Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10324 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/04/2017, (ud. 31/01/2017, dep.26/04/2017),  n. 10324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11727-2011 proposto da:

GT QUALITY TREND S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ALESSANDRIA 128-130, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO PIRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO BRUNI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, ENRICO MITTONI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 93/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 27/02/2011 r.g.n. 1685/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di accertamento ispettivo disposto dall’INPS, fu notificato alla GT Quality Trend S.r.l., in data 27/4/2007, un verbale di accertamento, con cui si contestò alla società il mancato pagamento dei contributi relativi alla posizione di tre lavoratori, formalmente inquadrati come lavoratori a progetto, ma per i quali era emersa la natura subordinata del rapporto di lavoro.

2. Esperiti inutilmente i rimedi amministrativi, la società si rivolse al Tribunale di Pisa chiedendo l’annullamento del verbale. Il Tribunale rigettò la domanda e la sentenza, impugnata dalla stessa società, è stata confermata dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza pubblicata il 7/2/2011.

3. Contro la sentenza, la GT Quality Trend S.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico articolato motivo, cui resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo di ricorso è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n n. 3 e 5 e con esso la parte si duole dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale la quale, da un lato, avrebbe attribuito al verbale di accertamento un valore probatorio più ampio di quello previsto per legge, e, dall’altro, avrebbe trascurato di considerare la natura dei compiti assegnati ai lavoratori, i quali – il primo modellista nel settore dell’abbigliamento, la seconda addetta all’acquisto dei materiali, al controllo della produzione e a soddisfare le richieste dei fornitori, il terzo addetto alla gestione del magazzino – avevano stipulato contratti di lavoro a progetto dotati di specificità ed ai quali erano stati addetti in modo autonomo, senza vincoli di orario e, in generale, di eterodirezione.

2. Il motivo è infondato. Deve innanzitutto rilevarsi che la denuncia di violazione di legge risulta generica e, in quanto tale, inammissibile, dal momento che la parte non indica quali norme di legge sarebbero state violate o falsamente applicate alla fattispecie in esame, nè specifica quali siano le affermazioni della corte territoriale in contrasto con norme di legge. Il motivo in esame risulta pertanto non idoneamente formulato (da ultimo, Cass. 29/11/2016, n. 24298).

Deve poi evidenziarsi un ulteriore profilo di inammissibilità nella mancata trascrizione, nel ricorso, dei contratti di lavoro a progetto sottoscritti dalle parti, i quali, inoltre, non risultano depositati con il ricorso per cassazione, nè la parte ha fornito precise indicazioni per una loro facile reperibilità nei fascicoli di parte o d’ufficio. Il mancato assolvimento di questi oneri rende il ricorso non rispettoso del principio di autosufficienza, imposto dalle norme previste dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass. Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698; Cass. Sez. Un. 3/11/2011, n. 22726; v. pure Cass. 12/12/2014, n. 26174; Cass. 7/2/ 2011, n. 2966).

2.1. Analogo profilo di inammissibilità deve riscontrarsi con riguardo al verbale di accertamento che il giudice avrebbe posto a base del suo convincimento: tale atto, oltre a non essere trascritto, non è stato depositato unitamente al ricorso per cassazione.

3. In realtà, dalla lettura complessiva del ricorso emerge che la censura investe la valutazione delle risultanze istruttorie, e tale vizio può essere fatto valere solo ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass. 17/6/2013, n. 15107; Cass. 4/4/2013, n. 8315). Esso tuttavia deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20/6/2006, n.14267; Cass. 26/3/2010, n. 7394).

Nel caso in esame, le censure proposte sono inidonee ad infirmare la motivazione sotto il profilo della sua adeguatezza e congruità logico-giuridica.

3.1. La corte territoriale ha esaminato i progetti sottoscritti dalle parti e ha ritenuto che il loro oggetto (creazione di nuovi modelli) e l’obiettivo perseguito dalla società (acquisizione nuova clientela) non attribuiscono agli stessi il carattere della specificità, elemento indispensabile richiesto dalla legge (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61) per la riconducibilità del rapporto di lavoro a tale categoria contrattuale. In particolare ha evidenziato come i progetti avevano ad oggetto gli obiettivi sociali dell’impresa, identificandosi l’attività in essi descritta con la sua normale attività, consistente nella produzione di abbigliamento a richiesta di committenti (lavorazione a facon). La mancanza di progetto è stata altresì rilevata con riguardo ai lavoratori addetti alla segreteria amministrativa e al magazzino, per i quali non erano emersi elementi caratterizzanti un obiettivo specifico, rientrando le loro mansioni in quelle comuni di una segretaria o di un magazziniere. Ha evidenziato come l’attività svolta dai lavoratori sia rimasta sostanzialmente identica a quella svolta in precedenza, allorchè erano legati alla società da contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Ha infine espresso le ragioni per le quali ha ritenuto di non ammettere la prova testimoniale, spiegando che, quand’anche ammessa e assunta, essa non avrebbe consentito di superare la questione della mancanza di specificità dei progetti.

3.2. Si è in presenza di una valutazione completa e coerente, incensurabile in questa sede, avendo la Corte territoriale dato adeguatamente conto del proprio convincimento con argomentazioni logiche e persuasive, supportate da evidenze istruttorie puntualmente indicate.

Al riguardo va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. 13/6/2014, n.13485; Cass. 10/6/2014, n. 13054; Cass. ord., 6/4/ 2011, n. 7921; Cass. 15/7/2009, n. 16499; Cass. 5/10/2006, n. 21412; Cass. 15/4/2004 n. 7201; Cass. 7/8/2003 n. 11933).

4. Infine, è infondato il motivo di ricorso con cui la parte si duole della “inconsistenza” della decisione di rigetto del motivo di appello riguardante l’eccessività delle spese processuali liquidate dal primo giudice: al contrario, la motivazione è del tutto esaustività, avendo la Corte precisato che in ragione del valore della causa (circa Euro 200.000) le somme liquidate (Euro 1000 per diritti e 2000 per onorari) erano senz’altro adeguate. Il motivo, peraltro, si presenta generico e non veicolato attraverso lo specifico riferimento ad alcuno dei vizi indicati nell’art. 360 c.p.c..

5. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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