelle valli arginate), per consentire
l’ingresso dell’acqua salsa.
13. Con il diciottesimo motivo, si lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1 e 16 della L n. 3706 del 1877; 76
e 80 del RD n. 1090 del 1882; del RD n. 546 del 1905; 41 e 46
del RD n. 1853 del 1936; 28 del Cod. Nav. 2 e 24 della L n. 366
del 1963, “con riguardo alla classificazione delle valli Cavallino
e Basegia all’epoca del Catasto De Bemardi e successivamente

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conservazione dell’equilibrio idraulico della laguna, in dissenso

come aperte o semiarginate”, invece che “arginate”, perché
chiuse da cogolere.
14. Con il diciannovesimo motivo si denuncia il vizio di

autorizzazione delle opere di chiusura delle due valli, da parte
del Magistrato delle Acque, risultante dalla CTU, con
conseguente compatibilità delle stesse con la tutela idraulica
della laguna di Venezia.
15. I motivi, a tratti iterativi, che attengono alla medesima
questione della contestata natura demaniale delle due valli,
possono esaminarsi congiuntamente. Gli stessi sono infondati,
come già rilevato, anche di recente, in fattispecie
sostanzialmente analoghe da questa Corte (cfr. Cass. n. 1619 del
2016; n. 13519 del 2015; n. 7564 del 2012; SU nn. 3665 del
2011; n. 3937 del 2011) alle cui puntuali motivazioni, di rigetto
di argomentazioni del tutto simili a quelle, qui, riproposte dalla
SAIR, si rinvia (cfr. art. 360 bis cpc).
16. L’impugnata sentenza ha affermato la natura
demaniale della laguna di Venezia, muovendo dalle disposizioni
del regolamento di polizia adottato dal competente organo
dell’Impero austroungarico nel 1841, in conformità dei §§ 287 e
1455 del cc austriaco, ed a tale riferimento deve attribuirsi un
valore meramente storico ricostruttivo -essendo il regolamento
rimasto in vigore fino all’emanazione della legge n. 191 del
1937- nel senso di aver evidenziato come, già in base alla

lo

motivazione in relazione all’omesso rilievo dell’intervenuta

normativa previgente, la laguna, e le valli da pesca in esse
ricadenti, erano considerate demanio pubblico nel senso attuale
di bene appartenente al demanio marittimo necessario, che l’art.

proprietà non può che essere pubblica, e perciò distinti da quelli
per i quali la demanialità è condizionata dalla loro appartenenza
allo Stato (Cass. SU n. 3811 del 2011 e n. 3665 del 2011). 17. La
notazione rileva, invero, sul piano fattuale, nel senso che dalla
stessa si desume che, anche nel diciannovesimo secolo, le valli
da pesca appartenevano, sotto il profilo geofisico, al sistema
lagunare di carattere unitario, sistema che, nel preambolo del
citato regolamento, veniva appunto descritto come: “seno di
acqua salsa che si estende dalla foce del Sile alla Conca di
Brondolo, che è compreso fra il mare e la terraferma”. La
qualifica della demanialità dell’intero bacino contenuta nell’art.
1 del R.D.L. n. 1853 del 1936, convertito nella L. n. 191 del
1937 e nell’art.1 della L. n. 366 del 1963, non è in sè decisiva, in
quanto l’estensione del demanio marittimo necessario è
determinata da eventi naturali e muta al mutare di essi, sicché, da
una parte, le delimitazioni dell’autorità amministrativa di detto
demanio hanno valore puramente dichiarativo, e, dall’altra, i
beni del demanio marittimo necessario sono tali se ed in quanto
ordinati agli usi del mare e, a seconda che acquistino o perdano
l’attitudine a servire a tali usi, acquistano o perdono il carattere
di bene demaniale (cfr. Cons. Stato n. 3032 del 2013, in

