Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10320 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. II, 29/05/2020, (ud. 07/05/2019, dep. 29/05/2020), n.10320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17143/2015 proposto da:

FORNI F. DI F.A. & C SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO CALGARO;

– ricorrente –

contro

A.L. Titolare omonima Ditta, elettivamente domiciliato in

BARI, VIA ABBRESCIA FRANCESCO SAVERIO 64, presso lo studio

dell’avvocato IVANA CARSO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1126/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/05/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Vicenza, sezione distaccata di Schio, a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da A.L., titolare della omonima ditta, nei confronti della società Forni F. s.n.c. di F.A. & C., revocò detto decreto, rilevando che la pretesa monitoria era fondata su di un contratto di compravendita, avente ad oggetto un forno per la cottura del pane, la cui firma era stata disconosciuta, e che inoltre la documentazione prodotta non provava la consegna della merce, mancando la sottoscrizione del destinatario della stessa.

2.- Sul gravame della Forni F., la Corte d’appello di Venezia confermò la decisione di primo grado. Con riguardo al motivo di appello relativo alla denunciata tardività del disconoscimento della sottoscrizione apposta al contratto di vendita della merce, il giudice di secondo grado condivise l’argomentazione del Tribunale secondo la quale alla prima udienza successiva alla produzione del documento di cui si tratta era stata dedotta la illeggibilità della firma apposta in calce al contratto di acquisto e la sua non corrispondenza a quella in calce al mandato. Detto disconoscimento era stato poi ribadito in termini ancora più espliciti nella memoria ex art. 180 c.p.c.. Dunque, ai sensi dell’art. 216 c.p.c., la parte che aveva prodotto la scrittura avrebbe dovuto chiederne la verificazione, in mancanza della quale correttamente, secondo la Corte, il Tribunale aveva ritenuto non provata la domanda.

Quanto alla inutilizzabilità, ritenuta dal primo giudice, del documento di trasporto prodotto in copia e contestato dalla ditta A. sotto il profilo della sua conformità all’originale, la Corte ritenne corretta tale conclusione per effetto della mancata produzione dell’originale e di elementi idonei ad attestare la conformità allo stesso del documento prodotto.

Infine, con riguardo alla denunciata violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, in relazione all’art. 91 c.p.c., osservò il giudice di seconde cure che il pagamento dell’IVA sulle competenze del professionista costituisce una voce accessoria rispetto al corrispettivo dovuto.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Forni F. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso A.L., che ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 215 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c.. Avrebbe errato la Corte di merito nel rigettare il motivo di appello nei confronti della decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto tempestivo il disconoscimento da parte dell’ A. della sua sottoscrizione del contratto di acquisto de quo, nonostante la relativa eccezione fosse stata formalizzata nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla Forni F. solo con la memoria ex art. 180 c.p.c.. Secondo la ricorrente, infatti, non equivaleva ad un disconoscimento la dichiarazione del procuratore dell’ A. resa nel corso della prima udienza successiva al deposito in cancelleria dei documenti. La eccezione di tardività del disconoscimento era stata, invece, rigettata dal Tribunale per essere lo stesso avvenuto proprio alla prima udienza successiva alla produzione del documento, e successivamente riformulata, in termini più espliciti, nella memoria autorizzata ex art. 180 c.p.c.. Tale giudizio è stato confermato dalla Corte d’appello, che ha ravvisato in detta dichiarazione resa in udienza un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta. Secondo la ricorrente, tale decisione si porrebbe in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo la quale il disconoscimento della firma deve essere specifico e non equivoco (v. Cass., sent. n. 4661 del 2002), mentre, nella specie, il procuratore di A., alla prima udienza, aveva dichiarato di non conoscere la firma, che è ipotesi diversa dal disconoscimento.

2.- La censura è infondata.

La Corte di merito non ha affatto obliterato i principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità che l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, vada assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia (v., tra le altre, Cass., sent. n. 5461 del 2006). Al contrario, il giudice di secondo grado ha confermato il convincimento del Tribunale circa l’avvenuto assolvimento nella specie di siffatto onere da parte dell’ A.. E, a suffragare tale valutazione, ha riportato testualmente la dichiarazione resa dal procuratore dello stesso alla prima udienza successiva alla produzione del documento di cui si tratta, del seguente tenore:”…in particolare come la firma in calce al contratto di acquisto sia illeggibile e non corrisponda in alcun modo a quella in calce al mandato”. Plausibilmente la Corte territoriale, così come aveva già fatto il primo giudice, ha rilevato che le richiamate espressioni non potevano che essere intese come negazione dell’autenticità della sottoscrizione.

