Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10329 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10329 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso 19974-2008 proposto da:
-MOLLO ALFONSO, considerato domiciliato ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato
SCOGNAMIGLIO PASQUALE unitamente agli Avvocati
SCOGNAMIGLIO MARCO e SCOGNAMIGLIO MASSIMILIANO in
80056 ERCOLANO (NA), VIA 4 OROLOGI, 19 giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro

LO SCHIAVO LUCIANA, LO SCHIAVO FRANCESCO, LO SCHIAVO

1

Data pubblicazione: 13/05/2014

GUIDO, considerati domiciliati ex lege in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato TOZZI SILVANO in
80134

NAPOLI, VIA TOLEDO

323,

giusta procura a

margine del controricorso;

avverso la sentenza n.

1089/2008

della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, SEZIONE AGRARIA, depositata il
14/05/2008 R.G.N.

8607/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

06/03/2014

dal Consigliere Dott. ROBERTA

VIVALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

– controricorrenti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Maria Pacifico Lo Schiavo convenne, davanti al tribunale di
Noia – sezione specializzata agraria, Pasquale Mollo chiedendo
la risoluzione del contratto di affitto agrario concluso fra le
parti per inadempimento dell’affittuario Mollo, per avere

terranei senza il consenso di essa proprietaria; nonché il
risarcimento dei danni.
Si costituì il convenuto contestando il fondamento della
domanda, ed, in via riconvenzionale, chiese il riconosciment
dei miglioramenti apportati al fondo.
Il tribunale di Noia – sezione specializzata agraria, co
sentenza del 10.11.2004, accolse la domanda principale, rigettò
quella di risarcimento danni e dichiarò improcedibile la
riconvenzionale.
2.

Proposero, appello principale il Mollo, ed incidentale

Luciana, Guido e Francesco Lo Schiavo, quali eredi di Maria Lo
Schiavo.
La Corte d’Appello

sezione specializzata agraria, con

sentenza del 14.5.2008, rigettò l’appello principale ed accolse
” per quanto di ragione” l’incidentale condannando il Mollo al
risarcimento dei danni quantificati in E 9.000,00.
3. Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi
illustrati da memoria Alfonso Mollo n.q. di procuratore
generale di Pasquale Mollo.

3

questi edificato, in adiacenza alla casa rurale, due locali

Resistono con controricorso Luciana, Guido e Francesco Lo
Schiavo.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Preliminarmente

va

dichiarata

la

tardività

del

controricorso.

mezzo del servizio postale il 4.10.2008, mentre la sua
notificazione sarebbe dovuta avvenire entro il 25.8.2008 (
ventesimo giorno non festivo successivo al 4.8.2008 data di
scadenza del termine per il deposito del ricorso ai sensi
dell’art. 369, comma l, c.p.c.), trattandosi di una
controversia in materia agraria per la quale non trova
applicazione la sospensione dei termini processuali nel periodo
feriale ( fra le varie Cass. 11.6.2009 n. 13546).
2.

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza

pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in
materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi,
delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena
di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare,
nei casi previsti dall’

art.

360,

n.

l),

2),

3)

e 4,

l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la
formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso
previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di
4

Il controricorso risulta, infatti, consegnato per la notifica a

ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.

l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione; e la relativa censura deve contenere
un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass.
18.7.2007 n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il
vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008
n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
5

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,

generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie
in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od

abrogazione del suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella
di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del
solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del
ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n.
8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso
stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di
legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi
previsti dai numeri l, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma,
c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa
disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura

– come già detto – deve,

all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata,

ai

dell’art.

sensi
6

384

c.p.c.,

integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale

all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a

dicta

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui
al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il

una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da
ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n.
24255).
3.Con il primo motivo il ricorrente denuncia

violazione e/o

falsa applicazione del combinato disposto degli artt.132,
secondo comma, n. 2, c.p.c., e 156, secondo comma, c.p.c., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c..
Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.
3.1 Sul tema delle conseguenze della mancata indicazione delle
parti in sentenza debbono segnalarsi due orientamenti nella
giurisprudenza di legittimità.
Il primo che afferma che l’omessa indicazione, nell’epigrafe
della sentenza, del nome di una delle parti rende nulla la
sentenza quando, né dallo “svolgimento del processo”, né dai
“motivi della decisione”, sia dato desumere la sua effettiva
7

solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta

partecipazione al giudizio, con conseguente incertezza assoluta
nell’individuazione del soggetto nei cui confronti la sentenza
è destinata a produrre i suoi effetti ( tra le ultime Cass.
28.9.2012 n.16535).
Il secondo che, invece,ritiene che l’omessa, incompleta od

sentenza, del nominativo di una delle parti in causa, non è
motivo di nullità, ma costituisce mero errore, emendabile con
la procedura prevista per la correzione degli errori materiali,
qualora dalla stessa sentenza e dagli atti sia individuabile
inequivocamente la parte pretermessa o inesattamente indicata
(Cass. 6.8.2013 n. 18732; Cass. Cass. 5.5.2010 n. 10853; Cass.
1.4.2009 n. 7959; Cass. 6.3.2006 n. 4796).
3.2 Sul tema vanno effettuate le seguenti considerazioni.
L’art. 132, secondo comma, n. 2 c.p.c. non prevede il requisito
della indicazione delle parti a pena di nullità.
Il requisito della indicazione delle parti può considerarsi
soddisfatto qualora vi sia nella sentenza una sorta di
indicazione indiretta, cioè per relationem,

che consenta senza

equivoci di ritenere che essa è stata pronunciata anche nei
confronti della parte non espressamente indicata.
Deve sussistere, cioè, un’espressione della sentenza che abbia
il valore di una indicazione indiretta, cioè con un riferimento
o ad un atto del processo che le contempli perché riferibile ad
una o più parti (si pensi, ad esempio, all’espressione “nella
comparsa di risposta si è sostenuto”) o ad una posizione che le
8