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28 del cod. nav. individua in beni di origine naturale, la cui

fattispecie inerente ai canali e rii interni della città di Venezia,
ritenuti parte del demanio comunale stradale invece che del
demanio marittimo),

vizio di violazione o falsa applicazione di legge in riferimento a
normativa preunitaria, o comunque non più vigore, sono
inammissibili, per la loro irrilevanza ai fini qui in esame, e ciò in
quanto -come pure concorda la Società ricorrente, laddove
deduce la violazione dell’art. 11 delle preleggi- l’accertamento
del contestato carattere demaniale delle valli Cavallino e Basegia
va condotto alla stregua del diritto positivo vigente.
19. La Corte territoriale non è venuta meno al dovere di
compiere tale indagine, avendo, in concreto, accertato la
demanialità dei menzionati beni acquei in riferimento all’art. 28,
lett. b, del cod. nav., secondo cui fanno parte del demanio
marittimo “le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i
bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte
dell’anno comunicano liberamente col mare”, tanto in relazione
alle relative caratteristiche fisiche dell’area -trattandosi di bacini
acquei rimasti pur sempre in collegamento con la laguna aperta e
quindi con il mare, nonostante la realizzazione di più efficienti
sbarramenti-, quanto alla loro attitudine a realizzare gli interessi
che attengono ai pubblici usi del mare, in particolare la pesca e la
navigazione (quest’ultima, ovviamente, solo con modeste
imbarcazioni).

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18. Così convenendo, le doglianze con cui si deduce il

20. I giudici del merito hanno, in particolare, dato atto che
-come risultava dal catasto De Bernardi redatto negli anni
1843/1844- entrambe le valli erano soggette all’influenza delle

(cogolere) permeabili al flusso delle maree stesse; hanno
aggiunto che la chiusura fu attuata successivamente con la
sostituzione delle cogolere con opere completamente
controllabili (le chiaviche), che trasformò le valli da
“asserragliate” a valli “chiuse a stagno”; trasformazione ritenuta
inidonea a elidere la “natura demaniale acquisita da tempo
immemorabile con l’espandersi della acque lagunari e che non
può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da
soggetti privati, sia pure nell’inerzia o con la tolleranza degli
organi pubblici”. 21. Risulta, inoltre, accertata la ricorrenza del
requisito della destinazione delle aree oggetto di causa agli usi
pubblici del mare. E’ stata, infatti, posta in rilievo l’idoneità allo
svolgimento dell’attività di pesca, essendo irrilevante, dal punto
di vista funzionale, la circostanza che, per scelte di natura
imprenditoriale, si sia optato per la piscicoltura, attività
comunque attuata mediante prelievo e scarico di acque della
laguna, in base alle esigenze produttive. E’ stata, altresì,
accertata la possibilità di navigazione, quanto meno lungo i
canali esistenti, sia pur con piccoli natanti.
22. Tale accertamento di fatto, riservato al giudice del
merito, resiste alle critiche che gli vengono rivolte, avendo la

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maree, essendo i varchi di laguna controllati da strutture

Corte territoriale reso ampia e adeguata motivazione sui punti,
individuati al § 19, rilevanti ai fini dell’accertamento della
demanialità, dovendo, da una parte, condividersi la

può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da
soggetti privati, e dall’altra, rilevarsi che la circostanza,
sottolineata dalla ricorrente, secondo cui le valli figuravano nel
piano organico presentato e nei provvedimenti di arginatura
approvati dal Magistrato alle Acque, non è decisiva. Infatti, a
differenza di quanto previsto dall’art. 829 cc che attribuisce
natura dichiarativa al passaggio di un bene dal demanio al
patrimonio, per i beni appartenenti al demanio marittimo, non è
possibile che si realizzi la sdemanializzazione in forma tacita,
essendo necessaria, ai sensi dell’art. 35 cod. nav. l’adozione di un
espresso e formale provvedimento della competente autorità
amministrativa, avente carattere costitutivo; talchè nella specie,
non può giovare l’invocato disuso da tempo immemorabile o
l’inerzia dell’ente proprietario (cfr. Cass. n. 10817 del 2009
(Cass. n. 17387 del 2004; n. 3117 del 1995). Sotto altro profilo,
il Collegio deve, poi, ribadire il principio, già più volte affermato
in giurisprudenza (Cass. n. 316 del 1975; n. 1863 del 1984; n.
2745 del 1989; n. 1300 del 1999; n. 9118 del 2012; n. 1619 del
2016), secondo cui l’indispensabile elemento fisico morfologico
della comunicazione con il mare -irrilevante essendo che questa
sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il

