Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10334 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10334 Anno 2015
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: BOTTA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Comune di Verbania, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in Roma via G. B. Morgagni 2/A, presso l’avv. Umberto Segarelli, rappresentato e difeso dall’avv. Donato Antonucci, giusta delega
in calce al ricorso;
– ricorrente —

1/45-

Contro

Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, piazza delle Cinque Giornate 2, presso gli avv.ti Paolo e Massimo
Merlini che la rappresentano e difendono, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
controricorrente e ricorrente incidentale

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (Torino), Sez. 38, n. 75/38/10 del 29 giugno 2010, depositata 111 novembre 2010, non notificata;
Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 18 febbraio 2015 dal
Relatore Cons. Raffaele Botta;
Udito l’avv. Donato Antonucci per il Comune ricorrente e l’avv. Massimo
Merlini per l’Istituto Religioso controricorrente e ricorrente incidentale;
Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Immacolata Zeno, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
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Oggetto:
ICI. Accertamento.
Esenzione ex art. 7,
comma 14, lett. i),
D.Lgs. n. 504 del
1992.

Data pubblicazione: 20/05/2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento ai
fini ICI per l’anno 2003 relativamente a due immobili di proprietà della
Congregazione, la quale, oltre a contestare l’atto impositivo per difetto di
motivazione, reclamava il proprio diritto all’esenzione prevista dall’art.
7, comma 1, lettera i), D.Lgs. n. 504 del 1992, affermando la sussistenza
nella specie tanto del requisito soggettivo, per la propria qualità di ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto, sia del requisito oggettivo, in quan-

servizio della Comunità religiosa come “casa del custode” e l’altro era utilizzato come “casa per ferie” quale servizio ricettivo a carattere extraalberghiero per il perseguimento di finalità sociali a carattere non commerciale.
L’ente locale nel costituirsi in giudizio contestava che l’attività di custodia potesse direttamente realizzare la destinazione del bene a finalità di
religione e di culto e faceva rilevare, con riferimento all’altro immobile
oggetto di accertamento, che l’attività di accoglienza era svolto dietro
pagamento di una retta giornaliera non irrilevante e prescindendo dallo
stato di bisogno del richiedente, sicché si trattava di una attività connotata in concreto come “attività commerciale” (almeno “non esclusivamente”).
La Commissione adita rigettava il ricorso dell’ente religioso riconoscendo
il carattere oggettivamente commerciale dell’attività esercitata dal contribuente, senza nulla statuire sull’immobile destinato a “casa del custode”. L’appello proposto dall’ente religioso, mentre nulla deduceva in ordine all’immobile utilizzato come “casa del custode”, affermava, invece,
rispetto all’immobile utilizzato come “casa per ferie”, che un ente religioso per presunzione iuris et de iure può perseguire accanto ad un’attività di
religione e di culto anche altre attività, enumerate nella norma agevolativa, ma sempre ugualmente perseguendo il medesimo fino, in quanto le
predette attività “altro non sono che lo strumento per il raggiungimento
di un obiettivo apostolico, volto a realizzare e manifestare in concreto il
carisma dello stesso Fondatore dell’opera religiosa”.
La Commissione Tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe, si pronunciava tanto sulla questione non riproposta e concernente la c.d. “casa
del custode”, tanto sulla situazione relativa alla “casa per ferie”, accogliendo l’impugnazione. Relativamente a quest’ultima questione il giudi-

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to per uno degli immobili era utilizzato in modo diretto strumentale a

ce d’appello affermava che “l’ente religioso, sorretto da suore, difficilmente non conferisce alla propria attività una matrice marcatamente religiosa e che tale attività per la “parte commerciale” era strettamente e
intimamente collegata a motivazioni di ordine religioso. Quanto alla prima questione il giudice d’appello riteneva la esclusiva funzionalità
dell’immobile “alla gestione del convento in cui risiede la comunità religiosa” con la conseguente applicabilità della norma agevolativa.
Avverso tale sentenza l’ente locale ha proposto ricorso per cassazione con

stesso atto ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVAZIONE

Con il primo motivo del ricorso principale e con riferimento all’immobile
utilizzato come “casa per ferie”, l’ente locale denuncia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’affermato riconoscimento all’ente religioso dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i),
D.Lgs. n. 504 del 1992, contestando l’applicabilità di formulazioni (di carattere innovativo) della norma agevolativa non riferibili al tempo dell’accertamento e la mancata ricorrenza nella fattispecie della natura
commerciale dell’attività svolta dal contribuente.
Il motivo è fondato. Questa Corte ha stabilito con chiarezza che: «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione prevista
dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 è limitata all’ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo
svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell’art.
16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non si applica
ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività
sanitaria (come è nel caso di specie), non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico — fondato, oltre che sull’art. 16, lett. a), della legge n. 222
del 1985, anche sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 in tema di revisione del
concordato —, né la successiva evoluzione normativa, in quanto a) l’art. 7,
comma 2-bis, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (aggiunto dalla legge di
conversione 2 dicembre 2005, n. 248, poi modificato dal comma 133
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due motivi. Resiste l’ente religioso con controricorso, proponendo con lo

.••■.M.M.

dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 ed infine sostituito
dall’art. 39, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto
2006, n. 248) nell’estendere l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett.
i), cit. alle attività ivi indicate “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse” (versione originaria) e poi a quelle “che non
abbiano esclusivamente natura commerciale” (versione vigente), ha carattere innovativo e non interpretativo; b) l’art. 111-bis del d. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, (aggiunto dall’art. 6 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n.

merciale per gli enti che esercitino prevalentemente attività commerciale
per un intero periodo d’imposta ad esclusione (comma 4) di quelli ecclesiastici, riflette i suoi effetti unicamente sulla qualità del soggetto utilizzatore dell’immobile, ma non sul requisito oggettivo dell’attività nello
stesso esercitata» (v. anche Cass. n. 14530 del 2010).
Questa Corte ha altresì affermato che: «l’esenzione prevista dall’art. 7,
comma primo, lett. i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata
alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività
equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia
come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali
(art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il
citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato,
pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di
un’attività commerciale» (Cass. n. 4502 del 2012). La prova della sussistenza del requisito oggettivo spetta al soggetto che pretende l’applicazione dell’esenzione, secondo quanto ha già riconosciuto questa Corte:
«La sussistenza del requisito oggettivo — che in base ai principi generali è
onere del contribuente dimostrare — non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui
l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur
rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di
un’attività commerciale» (Cass. n. 5485 del 2008; sull’onere della prova
gravante sul contribuente v. anche Cass. n. 27165 del 2011).
In questa prospettiva la Corte ha escluso che il beneficio dell’esenzione
dall’imposta spetti «in relazione agli immobili, appartenenti ad un ente
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460), nel prevedere (comma 1) la perdita della qualifica di ente non com-

ecclesiastico — come pure agli enti di istruzione e beneficenza, ai quali
quelli ecclesiastici aventi fine di religione o di culto sono, ai fini tributari,
equiparati ex art. 7 della legge 25 marzo 1985, n.121 —, che siano destinati
allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali (nella fattispecie, gestione di pensionati con pagamento di rette)» (Cass. n. 4645 del
2004).
Sulla base di tali considerazioni emerge l’infondatezza del motivo di ricorso incidentale, con il quale l’ente religioso, pur affermando l’applicabilità

va nel caso di specie, ne trae conclusioni non coerenti con l’orientamento
giurisprudenziale di questa Corte.
Con il secondo motivo del ricorso principale e con riferimento alla c.d.
“casa del custode”, l’ente locale deduce, sotto il profilo della violazione di
legge e del vizio di motivazione, che la sentenza di primo grado non si era
espressamente pronunciata in ordine alla spettanza dell’esenzione a tale
immobile e l’atto d’appello dell’ente religioso non aveva sul punto dedotto alcun mezzo d’impugnazione: sicché la sentenza impugnata sarebbe sul
punto viziata di ultrapetizione. In ogni caso, denuncia il ricorrente, anche
in questo caso dovrebbe parlarsi di difetto del requisito oggettivo per il
diritto all’esenzione: il giudice di merito avrebbe omesso la necessaria verifica della permanenza della destinazione ed avrebbe fatto una inammissibile applicazione analogica della norma agevolativa.
Il motivo è fondato. Invero dalla narrativa della sentenza impugnata emerge che oggetto specifico dell’appello fosse esclusivamente la situazione
dell’immobile destinato a “casa per ferie”, risultando solo dalla parte motiva un’attenzione del giudice anche sulla situazione dell’immobile destinato a “casa del custode”. Ma quand’anche si volesse prescindere da tali
considerazioni appare di tutta evidenza che il giudice di merito abbia operato nella prospettiva di un’inammissibile applicazione analogica della
norma agevolativa, peraltro affermando in modo apodittico, senza dar
conto delle ragioni del proprio convincimento, che la “casa del custode”
era «esclusivamente funzionale alla gestione del convento». Un’affermazione, quest’ultima, che è per di più contraddetta dallo stesso ente religioso che dichiara nel proprio controricorso e ricorso incidentale che la “casa
del custode” era un «servizio direttamente funzionale all’esercizio dell’attività ricettiva extralberghiera»: è corretto, quindi, affermare, alla luce di
tale rilievo che la “casa del custode” non potesse non seguire lo stesso re5

ratione temporis della sola formulazione originaria della norma agevolati-


gime dell’attività commerciale alla quale la stessa era dichiarata “direttamente funzionale”.
Quanto alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa formulata espressamente nella memoria depositata dalla parte
controricorrente, osservato che non appare rispettato in proposito il principio di autosufficienza, occorre richiamare il principio affermato da questa Corte: per il giudice tributario il potere di disapplicazione delle sanzioni «sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in

ficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di
confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente» (Cass. n.
18031 del 2013). Situazione che non ricorre nel caso di specie, stante la
chiara inesistenza nella norma in questione di una pluralità di prescrizioni
di difficile coordinamento e restando irrilevanti le successive modifiche,
tutte di carattere innovativo e non interpretativo.
Pertanto deve essere accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale in quanto la sentenza impugnata si presenta in contrasto con il
chiaro orientamento espresso da questa Corte di legittimità e incongruamente motivata in ordine alla prova che l’attività fosse svolta in concreto
con caratteri di “non commercialità”. La sentenza impugnata deve essere
cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte che provvederà anche in ordine alle spese
della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consigli el 18 fe e braio 2015.

una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente dif-

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