Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10325 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10325 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 26839-2010 proposto da:
ROMANO

ALBA

RMNLBA60H66Z110B,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENATO FUCINI 63, presso lo
studio dell’avvocato MONTANARO CARLA, rappresentata e
difesa dall’avvocato PIROZZI GIAMPIETRO giusta
procura speciale a margine;
– ricorrente contro

PLUSVALORE SPA IN LIQUIDAZIONE (già PLUSVALORE GRUPPO
DELTA SPA) 06213771006, in persona del liquidatore
pro tempore Dott. ADOLFO BARBIERI, elettivamente

Data pubblicazione: 13/05/2014

domiciliata in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI 330,
presso lo studio dell’avvocato IASEVOLI MARIA
ASSUNTA, rappresentata e difesa dagli avvocati
ROBERTO MECONI, IASEVOLI DOMENICO giusta procura
speciale alle liti in calce;

nonchè contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI;
– intimato –

avverso la sentenza n. 20367/2010 del TRIBUNALE di
BOLOGNA, depositata 1’08/04/2010, R.G.N. 20329/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

18/02/2014

dal

Consigliere

Dott.

ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato MICHELE BASILE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

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– controri correnti –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 8 aprile 2010, il Tribunale di Bologna
ha rigettato la domanda proposta da Alba Romano nei confronti
della Plusvalore s.p.a. per il risarcimento dei danni che
l’attrice assumeva di aver subito in conseguenza dell’illecito

cancellazione dai sistemi di informazione creditizia delle
segnalazioni a suo carico.
Il Tribunale ha ritenuto che la segnalazione del nominativo
della ricorrente al CRIF fosse ascrivibile a un singolare
caso, non solo di omonomia, ma anche di omocodia, essendovi
due persone differenti, con lo stesso nome, Alba Romano,
entrambe nate in Francia e nella stessa data, il 26 giugno
1960, alle quali era stato assegnato il medesimo numero di
codice fiscale; ha, altresì, osservato che la Plusvalore si
era attivata con la necessaria diligenza anche dopo la prima
doglianza della Romano, dal momento che dalla documentazione
trasmessale non era dato ravvisare la peculiarità del caso e
che solo, dopo più accurati e approfonditi controlli sul
codice fiscale, la società aveva potuto avere la certezza
della omonimia e omocodia, provvedendo di conseguenza a
richiedere la cancellazione della segnalazione, peraltro prima
dell’instaurazione del giudizio. Ciò escludeva che potesse
trovare accoglimento la pretesa di risarcimento del danno,
peraltro sfornito di ogni riscontro probatorio, neppure
documentale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Alba Romano, svolgendo tre motivi.

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trattamento dei dati personali, consistito nella mancata

Il ricorso è stato notificato al Garante per la protezione
dei dati personali.
Ha

resistito

la

Plusvalore

s.p.a,

depositando

controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

del controricorso, che ne preclude il relativo esame, in
quanto notificato in data 17.06.2011 oltre il termine di cui
all’art.370 cod. proc. civ. decorrente dalla notifica del
ricorso che, nella specie, come riconosciuto nello stesso
controricorso

(cfr. pag.1),

si è perfezionata in data

12.11.2010.
2. Sempre in via preliminare va evidenziata l’irrilevanza
dei quesiti di diritto formulati dalla parte ricorrente,
atteso che la sentenza impugnata è stata depositata in data
08.04.2010, quindi dopo l’espressa abrogazione dell’art. 366
bis

cod. proc. civ. (che ne prevedeva la formulazione)

disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma l,
lett. d) giusta la norma transitoria dettata dalla stessa L.
del 2009, art. 58, comma 5 secondo cui «le disposizioni di cui
all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il
provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato
pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la
pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata
in vigore della presente legge».
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione degli artt. 23 e 7 co. 2 lett. b> e comma 4 lett.

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1. In via preliminare occorre rilevare l’inammissibilità

a>

del

d.Lgs.

n.