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considerazione secondo cui la natura demaniale di un bene non

progressivo interramento delle acque- non costituisce di per sè
solo il fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma deve
essere accertato e valutato in senso finalistico-funzionale, in

salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare,
rivelando non una destinazione attuale all’uso pubblico, ma la
complessiva idoneità, effettiva e non meramente potenziale, del
bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ai
pubblici usi del mare.
23. Se, dunque, è l’attitudine a servire ai c.d. “usi del mare”
a costituire il criterio delimitativo dell’estensione dei beni
demaniali marittimi e tale funzione costituisce la ratio e il limite
per l’affermazione del loro carattere demaniale, tale carattere è
rimasto in conclusione accertato, in riferimento all’attività di
pesca (sub specie di piscicoltura), propria del mare, ivi esercitata
e la percorribilità delle acque con piccoli natanti. Dall’inclusione
delle valli nell’ambito del demanio marittimo contemplato
dall’art. 822, co 1, cc, tra i beni del demanio necessario
(unitamente al demanio idrico e militare, in ragione delle loro
intrinseche qualità) consegue che il regime giuridico di detti beni
è disciplinato dall’art. 823 c.c., secondo cui essi sono
“inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di
terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li
riguardano”, il che vuol dire che essi non possono costituire
oggetto di negozi giuridici di diritto privato, né possono essere

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quanto, cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua

usucapiti, in quanto sono del tutto non commerciabili.
24. Rimane da aggiungere che con la sentenza n. 3665 del
2011 resa in riferimento alle valli da pesca della laguna di

Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che
dall’applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il
principio della tutela della personalità umana e del suo corretto
svolgimento, nell’ambito dello Stato sociale, anche in relazione
al “paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai beni facenti
parte del demanio o del patrimonio dello Stato, “ma anche
riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva
individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura
o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta
interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al
perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della
collettività e che – per tale loro destinazione alla realizzazione
dello Stato sociale – devono ritenersi “comuni”, prescindendo dal
titolo di proprietà, risultando così recessivo l’aspetto demaniale a
fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi
della collettività”.
25. Con il ventesimo motivo si deduce la nullità della
sentenza per indeterminatezza dell’oggetto nella parte in cui
accerta “la natura demaniale necessaria degli spazi acquei
presenti nelle valli Cavallino e Basegia in Comune di Jesolo
descritti nella relazione del CTU ing. Luigi D’Alpaos”. La

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Venezia, (successivamente, in termini Cass. n. 1619 del 2016), le

sentenza, prosegue la ricorrente, ha escluso la demanialità delle
terre emerse e di quanto in esse edificato senza individuare quali
porzioni degli indicati mappali siano occupate da acque e quali

26. Con il ventunesimo motivo, si deduce il vizio di
motivazione per non avere la sentenza determinato con
precisione le superfici occupate da acque, per di più richiamando
una CTU la quale dà atto che la domanda riconvenzionale delle
Amministrazioni non si è riferita alla situazione attuale, ma a
quella del 1932.
27. I motivi sono infondati: la sentenza indica esattamente,
per relationem -in riferimento ai mappali sommersi, descritti
nell’acquisita relazione di consulenza- l’oggetto del demanio
rivendicato e da restituire, non potendo non rilevarsi che la
nullità per indeterminatezza dell’oggetto costituisce un vizio che
comporta nullità della domanda (artt. 163 e 164 cpc) e non figura
tra i requisiti della sentenza, indicati nell’art. 132 cpc; senza dire
che, ove per oggetto volesse intendersi una statuizione idonea a
passare in giudicato, la bontà delle censure (e la sussistenza di
uno specifico

decisum)

sarebbe smentita dalla stessa

proposizione dei numerosi motivi di ricorso.
28. Con il ventiduesimo motivo, la ricorrente denuncia la
nullità della sentenza per nullità della domanda di condanna
generica al risarcimento per occupazione senza titolo di beni
demaniali, in violazione degli artt. 163, 164 e 278 cpc. La

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da terre emerse.

controparte, lamenta la Società, non ha mai indicato “neppure in
via astratta, quali utilizzazioni produttive di reddito, e quindi di
danno per mancato guadagno siano state precluse dall’asserita

