Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10318 del 26/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 26/04/2017, (ud. 15/12/2016, dep.26/04/2017),n. 10318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29109-2014 proposto da:

S.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

SILVESTRI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RUSSOTTFINANCE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CARLO DEL GRECO 59 – OSTIA, presso lo studio dell’avvocato DORA LA

MOTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE TOMMASINI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1920/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 04/12/2013 R.G.N. 1861/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. CURCIO LAURA;

udito l’Avvocato FRANCESCO SILVESTRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il ricorso di primo grado S.M., premesso di

aver lavorato come vice direttore e poi come direttore presso un Hotel

di proprietà della società odierna controricorrente fino al

licenziamento intimatogli il (OMISSIS), aveva chiesto la condanna della

datrice di lavoro al risarcimento danni per il licenziamento, ritenuto

illegittimo, nonchè al pagamento del compenso per lavoro straordinario,

svolto in maniera molto significativa, oltre ad altre voci contrattuali

non pagate.

Il Tribunale di Messina, respinta la domanda di risarcimento

danni per il licenziamento, in assenza di una deduzione del fatto

ingiusto ulteriore rispetto all’illegittimità del recesso, accoglieva

invece la domanda di condanna al pagamento del compenso straordinario,

ritenendo che la società non avesse contestato l’applicazione del ccnl

del settore in punto di compenso per straordinario, nonostante la

qualifica direttiva dello S., appartenente al personale che il R.D.L. n. 692 del 1923, art. 3 esclude dalla limitazione di orario giornaliero e settimanale.

La corte d’Appello di Messina ha riformato parzialmente la

sentenza ritenendo invece che non poteva applicarsi allo S. alcuna

limitazione di orario, non essendo stato dallo stesso provato in causa

attraverso le testimonianze raccolte che nell’orario giornaliero

effettuato oltre le normali otto ore e per altre cinque ore aggiuntive,

egli avesse effettivamente svolto con continuità e senza sosta

l’attività lavorativa. Secondo la Corte quindi lo S. non aveva

provato il superamento di un limite di ragionevolezza ed una prestazione

particolarmente gravosa. La corte ha poi confermato la sentenza di

primo grado con riferimento al rigetto della domanda risarcitoria

collegata al licenziamento.

S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Ha

resistito la società con controricorso. Entrambe le parti hanno

depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 345

c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la

corte accolto la tardiva accezione, svolta solo in grado di appello da

Russottfinance spa, di inesistenza di un limite all’ orario

contrattuale.

Secondo il ricorrente la società in primo grado aveva soltanto

eccepito che egli aveva rivestito la qualifica di quadro B fino al ‘99 e

poi di quadro A fino all’ottobre 2004 e che tali figure di cui all’art.

178 del CCNL erano escluse dalle limitazioni di orario, come stabilito

dal R.D. n. 692 del 1923, art. 1, comma 2. Secondo il ricorrente poichè

la sentenza di primo grado aveva ritenuto non contestata l’applicazione,

anche al personale direttivo, della disciplina contrattuale sull’orario

di lavoro, non avendo contestato in modo specifico tale circostanza,

tardiva era l’eccezione svolta dalla società in grado di appello,

laddove aveva fatto riferimento all’art. 97 del ccnl, che espressamente

esclude le limitazioni di orario per il personale direttivo di cui il

R.D.L. n. 1955 del 1923, art. 3, tra cui il personale direttivo

amministrativo.

2) Con il secondo motivo di ricorso S. lamenta la

violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto

decisivo per il giudizio costituito dalla circostanza che in primo grado

la società aveva dato per scontato che al lavoratore si applicasse il

limite del normale orario di lavoro della contrattazione collettiva, in

quanto aveva sostenuto che tale limite non veniva superato se non nei

limiti in cui veniva retribuito con superminimo. Questa sarebbe stata un

affermazione da ricondurre all’ipotesi di non contestazione, come aveva

ritenuto il primo giudice.

3) Con il terzo motivo di gravame si lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. L. n. 692 del 1923, art. 1, dell’art. 2108 c.c., e dell’art. 36

Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, in quanto la qualifica

di quadro non comporterebbe l’esclusione della limitazione legislativa

sull’orario massimo normale di lavoro, espressamente prevista solo per

il personale dirigente, qualora la contrattazione collettiva non escluda

l’applicazione della citata normativa al il personale con qualifica di

quadro.

