Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10334 del 13/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 10334 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 18311-2008 proposto da:
CORTE PAUSE EDDA CRTDDE56M57A501S, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.LE LIEGI 1, presso lo studio
dell’avvocato MELIADO’ GIOVANNI, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati PANIZ MAURIZIO,
STIVANELLO GUSSONI FRANCO giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente contro

FONDIARIA SAI SPA (gia’ SAI SOCIETA’ ASSICURATRICE
INDUSTRIALE SPA) giusta fusione per incorporazione

Data pubblicazione: 13/05/2014

della FONDIARIA ASSICURAZIONI SPA nella SAI SPA, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA
CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato
PERILLI MARIA ANTONIETTA, che la rappresenta e

– controricorrente nonchè contro

BALLARIN LUCIANA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 623/2008 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 22/05/2007 R.G.N. 1209/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/03/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato GIOVANNI MELIAD0′;
udito l’Avvocato MARIA ANTONIETTA PERILLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto del
ricorso.

2

difende giusta procura in calce al controricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Nel 1993, Luciana Ballarin convenne in giudizio Edda Corte Pausa,
titolare di un maneggio, chiedendo di essere risarcita, ex art. 2052 cod.
civ., dai danni personali patiti cadendo da cavallo. Assunse che, in
prossimità di una stalla tornando da una escursione, era stata
disarcionata dal proprio cavallo, imbizzarritosi a causa della presenza di
altro cavallo uscito dal maneggio.

di oltre 80 milioni di lire) e condannò l’Assicurazione, chiamata in giudizio
in manleva, a tenerla indenne, ritenendo che non vi fosse esclusione della
garanzia assicurativa invocata.
La Corte di appello di Venezia, decidendo l’impugnazione principale
dell’Assicurazione e quella incidentale della titolare del maneggio, ritenne,
in parziale riforma della sentenza di primo grado, non operativa la polizza
assicurativa e rigettò la domanda di manleva (sentenza del 22 maggio
2007).
2. Avverso la suddetta sentenza, Edda Corte Pausa propone ricorso per
cassazione con tre motivi.
L’assicurazione resiste con controricorso, mettendo in risalto la non
adeguatezza dei quesiti.
La Ballarin non si difende.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, si deduce violazione degli artt. 345 cod. proc. civ.
e 2697 cod. civ., oltre a insufficiente e contraddittoria motivazione.
la

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:<<...se produzione documentale svolta dall'appellante in secondo grado, relativamente al doc.3 (Compendio denominato "responsabilità Civile SAI - Divisione persone") sia, come eccepito dall'appellata, tardiva ed inammissibile, ai sensi del disposto dell'art. 345 c.p.c.». Manca del tutto il c.d. quesito di fatto in riferimento al dedotto vizio motivazionale. 2. Con il secondo motivo, si deduce violazione degli artt. 1882, 1888, 1917 e 2052 cod. civ., oltre a insufficiente e contraddittoria motivazione. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:«..se nel contratto di assicurazione di cui alla polizza n SAI Spa sia compreso il 3 Il Tribunale accolse la domanda, condannando la convenuta (alla somma rischio derivante da responsabilità civile terzi conseguente all'attività di esercizio di maneggio, ex art. 2052 c.c.». Manca del tutto il c.d. quesito di fatto in riferimento al dedotto vizio motivazionale. 3. Entrambi i motivi sono inammissibili per la violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis. Quanto ai profili motivazionali, non contengono il cd. quesito di fatto. denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto - nel confezionamento del relativo motivo - a formulare in riferimento alla anzidetta censura, un c.d. quesito di fatto, e cioè indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente e autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tale fine, secondo la Corte, è necessaria la enucleazione conclusiva e riassuntiva dì uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura della illustrazione del motivo - all'esito di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente - consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure, atteso che la Corte, in ragione del carattere vincolato della critica che può essere rivolta alla sentenza impugnata, deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale sia l'errore commesso dal giudice del merito. 4. Quanto ai quesiti di diritto formulati a conclusione di entrambi i motivi di ricorso, gli stessi non sono adeguati. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il quesito di diritto deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Esso deve comprendere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della 4 Invece, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il ricorrente che sentenza impugnata) b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che ad avviso del ricorrente - si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Il quesito, quindi, non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della norma. 4.1. Nella specie, il quesito formulato per il primo motivo, manca del tutto di specificità in riferimento a quanto rileva nel processo in esame. Da un lato non emerge per nulla che la norma processuale la cui violazione si deduce (art. 345 cod. proc. civ.) è applicabile nella formulazione vigente prima della novella operata con la legge n. 353 del 1990, a decorrere dal 30 aprile 1995, essendo stato il giudizio introdotto nel 1993; nella formulazione, quindi, che ammetteva pacificamente la produzione di documenti in appello. Dall'atro, non emerge dal quesito: che il documento, pur nell'elenco dei documenti prodotti in primo grado, non era stato prodotto; che la decisione di primo grado ne aveva ritenuto l'assenza, mentre il giudice di secondo grado aveva semplicemente preso in esame il documento - pacificamente prodotto in appello - senza motivare sulla sua ammissibilità, ma nella vigenza di una norma processuale che ne consentiva la produzione. 4.2. Pure il quesito con il quale si conclude il secondo motivo manca della necessaria specificità. Esso si sostanzia in un interrogativo astratto alla Corte in ordine a quanto convenuto nel contratto. Del tutto assente è l'interpretazione che della clausola in discussione ha fatto il giudice di merito nella sentenza impugnata e quale, invece, avrebbe dovuto essere secondo la ricorrente. 5. Il c.d. terzo motivo non è in realtà tale perché non riferito alla sentenza impugnata, indipendente dalla mancanza del quesito di diritto. Con esso la ricorrente si limita a prefigurare le conseguenze sulle spese in caso di accoglimento dei motivi di ricorso per cassazione. Consegue l'inammissibilità. 5 dal ricorrente; né si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o 6. Dall'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso discende l'inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, a favore dell'Assicurazione, che si è difesa con controricorso. Non avendo Luciana Ballarin, svolto attività difensiva, non sussistono le P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di Fondiaria SAI Spa, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agii accessori di legge. Così deciso in Roma, il 10 marzo 2014 Il consigliere estensore eaa,~ 2 condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA