Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10330 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10330 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA
sul ricorso 23830-2008 proposto da:
CIRASUOLO TERESA CRSTRS29L591630U,

elettivamente

domiciliata in ROMA, LARGO F. ANZANI 19 ANDR B SC B
INT 13, presso lo studio dell’avvocato LUIGI TECCE,
rappresentata e difesa dall’avvocato TECCE GIACINTO
giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio
2014
611

NICOLA VIRGILIO ANGELO PIROLI in SERINO 9/9/2008 REP.
n. 35.780;
– ricorrente contro

D’ANGERIO RAFFAELE DNGDRA41E17B9630;

1

Data pubblicazione: 13/05/2014

- intimati –

Nonché da:
D’ANGERIO RAFFAELE DNGDRA41E17B9630, in nome proprio
e per contro dei suoi fratelli DARIO D’ANGERIO,
SILVIO D’ANGERIO e CLAUDIO D’ANGERIO, elettivamente

studio dell’avvocato DE SANTIS ROBERTO, rappresentato
e difeso dall’avvocato COCCHI GIAN PIETRO giusta
procura a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
– ricorrente incidentale contro

CIRASUOLO TERESA CRSTRS29L59I630U;
– intimata –

avverso la sentenza n. 2420/2008 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/07/2008, R.G.N.
130/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato GIACINTO TECCE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 10, presso lo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto la risoluzione del contratto
di affitto di fondo rustico in Serino (AV), località Grimaldi
o San Biagio in catasto alla partita 2530, fl 19. p.11a 249,
che i proprietari, i fratelli Raffaele, Silvio, Claudio e

in qualità di procuratore speciale – assumono essere stato
verbalmente stipulato nell’anno 1988 dal loro dante causa con
Mario Di Zenzo, dopo il rilascio del terreno alla fine
dell’annata agraria 1987/1988 dal precedente affittuario,
Salvatore Viola e che, invece, Teresa Cirasuolo, succeduta
nell’affitto dopo la morte del marito Mario Di Zenzo, assume
essere stato stipulato nell’anno 1984, con la conseguenza che
la lettera di disdetta inviata dai concedenti in data
23.11.2000 per la scadenza del 10.11.2003 non sarebbe efficace
per tale data, per essersi il contratto rinnovato tacitamente
sino al novembre 2014.
Con sentenza in data 28.11.2006 il Tribunale di Avellino,
sez. specializzata agraria – adito dei germani d’Angerio per
la declaratoria, in via principale, della risoluzione
dell’affitto alla scadenza del 10.11.2003 e, in via
subordinata, per l’inadempimento nel pagamento dei canoni da
parte della Cirasuolo – rigettava entrambe le domande.
La decisione, gravata da impugnazione dei germani
d’Angerio, era riformata dalla Corte di appello di Napoli,
sez. specializzata agraria, la quale con sentenza in data
15.07.2008 dichiarava che il contratto di affittanza agraria
intercorso tra Mario Di Zenzo (cui era succeduta la Cirasuolo)

3

Dario d’Angerio – tutti rappresentati in giudizio dal primo,

e Raffaele D’Angerio (in proprio e nella qualità di
procuratore speciale dei fratelli germani) era scaduto in data
11.11.2003, condannava Teresa Cirasuolo al rilascio del fondo
entro la fine dell’annata agraria (10.11.2008) in favore dei
germani D’Angerio; con condanna alle spese del doppio grado a

rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla Cirasuolo,
in via subordinata, per pretese migliorie.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Teresa Cirasuolo, svolgendo sette motivi.
Ha resistito Raffaele d’Angerio, in proprio e nella qualità
di procuratore speciale dei fratelli germani, depositando
controricorso, con il quale ha eccepito l’inammissibilità del
ricorso per violazione dell’art. 366

bis cod. proc. civ. e

svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a unico
motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. Preliminarmente si dà atto che i ricorsi, proposti in
via principale e incidentale, avverso la stessa sentenza vanno
riuniti ex art. 335 cod. proc. civ..
Gli stessi ricorsi – avuto riguardo alla data della
pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006
e antecedente al 4 luglio 2009) – sono soggetti, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006; si

4

carico della appellata. In motivazione la Corte di appello

applica, in particolare, l’art. 366

bis

cod. proc. civ.,

stante l’univoca volontà del legislatore di assicurare
l’ultra-attività della norma

(ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio

2012, n. 1194), a tenore della quale, nei casi previsti dai
nn. l, 2, 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. l’illustrazione

con la formulazione di un quesito di diritto; mentre la
censura prevista dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. deve
concludersi o almeno contenere un momento di sintesi (omologo
del quesito di diritto), da cui risulti

«la chiara

indicazione» non solo del fatto controverso, ma anche, se non
soprattutto, la “decisività” del vizio.
2. RICORSO PRINCIPALE
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio rappresentato dalla data di inizio
del rapporto agrario, da cui si ricava con il calcolo della
sua durata legale di anni quindici, la fondatezza o meno
dell’asserita scadenza del 10.11.2003.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. violazione e falsa
applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.; ai sensi dell’art.
360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione
dell’art. 2704 cod. civ..; ai sensi dell’art. 360 n.3 cod.
proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 cod.
civ.. Parte ricorrente si duole che la Corte di appello abbia
riconosciuto valore di pubblica fede a documenti prodotti dal

5

di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi

ricorrente sforniti di tale efficacia, trattandosi

«per lo

più» di scritture private provenienti da terzi, per le quali
l’ordinamento non prevede altro criterio di valutazione che
quello del prudente apprezzamento; inoltre la Corte di appello
avrebbe violato l’art. 2700 cod. civ., per avere ritenuto che

desumesse «la prova certa e inconfutabile» che certamente a
quella data le p.11e 249 e 623 erano ancora nel possesso di
Salvatore Viola. A conclusione del motivo si chiede a questa
Corte ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.: a)

«Posto il

principio secondo cui soltanto gli atti pubblici fanno piena
prova di quanto avvenuto in presenza del pubblico ufficiale
rogante o di quanto da lui compiuto, può il giudice attribuire
valore probatorio tipico di tali atti a semplici scritture
private (quali nel ns. caso, i suddetti vaglia postali e le
missive del D’Angerio e del Meola?»;

b)

«Posto il principio

secondo cui la data delle scritture private è certa e
computabile riguardo al terzi solo se esse sono autenticate, o
dal momento in cui sono registrate ovvero negli altri casi
previsti dall’art. 2704 cod. civ., può il giudice computare le
date, riportate in scritture non munite di detti requisiti e
non provenienti dalla parte contro cui sono prodotte, riguardo
alla parte medesima?»;

c)

«Posto il principio secondo cui

soltanto gli atti pubblici fanno piena prova di quanto
avvenuto in presenza del pubblico ufficiale rogante o di
quanto da lui compiuto, può il giudice ascrivere valore
probatorio ad un atto pubblico (nel ns. caso: verbale di
mancata conciliazione del 3.7.87) con riferimento a

6

dal verbale di mancata conciliazione in data 03.07.1987 si

circostanze non ricadenti nel poteri accertativi del pubblico
ufficiale rogante od a fatti non accaduti in sua presenza (nel
ns. caso: rapporto di affitto sul fondo alla part. 249 fl 19
c.t. tra Viola Salvatore e D’Angerio?».
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio: manifesta irrilevanza dei documenti
sui quali il giudice ha fondato il proprio convincimento (e
cioè: la lettera del 10.06.87 che sarebbe inesistente; la
lettera del 10.04.1087 di contestazione ai sensi dell’art. 46
legge n. 203 del 1982; il verbale di conciliazione; la missiva
del geom. Meola del 21.09.1987; i vaglia postali) che si
riferirebbero esclusivamente alla p.11a 623 (e non anche alla
249), l’unica in possesso del Viola.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio: omessa valutazione di elementi che,
ove presi in considerazione, avrebbero condotto ad un’opposta
decisione (in particolare verbale di consistenza della p.11a
249)
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ. violazione dell’art 112. A
conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi
dell’art. 366 bis cod. proc. civ. «Posto 11 principio secondo
cui il giudice deve statuire
partium

iuxta alligata (et probata)

può il giudice porre a base della decisione una

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dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o

circostanza mai dedotta da alcuna delle parti (nel ns. caso:
inizio del rapporto agrario tra Di Zenzo e D’Angerio nel 1987,
anziché nel 1988, come dedotto dal D’Angerio?»
2.6. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o

rapporto agrario) controverso e decisivo per il giudizio, su
cui è stata richiesta la prova testimoniale.
2.7. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto (miglioramenti
apportati al fondo) controverso e decisivo per il giudizio,
oggetto della domanda riconvenzionale della Cirasuolo.
3. Prima di ogni altra considerazione si rileva che i
motivi primo, terzo, quarto, sesto e settimo denuncianti,
ognuno, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. a parte i profili di
inammissibilità per la contemporanea prospettazione della
omissione (carenza) della motivazione e della sua
contraddittorietà (sovrabbondanza) – non sono stati formulati
in conformità alla previsione di cui all’art. 366 bis sopra
cit., come eccepito da parte resistente.
Invero

