Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10321 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 20/04/2021), n.10321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOVIK ADET Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 27749 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Amministrazione giudiziaria della Icop s.r.l., in persona dei suoi

amministratori giudiziari, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Salvatore Rijli, in forza

di provvedimento autorizzativo del G.D. del 31.10.2014,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Bruno

Chiarantano, in Roma, Borgo Pio n. 160;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, n.

145/05/13, depositata in data 23 ottobre 2013, non notificata:

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 145/05/13, depositata in data 23 ottobre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio-Calabria, previa riunione, rigettava l’appello proposto da Icop s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio nei confronti della detta società avverso la sentenza n. 194/02/2010, della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. 81703A300565 con il quale, previo p.v.c. della G.d.F., l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, per l’anno 2005, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Irpeg, Irap e Iva e l’indebita deduzione di costi, ai fini delle imposte dirette e detrazione ai fini Iva;

– in punto di fatto, per quanto di interesse, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c. della G.d.F., con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), l’Ufficio aveva ripreso a tassazione, per il 2005, ai fini Irpeg, Irap e Iva, maggiori ricavi, erroneamente riportati nell’esercizio 2006, pur afferendo al 2005, in violazione del principio di competenza temporale, nonchè costi indebitamente dedotti e detratti ai fini Iva, sostenuti per somministrazione di pasti, acquisto di carburanti e lubrificanti, polizze assicurative riguardanti mezzi aziendali; 2) avverso il suddetto avviso di accertamento la contribuente aveva proposto ricorso alla CTP di Reggio- Calabria che, con sentenza n. 194/2/10, l’aveva accolto parzialmente quanto alla deducibilità dei costi relativi all’acquisto di carburanti, vitto per gli operai e polizze assicurative, confermando per il resto l’atto impositivo; 3) avverso la sentenza di primo grado avevano proposto separati appelli la società contribuente e l’Agenzia;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) era legittima la ripresa relativa ai maggiori ricavi non dichiarati in quanto il fatto fiscale era avvenuto nel 2003 (rectius 2005), ancorchè fosse stato contabilizzato nel 2004 (rectius 2006), con la conseguenza che, in applicazione del principio della competenza di esercizio, il relativo reddito andava imputato all’esercizio 2003 (rectius 2005) e non al 2004 (rectius 2006); 2) il costo sostenuto per l’acquisto di carburanti/lubrificanti era stato legittimamente dedotto in quanto, nella specie, ricorreva la deroga alla necessaria annotazione degli acquisti sulla scheda carburanti, di cui al D.M. del Ministro delle finanze n. 205 del 1998, essendo da escludere, in base alla documentazione prodotta, l’acquisto del carburante presso gli impianti di distribuzione e, comunque, la sua destinazione all’autotrazione; 3) erano indeducibili, per il 2005, i costi per le polizze assicurative, non rinvenendosi contratti assicurativi stipulati in tale annualità di esercizio, bensì tutte polizze stipulate nel 2004; 4) erano indeducibili i costi per il vitto degli operai in quanto dalle fatture prodotte non si evinceva il requisito della inerenza, stante la disomogeneità per numero di pasti, per ristoranti utilizzati, per discontinuità temporale, per mancanza di collegamento territoriale rispetto all’attività di impresa, non risultando che nel medesimo territorio in cui era ubicato il ristorante la società avesse lavori in corso;

– avverso la sentenza della CTR, la Amministrazione giudiziaria della Icop s.r.l. ha proposto ricorso principale per cassazione affidato a quattro motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate, spiegando ricorso incidentale articolato in un motivo;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, per avere la CTR – confermando sul punto la decisione di primo grado – nel ritenere legittima la ripresa a tassazione dei maggiori ricavi asseritamente non contabilizzati nel 2005, violato l’eccepito divieto di doppia imposizione, essendo stati i lavori – relativamente ai quali erano stati accertati ricavi pari a Euro 256.030,00 – già tassati in forza della loro inclusione, per un importo equivalente, nelle rimanenze finali al 31.12.2005;

– il motivo è infondato;

– dalla sentenza impugnata si evince che la CTR ha ritenuto di confermare la ripresa relativa ai maggiori ricavi (pari a Euro 256.030,00) in quanto, essendo pacifico in atti che il “fatto fiscale” (esecuzione di lavori) si fosse realizzato nel 2005, il relativo reddito andava imputato a tale esercizio e non già contabilizzato, come era avvenuto, nel 2006; con ciò facendo corretta applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui: “In tema di determinazione dei redditi di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), comma 1, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell’esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purchè l’esistenza o l’ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quello del contribuente.” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 28671 del 09/11/2018);

secondo consolidato principio, che occorre in questa sede ribadire, in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dal TUIR, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza”, nè essendone ammessa l’imputazione in misura superiore a quella prevista per ciascun esercizio. Il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può, pertanto, trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. 17/12/2013, n. 28159; Cass. 28/07/2006, n. 17195); nè l’applicazione di detto criterio implica di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (Cass. n. 11646 del 2017; id. n. 16349 del 2014) (cfr. Cass. 27/02/2015, n. 4023; Cass. 17/07/2014, n. 16349; Cass. 18/12/2009, n. 26665);

-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR omesso di considerare che-come eccepito nei gradi di merito dalla contribuente- non soltanto i contestati ricavi erano stati dichiarati nell’annualità successiva, ma gli stessi erano stati assoggettati ad imposizione diretta (nell’anno di competenza) mediante la valorizzazione dei ricavi nelle rimanenze finali al 31.12.2005;

