Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10318 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 29/05/2020), n.10318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1643-2019 proposto da:

FORIO MARE SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ELENA FORTUNA,

SILVIO TRANI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FORIO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI MEGLIO;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5093/21/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente impugnava la cartella di pagamento relativo alla TARI 2014;

la Commissione Tributaria Provinciale dichiarava inammissibile il ricorso della parte contribuente per difetto della prova della notifica;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della parte contribuente ritenendo che la mancata deduzione di un concreto nocumento da parte della ricorrente non consente di dichiarare la nullità della cartella per la mancata indicazione del responsabile del procedimento;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre il comune di Forio d’Ischia si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, come convertito in L. n. 31 del 2008, per l’assenza dell’indicazione del responsabile del procedimento, che determinerebbe la nullità della cartella;

considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 15 e 23, del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, e del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 8, lamentando di essere stato condannato alle spese anche a favore del concessionario nonostante sia giuridicamente inesistente la costituzione in giudizio del concessionario mediante avvocato del libero foro, ossia senza avvalersi dell’Avvocatura;

considerato che il primo motivo di ricorso è infondato perchè secondo questa Corte, lo Statuto del contribuente, art. 10, proprio secondo cui “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, va interpretato alla luce dei principi espressi dall’art. 3 Cost. (ragionevolezza), nonchè alla luce del principio di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 Cost. che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009): pertanto la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica: il contribuente non ha infatti prospettato le ragioni per le quali l’ipotetica omessa indicazione del responsabile del procedimento avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo (Cass. n. 11052 del 2018), nè – sempre in palese violazione del principio di buona fede – ha spiegato perchè la figura del responsabile del procedimento di emissione e notificazione della cartella (che lo stesso ricorrente ammette essere stato indicato nella cartella) dovrebbe essere diverso dal responsabile del procedimento e neppure ha dedotto di averlo vanamente interpellato;

considerato, quanto al secondo motivo, che in tema di ricorso per cassazione, qualora – come nel caso di specie siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. n. 20694 del 2018): tale motivo pertanto difetta dei requisiti minimi di autosufficienza, perchè non riporta la relativa parte d’interesse della sentenza della CTP nè i motivi d’appello riguardanti tale aspetto, così che non può escludersi che si sia formato un giudicato interno relativo alla statuizione della sentenza di primo grado quanto alla condanna alle spese nei confronti del concessionario (Cass. n. 7499 del 2019, secondo cui, in tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, la Cassazione non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa, purchè il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile “ex officio”);

ritenuto pertanto infondato il primo motivo di impugnazione e inammissibile il secondo, il ricorso va rigettato; la condanna alle spese segue la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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