196/2003,

sotto

il

profilo

della

responsabilità della Plusvalore, quantomeno dal momento della
richiesta di cancellazione. Al riguardo parte ricorrente
deduce l’illegittimità del trattamento dei dati di persona
diversa dall’interessato, ancorchè omonima e omocodica ed

trattamento da parte della Plusvalore “in prima battuta” – non
altrettanto potrebbe dirsi per il comportamento tenuto dalla
società una volta che è stata informata della possibilità
dell’errore.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione degli artt. 15 e 117 d. Lgs. n. 196/2003 sotto il
profilo che non era sufficiente a mandare esente da
responsabilità la Plusvalore la circostanza che avesse usato
“la normale diligenza”, occorrendo dare la prova del caso
fortuito o della forza maggiore. Al riguardo parte ricorrente
lamenta che non sia tenuto conto del carattere oggettivo della
responsabilità ex art. 2050 cod. civ. e deduce che faceva
carico alla società predisporre «misure idonee atte a rilevare
la sussistenza di un errore di persona»
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente lamenta
che la decisione impugnata contenga una motivazione
inesistente, o comunque, insufficiente o gravemente
contraddittoria in ordine agli oneri probatori gravanti sulle

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osserva che – anche a ritenere astrattamente “scusabile” il

parti; e ciò vuoi per avere ritenuto che la società non fosse
in grado di rilevare l’errore con la normale diligenza, senza
considerare che essa ricorrente aveva trasmesso alla
Plusvalore una copia della propria carta di identità che era
sufficiente a evidenziare la diversità di persona; vuoi per

evidenziando l’avvenuta richiesta di cancellazione della
segnalazione; vuoi, ancora, per non avere verificato il
mancato assolvimento dell’onere probatorio, facente carico
alla Plusvalore, di dimostrare di aver impiegato ogni misura
idonea a evitare il danno, mentre per il danneggiato «è
sufficiente dare conto del fatto che il danno è conseguenza
dell’attività pericolosa».
3. Osserva il Collegio che i motivi si prestano a essere
esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione,
muovendo, tutti, dal postulato di fondo che lo scrutinio in
ordine alla liceità del “trattamento” – attuato, nello
specifico, mediante trasmissione ad un gestore privato di
dati, il CRIF s.p.a., utilizzato dagli istituti di credito
come canale informativo circa l’affidabilità dei soggetti che
richiedono di accedere al credito – sia avvenuto adoperando,
come parametro esclusivo di valutazione, un criterio di
“normale diligenza” inadeguato agli effetti dell’art. 2050
cod. civ., in tal modo dispensando la resistente dall’onere
della prova a suo carico e, comunque, tralasciando di
considerare che la Plusvalore era stata messa in grado di
verificare dalla stessa Romano l’errore di persona in cui era
incorsa.

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avere, di fatto, riconosciuto l’illiceità del trattamento,

Nessuno dei motivi coglie nel segno.
3.1. In punto di diritto si osserva che l’annotazione del
nominativo presso le banche dati private rientra nell’ambito
di applicazione dell’art. 11 del d.Lgs. 30 giugno 2003, n.196,
in forza del quale il trattamento dei dati personali deve

dati essere

«trattati in modo lecito e secondo correttezza»

(lett. a) – e deve, altresì, rispondere a requisiti di
esattezza e di aggiornamento (lett. c).
Ciò posto, ritiene la Corte che la decisione impugnata
abbia, correttamente, distinto due momenti – quello della
segnalazione ai sistemi di informazioni creditizie e quello,
successivo all’opposizione dell’odierna ricorrente, di
richiesta di cancellazione della segnalazione – pervenendo al
rilievo dell’esonero della responsabilità attraverso
argomentazioni succinte, ma comunque, complete e improntate a
retti criteri logici e giuridici. In particolare, il Tribunale
pur senza enunciare formalmente il canone della
responsabilità di cui all’art. 2050 cod. civ. – da un lato, ha
dato conto dell’avvenuta valutazione del comportamento tenuto
dal gestore dei dati personali alla stregua dei principi
ricavabili dalla norma citata, nella sostanza parafrasandone
il contenuto, laddove ha evidenziato che l’odierna resistente
mantenne

«una condotta volta ad evitare danno alcuno»;

dall’altro, ha motivato siffatta valutazione, con il rilievo
dell’assoluta singolarità della situazione, per essere stata
la segnalazione al CRIF «provocata dalla omonimia e omocodia
di due soggetti differenti»

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e per essere stato il

essere effettuato con diligenza – dovendo, in particolare,

comportamento

tenuto

Plusvalore,

dalla

successivo

all’opposizione della Romano, improntato alla dovuta
diligenza, attuando la verifica dei dati e la cancellazione
nel lasso di tempo necessario per i controlli del caso.
Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, il

dell’ordinaria diligenza, bensì quello previsto per “le
attività pericolose”, richiamato dall’art. 15 del d.Lgs n. 196
del 2003 (Codice della privacy),

atteso che il Tribunale non

ha affatto ritenuto che fosse sufficiente la prova negativa da
parte della Plusvalore di non avere commesso alcuna violazione
delle norme di legge o di comune prudenza, ma, al contrario,
ha ritenuto che fosse stata fornita la prova positiva di avere
impiegato ogni cura o misura atta a impedire l’evento dannoso,
implicitamente, ma inequivocabilmente assimilando al fortuito
l’assoluta peculiarità della situazione di omonomia e omocodia
verificata nel caso concreto.
E’

il caso di precisare,

a tal riguardo,

che le

contestazioni sollevate dal difensore, in sede di discussione
orale, in punto di effettiva coincidenza dei codici fiscali
del soggetto reale destinatario del trattamento e dell’odierna
ricorrente, non sono scrutinabili in questa sede, vuoi per
l’inammissibile tardività con cui sono state svolte, vuoi per
la stessa perplessità del rilievo alla luce del tenore del
ricorso dove il dato dell’omocodia non è mai posto in dubbio,
vuoi ancora perché profilano un errore percettivo, come tale
sindacabile solo come errore revocatorio.
3.2. Escluso l’error in iudicando,

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sotto il diverso profilo

parametro di valutazione della responsabilità non è quello

del vizio di omessa,

insufficiente e contraddittoria

motivazione, si osserva che il vizio di cui all’art. 360,
comma l, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo qui applicabile
anteriore all’ultima modifica apportata con d.l. n. 83 del
2012, conv. con modif. in L. n. 134 del 2102) può ravvisarsi

il mancato od insufficiente esame dei punti rilevanti della
controversia, rappresentati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le
argomentazioni addotte, tali da precludere l’individuazione
dell’Iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione.
Non può siffatto vizio concretizzarsi, invece, nella
difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove fornito
dal Giudice di merito rispetto a quello prospettato dalla
parte, atteso che spetta solo all’organo giudicante
individuare le fonti del proprio convincimento, sì da valutare
le prove, controllandone l’attendibilità e scegliendo di dare
prevalenza ad alcune rispetto alle altre. La Corte di
legittimità, pertanto, non può riesaminare e valutare
autonomamente il merito della causa, dovendosi limitare a
controllare, sotto il profilo logico e formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione offerti dal
Giudice di merito

(ex plurimis,

Cass. 04 ottobre 2011, n.

20310).
Nel caso di specie gli argomenti di parte ricorrente non
rivelano alcun elemento scardinante nel processo argomentativo
della decisione impugnata. Piuttosto, la sintesi dei motivi
sopra riportata evidenzia, come la ricorrente, focalizzando

9

Ckur

solo se nel ragionamento del Giudice di merito sia rinvenibile

l’attenzione sul momento della richiesta di cancellazione,
sovrapponga e confonda due momenti che, nella decisione
impugnata, sono logicamente distinti, per evidenziare – quanto
al trattamento come esso non fosse addebitabile alla
Plusvalore, essendo una mera conseguenza della situazione di

fosse avvenuta con la tempistica resa necessaria dalla
peculiarità del caso.
Le valutazioni espresse sono di stretto merito e non sono
sindacabili, come tali, in questa sede, giacchè i motivi di
cui all’art. 360 cod. proc. civ. non possono consistere nella
difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dati dal
Giudice del merito rispetto a quello previsto dalla parte.
4. Non si ritiene superfluo aggiungere con riguardo
all’altro argomento, concernente il mancato riscontro
probatorio del danno posto a fondamento della pretesa – svolto
nella decisione impugnata in via suppletiva, ma di per sé
idoneo a sorreggere la statuizione di rigetto della domanda
risarcitoria – che l’argomento resiste alla critica della
ricorrente, secondo cui per il danneggiato sarebbe stato
sufficiente «dare conto del fatto che il danno è conseguenza
dell’attività pericolosa».
La tesi difensiva – che, nella sostanza, profila un danno
in re ipsa,

da risarcire a prescindere da un pregiudizio

effettivo – confonde, in realtà, il danno cagionato dal
trattamento dei dati personali con l’evento, che viceversa è
un elemento del fatto produttivo del danno. Essa risulta,
altresì, manifestamente infondata alla luce dell’insegnamento

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omonimia e omocodia e – quanto alla cancellazione – come essa

delle SS.UU. (sentenze n 26972-26973-26974-26975 del 2008)
che, con specifico riguardo al danno non patrimoniale, hanno
affermato che questo costituisce sempre danno-conseguenza e
necessita, come tale, di specifica allegazione e prova da
parte del danneggiato.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di
legittimità, avuto riguardo alla rilevata inammissibilità del
controricorso e non avendo parte intimata neppure partecipato
all’udienza collegiale.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Roma 18 febbraio 2014
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

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