«la chiara indicazione»

(c.d. quesito di fatto)

richiesta dalla seconda parte dell’art. 366

bis

cod. proc.

civ. in relazione al vizio motivazionale deve consistere come da questa Corte ripetutamente precisato – in un elemento
espositivo che rappresenti un

quid pluris rispetto alla mera

8

contraddittoria motivazione circa un fatto (data di inizio del

illustrazione delle critiche alla decisione impugnata,
imponendo un contenuto specifico autonomamente e
immediatamente individuabile, volto a circoscrivere i limiti
delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non
ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla

2007, n. 20603). Occorre, in altri termini, la formulazione
conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo
del ricorso, nel quale e comunque anche nel quale si indichi
non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma
omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma
anche, se non soprattutto, quali siano le ragioni per cui la
motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la
decisione (Cass., ord. 13 luglio 2007, n. 16002). Tale
requisito non può, dunque, ritenersi rispettato quando solo la
completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di
un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto
ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007,
n. 16002).
Nei motivi di ricorso all’esame parte ricorrente si limita
a enunciare nell’incipit del motivo “il fatto controverso” in
termini peraltro estremamente lati, tralasciando, del tutto,
di fornire una “sintesi” nel senso sopra precisato, da cui
risulti non solo il tipo di vizio (carenza o
contraddittorietà) della motivazione lamentato con riguardo a
quello specifico fatto, ma soprattutto la sua “decisività”.
Tutti i suddetti motivi sono, dunque, inammissibili.

9

valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. 10 ottobre

4. Gli altri due motivi (il secondo e il quinto) sono
proposti sotto il profilo della violazione della legge
processuale e il secondo anche in relazione all’art. 360 n.3
cod. proc. civ..
Anche i suddetti motivi non meritano accoglimento per le

4.1.

Relativamente

al

secondo

motivo

si

osserva,

innanzitutto, che la violazione del principio di cui all’art.
116 cod. proc. civ. sulla valutazione delle prove è
censurabile in cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ., solo se il giudice di merito valuta una prova e in
genere una risultanza probatoria, non già secondo il suo
prudente apprezzamento, ma sulla scorta di altri e diversi
valori, oppure attribuisca ad essa un valore legale tipico che
il legislatore preveda per una diversa risultanza probatoria
(Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), posto che, altrimenti, la
censura che investe la valutazione della prova può essere
fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360 cod.
proc. civ. (cfr. Cass. 17 giugno 2013, n. 15107) entro il
limitato ambito in cui è consentito lo scrutinio di
legittimità della motivazione.
Orbene – contrariamente a quanto opinato da parte
ricorrente – la Corte di appello non ha affatto attribuito
alle prove scrutinate un valore diverso da quello ad esse
assegnato dall’ordinamento, né tantomeno, ha riconosciuto
valore di prova legale in punto di vigenza del contratto di
affitto d’Angerio/Viola al verbale in data 03.07.1987 di
mancata conciliazione tra le stesse parti, rivelandosi il

10

considerazioni che seguono.

motivo all’esame (e i quesiti che lo corredano) eccentrici
rispetto alla ratio decidendi. La decisione impugnata appare,
infatti, affidata ad una coordinata e selettiva valorizzazione
di una serie di atti e,

in primis (ma non esclusivamente) del

suddetto verbale di mancata conciliazione, letto unitamente

tecnico del d’Angerio all’IPA (nell’evidente considerazione
che se, nel giugno del 1987, il d’Angerio e il Viola ebbero a
comparire innanzi ai competenti organismi di categoria, perché
controvertevano degli inadempimenti contestati dal primo al
secondo nella conduzione del fondo – e segnatamente della
p.11a 249 che qui rileva – voleva dire che a quella data nella
conduzione del fondo era ancora il Viola e non il Di Zenzo),
assumendo «a conforto di tale tesi» ulteriori elementi, tratti
dai bollettini di pagamento dei canoni delle annualità
1984/1985 e 1985/1986, nonchè dalla lettera del tecnico Meola
in data 21.09.1987, ritenuti anch’essi deponenti per la
prosecuzione del rapporto d’Angerio/Viola almeno sino al mese
di giugno 1987.
4.2. Merita puntualizzare che l’avere riconosciuto valore
di