29. Con il ventitreesimo motivo, si denuncia la violazione
degli artt. 2043 e 278 cpc, non avendo la sentenza impugnata
indicato, neppure astrattamente, quali utilizzazioni del bene
sarebbero state precluse dall’asserita occupazione abusiva degli
spazi acquei, né le ragioni per cui l’utilizzazione sarebbe
potenzialmente produttiva di danno, non potendo la genericità
della domanda ritenersi sanata invocando l’assunto per cui si
tratterebbe di danno in re ipsa.
30. Col ventiquattresimo mezzo si formula la medesima
censura sotto il profilo dell’omessa motivazione.
31. Con il venticinquesimo motivo si denuncia la
contraddittorietà della sentenza tra “motivazione e dispositivo di
accoglimento della domanda di condanna generica al pagamento
di risarcimento del danno per occupazione senza titolo di beni
demaniali”. Avendo accertato un fatto solo potenzialmente
dannoso, la Corte avrebbe dovuto rimettere al successivo
giudizio non solo la liquidazione del danno, ma lo stesso
accertamento dell’esistenza di un danno effettivo.
32. Con il ventiseiesimo motivo, la ricorrente deduce,
nuovamente, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e
278 cpc, in quanto la statuizione di condanna generica

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occupazione abusiva degli spazi acquei”.

presuppone l’accertamento di tutti i presupposti di cui all’art
2043 cc, compreso l’elemento soggettivo della colpa ed il nesso
causale tra condotta e danno, mentre l’assenza dell’elemento

4398/97), e può desumersi dal consolidato orientamento
giurisprudenziale che esclude l’identificazione della lagunarietà
con la demanialità, dall’atteggiamento di disinteresse
dell’Amministrazione rispetto all’attività dei vallicoltori.
33. I motivi, che, attenendo alla medesima questione,
vanno congiuntamente esaminati, sono infondati. Secondo la
condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15335 del
2012), la pronuncia di condanna generica al risarcimento
presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente
produttivo del danno, rimanendo l’accertamento della concreta
esistenza dello stesso (in riferimento a tutti i suoi presupposti,
compresa la ricorrenza dell’elemento psicologico e del nesso di
causalità) riservato alla successiva fase, con la conseguenza che
al giudice della liquidazione è consentito di negare la sussistenza
del danno senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato
formatosi sull’an. Nella specie, la Corte veneziana ha
individuato, con motivazione del tutto congrua, il fatto
potenzialmente produttivo di danni nella totale sottrazione degli
spazi acquei di natura demaniale, che la stessa SAIR riconosce
ex se sufficiente ad arrecare pregiudizio ,laddove per converso lo

addebita alle amministrazioni convenute sul presupposto di

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soggettivo è stata accertata con giudicato penale (sentenza n.

essere proprietaria delle valli da pesca, ovvero di averne
comunque acquistato il legittimo possesso nel tempo, e per tale
profilo chiedendone la condanna al risarcimento del danno (su

34. Il ventisettesimo motivo, con cui si denuncia il vizio di
motivazione in riferimento alla sussistenza dei requisiti della
colpa e del danno “non essendo adeguatamente indicate le
ragioni per cui viene ritenuta l’idoneità degli spazi acquei ai
pubblici usi marittimi”, va rigettato alla stregua degli argomenti
svolti ai § 20 e segg.
35.

Col ventottesimo motivo, si denuncia la

contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo e
controverso relativo “al travisamento del contenuto della
domanda di risarcimento dei danni proposta” da essa ricorrente
in prime cure e reiterata con l’appello incidentale. La Corte
territoriale, afferma la ricorrente, ha errato nel ritenere che tale
domanda risarcitoria si fondi sulla demanialità del compendio,
presupponendo, proprio al contrario, che erroneamente
l’amministrazione l’abbia affermata.
36. Con il ventinovesimo motivo, la ricorrente ripropone
la precedente censura sotto il profilo della nullità della sentenza
per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, ribadendo che la proposta domanda di danni
suppone “la proprietà privata dei beni”.
37. Col trentesimo motivo, si denuncia la violazione e

20

cui infra).