4) Con il quarto motivo e sotto diverso profilo il ricorrente

lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 80, 81, 178 e 179

del CCNL del settore con riferimento ai canoni di ermeneutica

contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss c.c.,

ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per non avere la corte

correttamente interpretato la contrattazione collettiva, laddove viene

specificato all’art. 69, ult. comma che le limitazioni di orario di cui

al R.D.L. n. 692 citato, art. 1,

in relazione al R.D. n. 1955 del 1923, art. 3, non si applicano ai capi

di agenzia, ai direttori tecnici ed amministrativi ecc…, “fatte salve

le condizioni di miglior favore” e che nella parte speciale del CCNL

del settore vi sarebbero appunto condizioni tali per cui la limitazione

di orario verrebbe applicata a tutto il personale, anche direttivo.

S. chiede che, in accoglimento del gravame, la Corte applichi l’art. 384 c.p.c., decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi.

Il ricorrente lamenta in sostanza che la Corte abbia errato nel

ritenere che allo S. non si applichi il limite dell’orario

giornaliero e settimanale previsto dal cml del settore alberghiero,

perchè tale eccezione sarebbe stata tardivamente sollevata solo in

secondo grado dalla società, mentre in primo grado la stessa avrebbe

dato per scontato tale applicazione e comunque perchè il CCNL all’art.

69, pur escludendo che le limitazioni dell’orario di lavoro non si

applicano al personale direttivo, fa salve le condizioni di miglior

favore.

I motivi sono inammissibili e in parte infondati.

La Corte d’Appello non ha accolto un’eccezione nuova che

sarebbe stata sollevata solo in sede di gravame dalla società, perchè

nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c., come rilevato dalla

stessa difesa del ricorrente, la società aveva già eccepito che allo

S., inquadrato come quadro sin dal 1999, con mansioni di direttore di

albergo, non si applicava la limitazione della durata massima normale

di lavoro prevista dal R.D.L. n. 692 del 1923, art. 1,

comma 2, e che, pertanto, nessun compenso per straordinario era dovuto,

ammesso che lo stesso fosse stato effettivamente svolto.

Tale affermazione integra un’eccezione sufficientemente chiara

per escludere, qualsivoglia mancata contestazione, da parte della

società, della deduzione attorea relativa all’applicazione della

limitazione di orario prevista dal ccnl del settore al rapporto di

lavoro del ricorrente.

Confermano simile giudizio anche le espressioni usate dalla

convenuta nella memoria di costituzione di primo grado della società,

trascritte a pagina 21 del presente ricorso, in cui la stessa precisa

che il superminimo ad personam assorbibile “comprendeva un di più che la

società aveva inteso riconoscere allo S. per ogni e qualsiasi

attività che il ricorrente avesse svolto… conseguenza di quanto detto è

che nessun importo per lavoro straordinario è dovuto al Sig. S.,

ritenuto che esso è escluso sia da precise disposizioni di legge, sia

dagli accordi contrattuali stipulati dalle parti”.

Peraltro deve rilevarsi che, in analoga fattispecie, questa

corte ha rilevato come “l’attribuzione di un compenso per lavoro

straordinario “forfettizzato”, in presenza di una normativa legale e

contrattuale che esclude determinate categorie di lavoratori

dall’applicazione della disciplina in tema di limitazioni dell’orario di

lavoro, non può assumere, per sè solo, il significato di un

riconoscimento, da parte del datore di lavoro, dell’esistenza di una

limitazione dell’orario normale, ma se mai, solo quello di un

trattamento più favorevole determinato e corrisposto dal datore di

lavoro al dipendente, al quale non si applica la disciplina delle

limitazioni dell’orario di lavoro, proprio in conseguenza degli

svantaggi eventualmente derivanti al lavoratore dalla suddetta

esclusione “. (cosi Cass. n. 21253/2013).

La non contestazione, del resto, scaturendo da una volontaria

non negazione del fatto della parte, deve essere inequivocabile, quindi

non può ritenersi sussistere in astratto qualora vi sia stata una

contestazione sia pure meramente generica e formale o comunque non

chiara, come nel caso in esame. Inoltre va osservato che l’accertamento

della sussistenza di una, sia pur generica, contestazione ovvero di una

non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della

parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e

dell’ampiezza dell’atto di parte, è funzione del giudice di merito,

sindacabile solo per vizio di motivazione (così Cass. 10182/2007).

