Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10318 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 10/05/2011), n.10318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18074-2009 proposto da:

S.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SALLUSTIANA 26, presso lo studio dell’avvocato IPPOLITO

GIULIO RAFFAELE, rappresentato e difeso dall’avvocato GILARDI

LORENZO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA ENTRATE CENTRALE ROMA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO NOVARA, MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 21/2008 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 09/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 9 giugno 2008 la commissione tributaria regionale di Torino ha rigettato l’appello di S.R. nei confronti dell’Agenzia delle entrate (confermando la decisione di primo grado che, rettificato un errore di calcolo dell’Ufficio nella determinazione dei ricavi d’impresa per l’anno 2000, aveva disatteso ogni altro rilievo). Ricorre per la cassazione di tale pronuncia il contribuente, adducendo un unico motivo al quale l’amministrazione resiste con controricorso.

Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia “violazione di legge per falsa applicazione del principio della tassazione del reddito effettivo in base alla capacità contributiva del soggetto passivo d’imposta (artt. 3 e 53 Cost.) e violazione dell’art. 39/600 e seguenti relativi alla determinazione del reddito dell’impresa”.

E’ del tutto preliminare il rilievo che il ricorso per cassazione è irrimediabilmente viziato dall’assoluta inosservanza dell’abrogato art. 366-bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 per le sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.) nella parte in cui prevedeva che, nei casi previsti dall’art. 360, n. 3 “l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”. Nel ricorso in esame, non solo manca del tutto la prescritta formulazione conclusiva, ma manca persino graficamente qualsivoglia riferimento ad un quesito di diritto vero e proprio.

E, infatti, inammissibile per violazione dell’art. 366-bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel. quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7258 del 26/03/2007).

Nè il quesito di diritto può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè, in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20409 del 24/07/2008).

Inoltre, il quesito di diritto va formulato anche quando la censura sia affidata ad un unico motivo, come nella specie, trattandosi di obbligo del tutto indipendente dal dato formale dell’unicità o pluralità di motivi, poichè in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ..

consiste proprio, come si è detto, nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa (Cass. Sez. U, n. 19444 del 10/09/2009).

Infine, quanto alla normativa applicabile al ricorso in esame, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto del comma quinto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima Legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi dell’art. 47 della citata L. n. 69 del 2009) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli, proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile (Cass. Sez.3, Ordinanza n. 7119 del 24/03/2010). Sul punto è stato escluso ogni dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 58 cit., comma 5 per contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore della novella (Cass. Sez. 50, n. 26364 del 16/12/2009).

Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1″.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite; considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta inammissibilità del ricorso con regolamentazione delle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000 per onorario oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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