Ha poi aggiunto che la dichiarazione riportata era stata ulteriormente lumeggiata con la memoria ex art. 180 c.p.c..

Ne consegue che la decisione impugnata è stata adottata nel pieno rispetto dei principi di diritto enunciati da questa Corte in subiecta materia.

Non è, peraltro, superfluo ricordare che Forno F. s.n.c., a seguito del disconoscimento, si astenne dal chiedere la verificazione ai sensi dell’art. 216 c.p.c..

3.- Con il secondo mezzo si deduce violazione dell’art. 2729, in relazione all’art. 2697 c.c.. Viene contestata la statuizione della Corte territoriale nella parte in cui ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto non provata la conclusione del contratto de quo e la fornitura del forno, sia per la irrilevanza della deposizione testimoniale, considerata generica con riferimento alla conclusione del contratto, sia per la inutilizzabilità del documento di trasporto prodotto in copia e contestato da A. sotto il profilo della sua conformità all’originale (per le ragioni esposte sub 2). Si rileva in proposito che agli atti esisteva sia la prova testimoniale, sia quella per presunzione della conclusione del contratto e della spedizione del forno da Forni F. all’ A..

4.- La censura merita accoglimento.

Fermo restando che nell’ambito del potere di valutazione delle prove, è rimesso esclusivamente al giudice del merito di attribuire o meno carattere presuntivo ad una circostanza, ove detto carattere venga ravvisato in relazione ad una pluralità di fatti, il giudice non può limitarsi ad una separata analisi di ciascuno – che si risolverebbe in una essenziale lacuna del procedimento logico – ma deve coordinarli e valutarli con una visione critica e sintetica nel loro insieme, all’esito della quale può essere affermata ovvero negata la gravità, la precisione e la concordanza degli elementi presuntivi (v. Cass., sent. n. 11767 del 1998).

Nella specie, la ricorrente aveva indicato una serie di elementi (prova orale e documenti), che, a suo avviso, corroboravano la fondatezza della sua domanda. In particolare, si fa riferimento alla deposizione testimoniale di P.F., che aveva dichiarato che l’ A. gli aveva chiesto di acquistare un forno, che egli stesso aveva condotto la trattativa ed aveva inviato all’acquirente via fax il contratto, poi restituito sempre a mezzo fax, anche se il teste aveva dichiarato di non ricordare se fosse stato restituito sottoscritto; nonchè alla documentazione in atti, tra cui lo stesso contratto – la cui sottoscrizione, peraltro, è stata disconosciuta dall’appellato -, oltre alla lettera del 29 maggio 2002, con la quale il procuratore dell’ A. rispondeva alla richiesta del legale di Forno F. non contestando la fornitura, ma chiedendo la compensazione del prezzo della fornitura con propri asseriti crediti verso la stessa Forno F.; infine, al documento di trasporto, anch’esso disconosciuto quanto alla sottoscrizione. A tale ultimo riguardo sostiene la ricorrente che detto documento era stato, come d’uso, sottoscritto dall’autista.

La Corte di merito avrebbe dovuto valutare complessivamente, onde apprezzarne la gravità, concordanza e precisione al fine di ritenere eventualmente raggiunta la prova per presunzioni della avvenuta stipulazione del contratto e della avvenuta consegna del forno, le risultanze istruttorie focalizzate dalla appellante, con riferimento alla deposizione del teste P., alla circostanza della sottoscrizione del documento di trasporto da parte dell’autista (donde il disconoscimento della sottoscrizione da parte dell’ A.), ed alla lettera del 29 maggio 2002, contenente la eccezione di estinzione del debito di quest’ultimo per compensazione, che – osserva la ricorrente – equivale a tutt’altro che all’affermazione della inesistenza del debito, come ritenuto dalla Corte.

Deve, in proposito, rilevarsi che, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti (o, deve ritenersi, nell’ipotesi inversa), il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (cfr. Cass., sent. n. 19485 del 2017).

5.- Resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo l’esame del terzo, con il quale si denuncia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, in relazione all’art. 91 c.p.c., per avere la Corte territoriale rigettato il motivo di appello con il quale si era lamentato che il giudice di primo grado avesse condannato la Forni F. a rifondere all’ A. anche l’IVA sulle spese processuali liquidate in sentenza.

6.-Conclusivamente, deve essere accolto il secondo motivo, rigettato il primo, assorbito il terzo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia – cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che la riesaminerà alla luce dei principi di diritto enunciati sub 4.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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