E nel caso in esame il ricorrente non ha neanche correttamente

censurato tale vizio, essendosi limitato a trascrivere soltanto poche

righe della comparsa di costituzione dello S. in appello dalle

quali non si evince in cosa sia effettivamente consistita la “decisiva ”

ammissione della società secondo cui al dipendente si applicava il

limite di orario suddetto, nonostante la qualifica direttiva. Ne

consegue un chiaro difetto di autosufficienza del ricorso sul punto e

quindi l’inammissibilità del relativo motivo.

Egualmente privo di autosufficienza, pertanto inammissibile, è

il quarto motivo perchè non sono stati trascritti tutti gli articoli del

CCNL del 6 ottobre 1994 richiamato (ed in particolare gli artt. 80 ed

81, ma soltanto gli artt. 178 e 179), mentre il comma 3, dell’art. 69

trascritto espressamente precisa che le limitazioni di orario di lavoro

contenuto nel contratto non si applicano agli impiegati direttivi di cui

al R.D.L. n. 692 del 1923, “fatte salve le condizioni di miglior favore”.

La non completa trascrizione delle norme collettive indicate ed

al contempo la mancata produzione del contratto per esteso, con precisa

indicazione del numero di tale allegato nel fascicolo di parte, non

consentono di poter esaminare in maniera sistematica e completa tutte le

norme indicate, al fine di stabilire se il personale direttivo, escluso

dalla disciplina legale delle limitazioni dell’orario di lavoro, abbia

comunque diritto al compenso per lavoro straordinario in quanto la

disciplina collettiva delimita anche per detto personale l’orario

normale. Conseguentemente non può valutarsi la violazione del canone di

ermeneutica ai sensi degli artt. 1362 e ss c.c., che il ricorrente sostiene essere stata operata dalla Corte territoriale nell’ escludere le suddette limitazioni di orario.

5) Con il quinto motivo S. lamenta comunque la violazione

delle cd norme elastiche con riferimento alla valutazione del

superamento del limite della ragionevolezza nello svolgimento del lavoro

straordinario ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte avrebbe erroneamente ritenuto non superato il limite

della ragionevolezza sul presupposto che lo S. potesse usufruire

di pause e di riposi oltre che di un alloggio, mentre era stato provato

dalle testimonianze raccolte il fatto storico della permanenza sul posto

di lavoro dalle 9.30 sino alle 22.30, con orario continuato. Secondo il

ricorrente l’esame di tale fatto sarebbe indispensabile per precisare

il contenuto del “limite della ragionevolezza”della durata delle

prestazioni, spettando al giudice esercitare tale controllo in ogni

singola fattispecie.

Il motivo appare inammissibile e comunque è infondato.

La Corte messinese, facendo riferimento all’orientamento di questa corte (Cass. n. 3038/2011)

in tema di prestazione usurante svolta da personale direttivo escluso

dalla limitazione di orario, ha correttamente interpretato il criterio

di ragionevolezza alla luce della giurisprudenza richiamata ed ha quindi

motivato le ragioni per cui, nel caso in esame, non potesse ritenersi

provato lo svolgimento di un orario di lavoro giornaliero talmente

gravoso da superare il limite della ragionevolezza, così da rendere la

prestazione particolarmente usurante e gravosa, in violazione del

diritto alla salute. Ha infatti la Corte rilevato come non era stato

dedotto nulla circa lo svolgimento di particolari attività impegnative o

gravose, che normalmente caratterizzano le funzioni direttive e che per

contro risultava che il ricorrente potesse godere di pause e riposi,

usufruendo anche dell’alloggio e consumando in albergo i pasti. Ha

quindi rilevato la Corte che la sola circostanza della presenza sul

luogo di lavoro per cinque ore oltre le otto ore giornaliere non fosse

sufficiente per integrare quella gravosità: dell’orario usurante

necessaria per riconoscere un compenso straordinario, stante anche la

non vincolatività di tale orario.