«prova certa ed inconfutabile»

al verbale di mancata

conciliazione – come si legge nella sentenza impugnata significa che i Giudici di appello hanno assegnato a detta
documentazione, non già valore di prova legale, bensì una
particolare attendibilità in ordine all’esistenza e vigenza
del contratto di affitto con il Viola; il che, del resto, è
reso evidente dalla dichiarata esigenza di assumere ulteriori
elementi documentali

«a conforto»

11

di quelli desunti dal

alla comunicazione ex art. 46 L. n. 203 del 1982 inviata dal

ridetto verbale.
Inoltre – giusta o errata che sia la data del 10.06.1987
con cui viene individuata nella decisione impugnata

«la

lettera di disdetta e convocazione per il tentativo di
conciliazione»

(che la ricorrente indica, invece, come datata

conciliazione e il preciso riferimento alle p.11e 249 e 623,
quale materia del contendere cui si riferiva lo stesso
tentativo, sono stati tratti dalla Corte territoriale dalla
comunicazione indirizzata dal tecnico del d’Angerio
all’organismo di categoria per lo svolgimento del tentativo di
conciliazione.
Orbene le valutazioni svolte al riguardo sono frutto di
un’attività riservata al giudice di merito, che – in quanto
esente da aspetti di devianza da norme e da principi di
diritto e, segnatamente, da quelli denunciati da parte
ricorrente – appare pienamente conforme al criterio di cui
all’art. 116 cod. proc. civ. che è quello del prudente
apprezzamento. Le stesse valutazioni si sottraggono, dunque, a
sindacato in questa sede di legittimità, nella quale non può
trovare ingresso l’aspirazione della parte ricorrente a
vederle sostituite con altre di segno alternativo ritenuto più
rispondente al proprio interesse.
4.3. Tutto ciò si riflette sui quesiti

ex art. 366 bis cod.

proc. civ. a corredo del motivo, che risultano, all’evidenza,
privi di decisività, posto che quelli

sub a) e c) muovono da

premesse assertive (in ordine all’attribuzione del valore di
prova legale agli atti di cui trattasi) che – per quanto si è

12

18.04.1987) – è chiaro che l’oggetto del tentativo di

detto – non trovano riscontro nella decisione impugnata,
mentre quello sub b) è formulato in maniera generica, senza
alcuna contestualizzazione rispetto alla fattispecie concreta,
non avendo parte ricorrente precisato (neppure nel motivo)
quali siano gli atti di cui si contesta la certezza della

Peraltro – ove si consideri che altrove (segnatamente
nell’esposizione del terzo motivo) parte ricorrente opina che
tutta la ridetta documentazione si riferisca solo alla p.11a
623 e non anche alla p.11a 249 (che sarebbe stata indicata per
errore nella comunicazione effettuata dal tecnico del
d’Angerio per il tentativo di conciliazione) – appare chiaro
che il problema non è quello della certezza delle date,
quanto, piuttosto, quello della valutazione della prova e che
le censure mirano solo a sollecitarne un apprezzamento
alternativo e non esclusivo rispetto a quello svolto dai
giudici di appello. E ciò esula dall’ambito del sindacato
consentito dall’art. 360 cod. proc. civ..
5. E’ infondata anche l’altra censura di violazione della
norma processuale di cui al quinto motivo.
Parte ricorrente sostiene che nell’atto introduttivo del
giudizio il d’Angerio aveva indicato la data di inizio
dell’affitto con il Di Zenzo dopo l’annata agraria 1987/1988,
mentre la decisione impugnata colloca la medesima data
ne//’annata agraria 1987/1998. L’esigenza per i giudici di
appello di

«alterare»

tale data sarebbe sorta – secondo la

ricorrente – perché altrimenti non si sarebbe potuto
dichiarare che il contratto era scaduto in data 11.11.2003,

13

data.