– il rigetto del primo motivo, stante la inderogabilità delle regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dal t.u.i.r., art. 75 (ora art. 109) rende privo di rilevanza il secondo motivo; in ogni caso la censura, non investe l’omesso esame di un “fatto storico” principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), che, in ossequio nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare, in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 23 ottobre 2013);

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, con riferimento alla dedotta doppia imposizione per effetto della avvenuta inclusione tra le rimanenze finali dei lavori ultimati nel 2005 nell’importo corrispondente ai maggiori ricavi accertati;

– il motivo è infondato;

– va premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie, la CTR – dopo avere richiamato i motivi di appello della contribuente – di cui il primo concernente l’assunto difetto di motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla ritenuta legittimità della ripresa relativa alla omessa contabilizzazione di elementi positivi di reddito e il secondo relativo alla dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, per c.d. doppia imposizione, per essere stati i lavori contestati inclusi nelle rimanenze finali del 2003 li ha espressamente dichiarati entrambi infondati, avendo la CTP, con una motivazione congrua e sufficiente, confermato il rilievo dell’Ufficio relativo all’imputazione temporale dei ricavi, in applicazione del principio della competenza economica; con ciò significando che l’applicazione di tale principio non implicasse di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR – nel ritenere indeducibili i costi relativi al vitto dei dipendenti e alle polizze assicurative- omesso di considerare fatti circostanziati e documentati circa le polizze assicurative dei mezzi aziendali poste in essere dal 2003 in poi nonchè circa la ricorrenza dei pasti giornalieri, (che, invece, per l’annualità 2004, dal medesimo collegio, nella stessa udienza, erano stati valutati con conseguente riconoscimento della legittima deduzione dei relativi costi);

– il motivo è inammissibile;

– il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis nella specie, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte; in particolare, la CTR, con una valutazione in fatto insindacabile in sede di legittimità, ha, con riguardo ai costi relativi alle polizze assicurative dei mezzi aziendali, accertato che tali contratti non fossero stati stipulati nell’anno di esercizio in questione (ma tutti nel 2004) e, con riguardo ai costi relativi al “vitto dei dipendenti” che le fatture prodotte – per disomogeneità, sia con riguardo al numero dei pasti, sempre variabile, che ai ristoranti utilizzati, spesso o quasi sempre diversi, per discontinuità temporale, e per mancanza di collegamento territoriale rispetto all’attività di impresa (non risultando che, nel medesimo territorio, in cui era ubicato il ristorante la società avesse in corso dei lavori) – non fossero idonee a dimostrare la inerenza delle dette spese all’attività di impresa della contribuente; ciò peraltro, in conformità al condivisibile indirizzo di questa Corte secondo cui “In tema di redditi di impresa, la deducibilità dei costi inerenti all’attività di impresa va apprezzata secondo un giudizio di tipo qualitativo, con la conseguenza non rilevano valutazioni in termini di utilità o di vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e neppure in termini di congruità del costo” (Cass. Sez. 5, Ord. n. 22938 del 26/09/2018; Sez. 5, Ord. n. 450 del 11/01/2018; Sez. 5, Ord. n. 29404 del 13/11/2019);

– con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1, in combinato con il D.M. n. 205 del 1998 e con l’art. 2697 c.c., per avere la CTR, nel riconoscere legittimamente deducibili, per il 2003, i costi relativi all’acquisto di carburante/lubrificanti, violato il D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1 – che condiziona la deducibilità dei costi del carburante alla indicazione dei chilometri percorsi nella scheda carburante -, senza che, nella specie, ricorressero i presupposti per l’applicabilità della deroga di cui al D.M. n. 205 del 1998, fondando la decisione sulla base di alcune fatture non identificanti gli automezzi utilizzati per quella fornitura ma solo la quantità della stessa;

– il motivo è inammissibile;

– premesso che la disciplina di cui al D.P.R. n. 444 del 1997, circa la necessaria tenuta delle c.d. schede carburante interessa gli acquisti di carburanti per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione dai soggetti I.V.A. nell’esercizio di impresa, arte o professione, il D.M. del Ministro delle finanze 12 agosto 1998, n. 205, prevede che sono esclusi dalla disciplina della scheda carburanti, “gli acquisti dei suddetti prodotti non effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione ovvero effettuati presso gli stessi impianti ma non destinati all’autotrazione (ad esempio i motori fissi) o dei quali tale destinazione non possa essere constatata all’atto dell’acquisto”;

nella specie, il motivo, pur prospettando una violazione del D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1, in combinato con il D.M. n. 205 del 1998, e con l’art. 2697 c.c., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che dalla documentazione in atti (fatture di acquisto di un “serbatoio DT050”, della capacità di 5.000 litri, con funzione di “Distributore mobile”, di una “pistola automatica bassa portata”, di altro “serbatoio TT300-4K-12V”, corredato di gruppo erogatore e pistola di erogazione automatica) si evinceva che, proprio per la disponibilità di un serbatoio molto capiente, il carburante non venisse acquistato presso gli impianti di distribuzione e che, anche se acquistato presso gli impianti di distribuzione, esso fosse “stoccato” dentro questo serbatoio, con impossibilità di constatare, al momento dell’acquisto, la destinazione del carburante all’autotrazione; il giudice di appello ha ritenuto tale conclusione confortata dall’ulteriore produzione documentale di fatture di acquisto di carburante, che, per l’entità dello stesso (da 3000 litri in su), inducevano logicamente ad escluderne l’acquisto presso gli impianti di distribuzione e a ritenerne il diretto inserimento nell’automotrice o nell’automezzo; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961);

– in conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale;

– in considerazione della reciproca soccombenza, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

 

 

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