falsa applicazione dell’art 2043 cc, per avere la Corte rigettato la
sua domanda risarcitoria, escludendo profili d’illecito nella
formulazione, da parte delle Amministrazioni, di un’indebita

carenza di previa delimitazione dell’asserito demanio ex art 32
del Cod. Nav.
38. Anche tali motivi vanno rigettati. I giudici del merito
non hanno affatto equivocato le ragioni della domanda
risarcitoria proposta dalla Società, laddove, evidenziando
l’insussistenza

di

illecito

alcun

nell’attività

delle

Amministrazioni volta a far valere il diritto dello Stato sui beni
in questione, che si è accertato aver natura demaniale, hanno
rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla parte privata
proprio sotto il profilo dedotto e cioè quello fondato sul
presupposto della natura privata delle due valli, e derivante come, appunto, sostiene la ricorrente- “dall’illecita affermazione
della demanialità”.
39. L’accertamento della natura demaniale delle valli ed il
rigetto della domanda risarcitoria fondato sull’insussistenza della
natura privata delle stesse non si pone in contrasto con la
decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, resa il 23
settembre 2014 nella controversia Valle Pirimpiè Società
Agricola S.p.a. c. Italia, del tutto analoga alla presente.
40. Ed, infatti, la Corte EDU non smentisce affatto,
diversamente da quanto sostenuto dalla SAIR, la demanialità

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pretesa della demanialità marittima di porzioni delle valli, in

della valle da pesca. Al contrario, espressamente afferma (§ 65)
che: “Nel caso di specie, dopo aver studiato, alla luce delle
relazioni peritali, le caratteristiche morfologiche e funzionali

quest’ultima era un bacino d’acqua che comunicava con il mare
ed era idoneo agli usi pubblici di quest’ultimo, e che faceva
dunque parte del DPM in virtù dell’articolo 28 del CN (paragrafi
9, 10, 14, 15 e 21 supra). La dichiarazione di demanialità del
«bene» della ricorrente aveva dunque una base legale sufficiente
nel diritto italiano”, aggiungendo (§ 45) di non poter sostituire in
assenza di una manifesta arbitrarietà, la propria valutazione a
quella dei tribunali interni. Semplicemente, la Corte di
Strasburgo ne prescinde: muovendo dal presupposto (§ 37) che
“la nozione di «beni» evocata nella prima parte dell’articolo 1 del
Protocollo n. 1 ha una portata autonoma che non si limita alla
proprietà di beni materiali ed è indipendente dalle qualificazioni
formali del diritto interno”, ritiene (§ 46) che la questione della
demanialità della valle da pesca “non sia determinante ai fini
dell’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. l”, per esser
“possibile avere un «bene» nel senso di questa stessa
disposizione in caso di revoca di un titolo di proprietà, a
condizione che la situazione di fatto e di diritto precedente a
questa revoca abbia conferito al ricorrente un’aspettativa
legittima, collegata a interessi patrimoniali, sufficientemente
importante per costituire un interesse sostanziale tutelato dalla

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della Valle Pierimpiè, i giudici interni hanno concluso che

Convenzione”. Quindi, dopo aver evidenziato che l’ingerenza
effettuata dall’amministrazione pubblica “soddisfaceva la
condizione di legalità e non era arbitraria”, la Corte ha osservato,

(indicati al § 46), la sussistenza della titolarità in capo alla parte
ricorrente di un interesse del tipo enunciato, ha, quindi, stabilito
esservi stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla
Convenzione, evidenziando esser dovuto un risarcimento per la
misura di ingerenza (privazione del bene -nell’accezione
anzidetta- in assenza di alcun indennizzo), onde mantenere un
«giusto equilibrio» tra le esigenze dell’interesse generale della
comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti
fondamentali dell’individuo.
41. La misura risarcitoria per il conseguimento di detto
giusto equilibrio -la cui richiesta nella fattispecie dovrebbe
ricavarsi implicitamente dal dedotto diritto di proprietà privata
sui beni in contestazione da parte della SAIR, comportante “il
diritto alla gestione economica delle valli da pesca”: § 53 della
sentenza- non può, tuttavia, esser oggetto di dibattito in questa
sede. A parte che non pare di immediata evidenza se, come
riferisce la ricorrente, si tratti di una “sentenza pilota” in senso
stretto, né se l’interpretazione delle disposizioni della CEDU
abbia maturato a Strasburgo un adeguato consolidamento -tanto
più che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non
ha ricevuto l’avallo della Grande Camera- (cfr. Corte Cost. n. 49