Nel caso in esame più che norma elastica, il criterio di

ragionevolezza assume la figura di una cd clausola generale o, ancora

meglio, una sorta di principio elaborato dalla giurisprudenza come

meccanismo correttivo dello squilibrio contrattuale con riferimento al

lavoro usurante dell’ impiegato con funzioni direttive, escluso per

legge dalla limitazione di orario. Solo nel caso di norme elastiche il

compito del giudice di merito è quello di collegare la previsione

normativa astratta al caso concreto, facendo ricorso se necessario a

regole ricavabili anche da canoni di condotta espressi dalla

collettività o da principi deontologici dettati all’interno di

determinati sistemi. Solo in questo, cioè, l’attività interpretativa e

sussuntiva del giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità ai

sensi dell’art. 360 c.p.c.,

n. 3, qualora questi, esorbitando dal caso concreto, abbia espresso

valutazioni giuridiche palesemente erronee nell’individuare le clausole

generali richiamate dalla norma ed il loro significato, come avviene nel

caso dell’interpretazione dei concetti di giusta causa e giustificato

motivo oggettivo di licenziamento o nella applicazione delle clausole di

correttezza e di buona fede di cui alle norme contenute negli artt.

1175 e 1375 c.c.).

Nel caso in esame il ricorrente non ha lamentato a ben vedere

una tale violazione ma, nel censurare l’operazione interpretativa della

Corte, ha in realtà finito per censurare la motivazione del giudice di

merito, richiamando il contenuto di alcune prove testimoniali che

peraltro hanno solo riferito di un prolungamento dell’orario di lavoro

sino alle 22,30, così di fatto offrendo una diversa valutazione dei

fatti, operazione non consentita.

6) Con il sesto motivo di ricorso S. lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,

comma 4, per avere la corte omesso l’esame di un profilo della domanda

risarcitoria che riguardava l’accertamento dell’illegittimità del

licenziamento sull’errato presupposto che tale accertamento fosse

superfluo in assenza della domanda di reintegrazione e ciò facendo anche

in assenza di una specifica eccezione in tal senso della parte

convenuta in primo grado, appellante il secondo grado.

Secondo il ricorrente l’accertamento dell’illegittimità

comportava del plano l’ordine di reintegrazione, nella formulazione

della norma di cui all’art. 18 nella vecchia formulazione applicabile,

ratione temporis, al caso in esame, quindi anche in assenza di

un’esplicita domanda in tal senso.

Pertanto a suo dire, la richiesta risarcitoria era certamente

ammissibile e compatibile con l’omessa richiesta reintegratoria e

pertanto il modus operandi della corte determinava un evidente error in

procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il motivo ad avviso della corte è inammissibile.

Il ricorrente ha lamentato un error in procedendo consistente nella violazione dell’art. 112 c.p.c.,

per omessa pronuncia, facendo ricadere il vizio nella ipotesi di cui

all’art. 360, comma 1, n. 4, come nullità della sentenza. Tuttavia tale

fattispecie si verifica quando l’omessa pronunzia da parte del giudice

di merito integra un difetto di attività non già la violazione di una

norma di diritto sostanziale o un vizio di motivazione, quest’ultimo

riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nel caso in esame la corte territoriale si è pronunciata sulla

domanda, ma senza prendere in esame tutte le questioni giuridiche

sottoposte al suo esame nell’ambito della stessa. Ed infatti il

ricorrente in primo grado aveva chiesto dichiararsi illegittimo il

licenziamento e per l’effetto condannarsi la società al risarcimento del

danno, liquidato in una somma determinata in Euro 17345,00.

La Corte ha esaminato la domanda e, sia pure, senza prendere in

esame una delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame

nell’ambito di quella domanda, ha ritenuto che non vi era stato alcun

comportamento datoriale denunciato come fatto ingiusto ulteriore

rispetto al licenziamento e che la domanda risarcitoria era collegata

solo al licenziamento illegittimo, per il quale tuttavia lo S. non

aveva richiesto alcuna tutela, nè reale nè obbligatoria.

Pertanto nel caso in esame la Corte di merito non è incorsa nel vizio denunciato.

Del resto l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che

nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far

valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del motivo

(cfr Cass. 7268/2012, Cass. n. 21099/2013).

Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alla

rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00

per esborsi, Euro 3500,00 per compensi professionali, oltre spese

generali al 15% ed oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,

comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di

contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello

stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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