Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10321 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10321 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 19411-2008 proposto da:
STIVANELLO GIORGIO STVGRG55S22C964G, elettivamente
domiciliato in ROMA, V.COLA DI RIENZO 190, presso lo
studio dell’avvocato SCHILIRO’ ANTONIO, rappresentato
e difeso dall’avvocato BERTI PAOLO giusta procura
speciale a margine;
– ricorrente contro

BORA SYSTEM SRL 00631550936 in persona del legale
rappresentante amministratore Sig.ra TIZIANA DA RE,
elettivamente domiciliata in ROMA, LUNG.RE ARNALDO DA

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Data pubblicazione: 13/05/2014

BRESCIA 9, presso lo ‘studio dell’avvocato ARTURO
LEONE, che la rappresenta e difende unitamente agli
avvocati MERLO NEREO, TERZIARI GABRIELLA giusta
mandato a margine;
– controricorrente –

di VENEZIA, depositata il 15/02/2008, R.G.N.
2549/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato SALVATORE LA MARCA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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avverso la sentenza n. 202/2008 della CORTE D’APPELLO

I FATTI

Giorgio Stivanello propose opposizione al decreto ingiuntivo
emesso nei suoi confronti dal Pretore di Bassano del Grappa, su
ricorso della s.r.l. Bora System, per una somma pari a circa 37
milioni di lire, da lui dovute alla società opposta in

garantito da una clausola penale.
Il giudice dell’opposizione

confermò il decreto, riducendo,

peraltro, l’importo riconosciuto alla Bora System a titolo di
penale in sede monitoria.
L’impugnazione proposta dall’opponente fu rigettata dalla Corte
di appello di Venezia salvo che per il capo di sentenza di prime
cure che aveva riconosciuto come dovuti gli interessi
convenzionali del 30% previsti in contratto sulla somma di cui
alla condanna.
La sentenza della Corte territoriale è stata impugnata da
Giorgio Stivanello con ricorso per cassazione sorretto da 4
motivi di censura.
Resiste la società Bora System con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso non merita accoglimento.
Con il primo motivo,

si denuncia violazione o falsa applicazione

degli artt. 345 c.p.c., 1469 bis ss. c.c., 4 D.lgs. 50/1992, in
relazione all’art. 360 comma l n. 3 c.p.c., per avere la Corte
di appello di Venezia ritenuto inammissibile l’indicazione in
sede di gravame della normativa prevista per contratti conclusi

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conseguenza dell’inadempimento di un contratto di fornitura

tra professionista e consumatore fuori dei locali commerciali
quale fondamento dell’invocato recesso.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ex art 366 bis c.p.c. applicabile

ratione temporis,

essendo stata la sentenza d’appello depositata nel vigore del

Dica la Corte se, alla luce degli artt. 345 c.p.c., 1469 bis ss.
c.c. (applicabili ratione temporis), nonché 4-10 D.lgs. 50/1992,
sia inammissibile indicare solo in sede di gravame le norme (nel
caso di specie relative alla normativa consumieristica) poste a
fondamento della tutela (recesso) invocata sia nel corso del
secondo grado che del primo di giudizio, pur senza la
specificazione in quest’ultima sede delle norme su cui si
fondava, qualora sia allegato ai documenti di causa il contratto
oggetto della controversia e su esso si siano fondate in via
esclusiva le difese.
Il motivo è inammissibile.
Al di là della sua patente infondatezza nel merito – avendo la
Corte territoriale, nella specie, fatto buon governo dei
principi di diritto vivente (e dei, conseguenti, rigorosi
limiti) posti a presidio dell’eventuale ingresso di un
ammissibile ius novorum in appello -, la doglianza in esame si
limita a censurare il solo aspetto processuale del

decisum del

giudice di merito (inammissibilità della questione posta in tema
di tutela del consumatore per violazione del divieto di mutatio
libelli,

e in particolare della

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causa petendi,

in sede di

D.lgs. 40/2006):

giudizio di secondo grado), omettendo del tutto di considerare
l’aspetto sostanziale della decisione, e cioè quello
(sinteticamente quanto esaustivamente esposto al folio 6 della
sentenza impugnata) della assoluta impredicabilità, in capo alla
Stivanello, della qualità di consumatore, risultandone, di
ex actis,

la qualifica di titolare di un’impresa

regolarmente iscritta alla Camera di Commercio.
L’omessa censura di tale, ulteriore