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in relazione a parecchi elementi non contestati dal Governo

del 2015), il riconoscimento di detta misura presuppone, in base
alla menzionata sentenza, anzitutto, lo svolgimento, in
contraddittorio con le Amministrazioni controricorrenti (art.111

l’accertamento della titolarità in capo alla parte ricorrente “di
un’aspettativa legittima collegata ad interessi patrimoniali”
tutelata dalla Convenzione, indagini che il § 46 e segg. della
sentenza indicano: a) nell’esistenza di un titolo formale di
proprietà, ricevuto da un notaio e registrato nei registri
immobiliari; b) nella prassi esistente da lunga data, in quanto
risalente al XV secolo, che consiste nel riconoscere ai privati dei
titoli di proprietà sulle valli da pesca e nel tollerare da parte loro
un possesso e un utilizzo continui di questi beni; c) nel
pagamento delle imposte fondiarie; d) nell’attività di impresa
svolta nel sito dalla ricorrente; e che involgono, inoltre, ragioni
di diritto (fondate non sulla responsabilità da fatto illecito in
ragione della natura privata del bene, ma sulla legittima
ingerenza dell’Amministrazione, nonché sul presupposto che per
effetto della stessa la SAIR “abbia dovuto sopportare un onere
sproporzionato ed eccessivo”) che non sono state trattate nei
pregressi gradi di giudizio (tanto le ragioni di fatto, quanto i
profili in diritto sono stati peraltro illustrati inammissibilmente,
per la prima volta nel giudizio di legittimità in sede di memoria
ex art. 378 cpc, perciò senza possibilità di contraddittorio per le
amministrazioni convenute). Resta, invece, fermo ed

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Cost. e 6 Convenzione EDU), di indagini di fatto inerenti

impregiudicato il diritto della ricorrente di chiedere nelle
competenti sedi il riconoscimento di una prestazione economica
per il conseguimento di detto giusto equilibrio, e di

fine di averne riconosciuta la spettanza: e ciò sia con un giudizio
autonomo, sia in quello eventuale, conseguente alle statuizioni
adottate in questo, con cui le Amministrazioni chiedano la
concreta liquidazione dei danni sofferti per avere avuto sottratta
la disponibilità delle valli da pesca in oggetto. 42. A tale stregua,
il dubbio di costituzionalità dell’art. 28 Cod. Nav. e della L n.
366 del 1963, in riferimento agli artt. 3, 42, 43 e 117 Cost.
sollevato dalla ricorrente in relazione all’art. 1 Prot. 1 della
Convenzione EDU, quale interpretato dalla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, risulta privo di rilevanza nel presente
giudizio, essenzialmente incentrato sulla questione della
demanialità del compendio vallivo, demanialità che, come si è
detto, non è stata smentita dalla Corte di Strasburgo e che non
pregiudica la questione di cui si è invece occupata la sentenza
della CEDU, relativa alla spettanza di un
indennizzo/risarcimento per la misura di ingerenza adottata
dall’Amministrazione: costituendone anzi l’indispensabile
presupposto, individuato dalla stessa Corte europea proprio
nell’accertamento da parte del giudice nazionale che “la
dichiarazione di demanialità del «bene» della ricorrente aveva
dunque una base legale sufficiente nel diritto italiano” (§ 65 cit.)

25

documentarne tutti i presupposti richiesti dalla Corte Europea al

e conseguentemente che “l’ingerenza in questione soddisfaceva
la condizione di legalità e non era arbitraria” (§ 74). Resta da
aggiungere che, essendo la statuizione sulla natura demaniale

giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, sopra più
volte menzionata, la richiesta -inoltrata al Primo Presidente della
Corte con istanza dell’11.3.2016, e reiterata in sede di memoria e
di discussione- di rimessione a detto consesso risulta infondata.
43. Il trentunesimo motivo, con cui la ricorrente denuncia
la nullità della sentenza, ex art. 112 cpc, per omessa pronuncia
sul primo motivo del proposto appello incidentale avverso la
statuita carenza di legittimazione passiva del Ministero dei
Trasporti e della Navigazione (oggi Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti), evidenziando la sussistenza del suo interesse
acchè l’accertamento della privata proprietà sia reso nei
confronti della predetta Amministrazione, alla quale appartiene il
Magistrato alle Acque di Venezia, va, in conseguenza, rigettato.
44. La complessità delle questioni trattate giustifica
l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, 1’8 aprile 2016.

delle valli da pesca coerente con i principi posti dalla

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