inesatta indicazione, nell’epigrafe o nel dispositivo della

parti abbiano assunto con riguardo ad un atto del processo (si
pensi ad un’espressione come “l’attore” o “gli attori”, come
“il convenuto” o “i convenuti”, come “l’interveniente”, come
“l’appellante” o “il ricorrente”).
Lo scopo proprio della indicazione espressa delle parti può,

espressioni che, pur senza nominare la parte o le parti e,
quindi, senza indicarla o indicarle

nominatim,

consentano di

individuarle come soggetti cui si riferisce la statuizione in
quanto ad essi si riferisca un atto o provvedimento del
processo che, invece, la sentenza nomini espressamente o cui
parametri la posizione della parte.
In tal caso, infatti, l’atto sentenza, pur mancando del
requisito formale della indicazione della parte, è comunque
idoneo a soddisfare lo scopo di quella indicazione, perché
attraverso l’esame dell’atto processuale cui la sentenza si è
riferita o direttamente o correlandovi la posizione della parte
(nel senso suindicato) si può senza dubbio pervenire alla
individuazione di quali siano stati i soggetti tra i quali la
sentenza è stata pronunciata.
Il che vuol dire che la mancanza della indicazione espressa di
una delle parti nella sentenza può determinare una nullità
solo ai sensi del secondo comma dell’art. 156 c.p.c. cioè se
l’atto-sentenza è inidoneo al raggiungimento dello scopo ( v.
anche Cass. 24.8.2007 n. 17957).

9

cioè, ritenersi raggiunto quando la sentenza contenga

3.3.0ra, nella specie, nell’epigrafe della sentenza sono
indicati quali ricorrenti gli .. eredi LO SCHIAVO MARIA
PACIFICO”, difettando soltanto la loro indicazione nominativa,
ma la loro qualità di eredi non risulta contestata nel giudizio
di primo grado; così come emerge dalla sentenza impugnata.

Lo Schiavo emerge, quindi, pacificamente dalla sentenza di
primo grado.
Se, poi, si tiene presente che la finalità cui tende la norma
dell’art. 132, secondo comma, n. 2 c.p.c. è quella di
assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, deve
evidenziarsi che nel caso in esame le parti hanno partecipato
attivamente ai giudizii di merito e che l’appello principale
del Mollo è stato correttamente proposto nei confronti degli
eredi indicati nominativamente.
Segno questo che non si è consumata nessuna violazione dei
diritti difensivi, né vi è stata alcuna situazione di
incertezza.
In questa situazione processuale, quindi, con tali precisazioni
vanno condivise le conclusioni cui è giunta la Corte di merito.
4. Con il secondo motivo si denuncia

violazione degli artt.

1223 c.c. e 2697, primo comma, c.c., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3 c.p.c..
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
Anzitutto

è

prospettata

in

relazione

all’accordato

risarcimento dei danni per la rimozione del manufatto abusivo
10

Il dato della qualità di “eredi” di Luciana, Guido e Francesco

realizzato

dall’odierno

ricorrente

cassazione

la

(peraltro

solo

questione

per

la

prima

ipotetica)

volta

in

cui

di

per

tale somma i proprietari avrebbero potuto non essere gravati in
ipotesi di demolizione spontanea a spese dello stesso
affittuario del manufatto abusivo ” all’esito del procedimento

pendenza” .
La questione è nuova, come tale la sua deduzione è
inammissibile in sede di legittimità.
E’, infatti, principio pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire,
a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel
tema del decidere del giudizio di appello, non essendo
prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove
o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del
merito e non rilevabili di ufficio (fra le tante Cass.
18.10.2013 n. 23675).
Pertanto, il ricorrente che proponga detta questione in sede di
legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare
l’avvenuta deduzione della questione davanti al giudice di
merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, al fine di consentire alla Corte di
Cassazione di controllare ex

actis

la veridicità di tale

asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa
(Cass. 28.7.2008 n. 20518; v. anche Cass. 26.3.2012 n. 4787).
11

amministrativo di cui la stessa controparte ha documentato la

Inoltre,

il

quesito

posto

diritto

di

al

termine

dell’illustrazione del motivo non rispetta i requisiti di cui
all’art. 366 bis c.p.c..
Il quesito, infatti, è del seguente tenore: ” Dica la Corte
Suprema se la spesa eventualmente occorrente per la demolizione

quale componente del danno patrimoniale da inadempimento
contrattuale; dica, altresì, la Corte Suprema se la perdita
subita debba essere dimostrata da chi ha fatto valere in
giudizio il diritto al risarcimento del danno”.
Si tratta di un quesito generico che – anche a prescindere dai
rilievi di inammissibilità sopra evidenziati – non coglie le
particolarità del caso concreto.
In tal modo la Corte di legittimità non è in grado di enunciare
un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso
caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord.
5.2.2008 n. 2658; Sez. Un.

5.1.2007 n. 36, e successive

conformi).
Né il quesito, correttamente posto, può essere desunto dal
contenuto e dall’illustrazione del motivo che lo precede, e
neppure può essere integrato il primo con il secondo.
Diversamente, si avrebbe la sostanziale abrogazione della norma
dell’art. 366

bis

c.p.c., applicabile

ratione temporis

nella

specie ( Sez. Un. 11.3.2008, n. 6420 e successive conformi).
5. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

12

di un manufatto sia configurabile quale perdita subita, intesa

Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese a seguito
della riconosciuta tardività del controricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Cosi deciso in Roma, il giorno 6 marzo 2014, nella camera di

cassazione.

consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di

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