ratio decidendi

rende,

pertanto, il motivo irredimibilmente inammissibile.
Con il secondo motivo,

si denuncia

violazione o falsa

applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1460 bis ss. c.c., 4-10
D.lgs. 50/1992 in relazione all’art. 360 comma 1 n. e c.p.c.,
per non avere la Corte di appello di Venezia applicato d’ufficio
la normativa prevista per contratti conclusi tra professionista
e consumatore fuori dal locali commerciali.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
Dica la Corte se alla luce degli artt. 345 c.p.c., 1469 bis ss.
c.c. (applicabili ratione temporis), nonché 4-10 D.lgs. 50/1992,
il giudice del gravame possa applicare di ufficio una
determinata normativa che, di tale applicabilità officiosa goda
(nel caso di specie, quella consumi eristica), anche ove sia
espressamente invocata solo in appello, qualora sia allegato ai
documenti di causa il contratto tra professionista e consumatore
oggetto della controversia e il consumatore su esso abbia
fondato integralmente le sue difese.

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converso,

Il secondo motivo è inammissibile, al pari del primo, per le
medesime ragioni esposte in sede di scrutinio della precedente
censura.
Con il terzo motivo,

si denuncia

omessa o insufficiente

motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio

Corte di appello omesso di motivare e/o motivato in modo
insufficiente e contraddittorio la ritenuta mancanza di prova in
capo a Stivanello Giorgio del contestato status di consumatore.
Il motivo, al di là della sua già evidenziata infondatezza nel
merito, è inammissibile in rito.
In tema di denuncia di vizi motivazionali, va in questa sede
rammentato quanto più volte affermato da questo giudice di
legittimità sul tema della sintesi necessaria per il relativo
esame, tema affrontato dalle stesse sezioni unite di questa
Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu. 20603/07)
l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto
controverso” in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione: si è così affermato che la relativa
censura deve contenere

un momento di sintesi omologo del

quesito di diritto (cd. “quesito di fatto) – che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità.

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in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., per avere la

Tale momento di sintesi, nella specie, risulta del tutto omesso,
in aperta violazione della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c.
Con il quarto motivo,

si denuncia, infine,

omessa o

insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per
il giudizio in relazione all’art. 360 comma l n. 5 c.p.c. per

motivato in modo insufficiente e contraddittorio l’iter logicogiuridico che ha condotto a ritenere equa la riduzione della
penale alla misura del 67% del corrispettivo contrattuale, non
indicando da quali elementi abbia tratto il convincimento sul
fatto contestato e decisivo che Bora System abbia compiuto atti
di concreto approvvigionamento del materiale oggetto del
contratto.
La censura è corredata dalla seguente indicazione del fatto
controverso:
La

motivazione

addotta

dalla

Corte

è

palesemente

contraddittoria, essendo palesemente incompatibili con le
emergenze processuali le valutazioni che la Corte era chiamata a
svolgere riguardo l’effettiva incidenza dell’inadempimento
sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione
contrattuale, così come normativamente sancito dall’art. 1384

La doglianza non può essere accolta.
Essa appare, difatti, irrimediabilmente destinata ad infrangersi
sul corretto e condivisibile impianto motivazionale adottato dal
giudice d’appello, a conferma della già disposta riduzione in

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avere la Corte di appello di Venezia omesso di motivare e/o

prime cure (motivazione nella quale si evidenzia, con assoluta
correttezza logico-giuridica, la assoluta infondatezza della
pretesa, da parte del ricorrente, di sciogliere un contratto che
aveva comportato attività organizzative e di approvvigionamento,
in violazione del principio dell’affidamento e della buona

sotto la veste di un decisivo difetto di motivazione, la censura
in esame si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto
inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze
come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente,
difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della
sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 5
c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle
risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite
dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza
censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle
risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse
– ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un
apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di
merito il quale, nel porre a fondamento del proprio
convincimento e della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione
circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola

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fede), dacché, nel suo complesso, pur formalmente abbigliata

risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione
difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per
cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun
modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere
di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di

della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta
l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando
le prove (e la relativa significazione), controllandone la
logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra
esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in
discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente
previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente,
nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente
motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente
(perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e
funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte
una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai
cristallizzate

quoad effectum)

sì come emerse nel corso dei

precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad
una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un
nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale
ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai
cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto
l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella

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converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e

ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse
dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate
al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri

desiderata -,

quasi che nuove istanze di fungibilità

nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora

Il ricorso è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi euro 2700, di cui 200 per spese.
Così deciso in Roma, li 6.2.2014

legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

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