come indicato dall’originario ricorrente.
Al riguardo si osserva che principio consacrato nell’art.
115 cod. proc. civ., secondo cui il giudice ha l’obbligo di
decidere iuxta alligata et probata,

importa, tra l’altro, che

la decisione sia tratta unicamente dalle allegazioni delle

della domanda o dell’eccezione, e dalle prove offerte dalle
parti medesime. Detta norma è intesa ad assicurare il rispetto
dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio,
impedendo che una parte possa subire una decisione basata su
fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia
potuta difendere. Pertanto, il giudice non viola il principio
enunciato nella norma dell’art. 115 cod. proc. civ. quando si
avvalga – come nella specie – proprio dei fatti allegati e
provati dalle parti (che nella specie controvertevano se il
contratto fosse sorto nel 1984 ovvero nel 1987) per assumere
le proprie autonome valutazioni, secondo la regola enunciata
dal successivo art. 116 cod. proc. civ..
Peraltro – contrariamente a quanto sembra opinare parte
ricorrente – la Corte di appello non era vincolata
all’individuazione della data di scadenza del rapporto di
affitto, contenuta nella comunicazione di disdetta o nel
ricorso introduttivo, e avrebbe potuto accertare, sulla base
delle risultanze processuali e della normativa applicabile,
una data effettiva di scadenza, diversa da quella indicata dal
concedente, senza incorrere neppure nella violazione
dell’altro principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato (cfr. Cass. 16 dicembre 2005, n. 27731).

ooi

14

parti, cioè dalle circostanze di fatto dedotte a fondamento

In definitiva ciò che rileva, ai fini che ci occupano, è
che sia che il contratto fosse nato

dopo

l’annata agraria

1987/1988, sia che fosse nato ne//’annata agraria 1987/1998,
la comunicazione della disdetta inviata nell’anno 2000 sarebbe
comunque tempestiva. Inoltre la diversità di data non

siccome fissato per la fine annata agraria 2008.
Il ricorso principale va rigettato.
6. RICORSO INCIDENTALE.
6.1. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia
ai sensi dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ. violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla
domanda di pagamento. A conclusione del motivo si chiede a
questa Corte ai sensi dell’art. 366

bis

cod. proc. civ.

«Premesso che i sig.ri d’Angerio, con ricorso al Tribunale,
chiedevano al punto 2 del ricorso la condanna al pagamento dei
canoni della sig.ra Cirasuolo, che tale domanda veniva
riproposta in appello, che l’art. 112 c.p.c. statuisce il
principio della corrispondenza tra il chiesto

e

il

pronunciato, dica la Suprema Corte di Cassazione se l’omessa
pronuncia della Corte territoriale, in ordine al punto 2,
costituisca violazione dell’art. 112 c.p.c. con conseguente
nullità della sentenza in parte qua ai sensi dell’art. 360 n.4
c.p.c.»
6.2. Il motivo è infondato e il quesito di diritto
prospettato sul presupposto che al d’Angerio fosse sufficiente
“riproporre” la domanda non accolta – è mal formulato,
suggerendo una regola di diritto errata.

15

gioverebbe a parte ricorrente neppure ai fini del rilascio

Invero soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha
l’onere di proporre appello incidentale per far valere le
domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla
presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ., può
limitarsi a riproporle. Nel caso di specie, invece, i fratelli

rigettate entrambe le domande da essi proposte, come risulta
dalla sentenza impugnata (è da intendere le domande
principali). Se poi la domanda subordinata di pagamento dei
canoni, non sia stata esaminata ovvero sia stata
implicitamente

rigettata dal primo Giudice per la mancata

dimostrazione dell’ammontare del canone, è questione che qui
non rileva, risultando assorbente la considerazione che i
motivi di appello, per come riportati nel controricorso,
attingevano solo la statuizione di rigetto delle due domande
(principali) di risoluzione. L’inidoneità della censure svolte
in appello ad attingere il mancato accoglimento (o il mancato
esame) della domanda subordinata di pagamento del canone,
escludendo l’obbligo di esame della stessa domanda da parte
del giudice del gravame, non può, dunque, risolversi in un
motivo di nullità della sentenza che su di essa non doveva
pronunciarsi.
In conclusione anche il ricorso incidentale va rigettato.
La reciproca soccombenza comporta l’integrale compensazione
tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso
principale e quello incidentale; compensa interamente tra le

16

d’Angerio erano soccombenti in primo grado, essendo state

parti le spese del giudizio di legittimità.

Roma 7 marzo 2014

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