Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10317 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10317 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 13689-2008 proposto da:
VALLICELLI CRISTINA, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio
dell’avvocato POTTINO GUIDO MARIA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato ZAULI CARLO giusta
delega a margine;
– ricorrente –

2014

contro

304

AUSL CESENA ;
– intimata –

avverso la sentenza n. 336/2008 della CORTE D’APPELLO

1

(9our

Data pubblicazione: 13/05/2014

di

BOLOGNA,

depositata

il

19/02/2008

R.G.N.

1922/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/02/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

2

udito l’Avvocato FABRIZIO GIZZI per delega;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 336 in data 19.02.2008, la Corte di appello
di Bologna ha rigettato l’appello proposto da Cristina
Vallicelli avverso la sentenza n. 809/2001 del Tribunale di
Forlì di rigetto della domanda proposta dall’appellante nei
confronti della Azienda USL di Cesena avente ad oggetto
risarcimento danni conseguenti ad un intervento di
interruzione volontaria di gravidanza che si assumeva non
correttamente eseguito.
La Corte di appello ha, innanzitutto, escluso che potessero
avere ingresso in appello istanze istruttorie che non erano
state coltivate nel primo grado del giudizio e neppure
reiterate in sede di precisazione delle conclusioni,
precisando, in ogni caso, che i capitoli di prova risultavano
inammissibilmente integrati da fatti nuovi; ha, quindi,
condiviso le argomentazioni svolte dal primo Giudice, secondo
cui, nel caso specifico, era da escludere qualsiasi
responsabilità dei sanitari anche a titolo di colpa lieve,
osservando che i consulenti avevano argomentato in maniera
convincente, sulla base della documentazione clinica
acquisita, che, in occasione del raschiamento subito dalla
Vallicelli nell’ottobre 1998, resosi necessario a seguito
delle metrorragie lamentate dalla stessa, non erano stati
riscontrati

«macroscopici residui ovulari, ma soltanto un

quadro riconducibile ad una endometrite post-abortiva»;

il che

conduceva ad escludere che i sanitari avessero eseguito
l’intervento di interruzione volontaria di gravidanza senza il
necessario scrupolo nella rimozione del materiale dalla cavità

3

uterina.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Cristina Vallicelli, svolgendo undici motivi, illustrati anche
da memoria.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte

MOTIVI DELLA DECISIONE

l. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di
cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per
effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006; si applica, in
particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., stante l’univoca
volontà del legislatore di assicurarne l’ultra-attività
multis,

(ex

cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), atteso che la

norma resta applicabile in virtù dell’art. 27, comma 2 del
cit. d. Lgs ai ricorsi per cassazione proposti avverso le
sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo
2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4
luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47,
comma l, lett- d), in forza della disciplina transitoria
dell’art. 58 di quest’ultima.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. anche in relazione
agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dei principi e delle
norme che disciplinano l’individuazione della domanda e la

4

intimata.

presunzione di rinuncia alle richieste istruttorie proposte in
primo grado e reiterate in appello. In particolare la
ricorrente si duole che la Corte di appello non abbia ritenuto
ammissibili le richieste di prova orale, sebbene queste
fossero state tempestivamente formulate nell’originaria

nel corso dell’istruttoria era stata richiesta la rinnovazione
della c.t.u., che all’udienza del 23.02.2001 si erano
ribadite le conclusioni già svolte «chiedendo l’accoglimento
di tutte le domande»,

che, infine, nella comparsa conclusione

si era insistito per la riapertura dell’istruttoria,
insistendo per il rinnovo della c.t.u. e

«occorrendo»

per

l’ammissione della prova orale. Il motivo si conclude con il
seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.:
«la mancata riproposizione nel foglio delle conclusioni delle
istanze istruttorie, formulate in modo completo

ed esaustivo

nell’atto introduttivo del giudizio e, comunque, ribadite in
comparsa conclusionale, configura un’ipotesi di presunzione di
rinuncia della parte all’espletamento di tali prove?».
1.2.

Il motivo è manifestamente infondato e, al pari del

quesito che lo correda, prescinde totalmente dall’impianto
motivazionale della sentenza impugnata, nel quale si rimarca
non solo il dato formale della mancata esplicitazione delle
richieste istruttorie nelle conclusioni definitive, ma anche
il

complessivo atteggiamento di disinteresse tenuto

dall’odierna ricorrente in ordine alla prova orale per tutto
il corso del giudizio di primo grado, per avere la stessa, sin
dalla prima udienza, sollecitato l’immediato espletamento

5

citazione e non fossero mai state rinunciate, dal momento che

della c.t.u. e trascurato anche nel successivo

iter

di

chiedere l’ammissione di altre istanze istruttorie.
Merita puntualizzare che i precedenti, richiamati da parte
ricorrente per escludere una presunzione di rinuncia alle
istanze istruttorie, si rivelano non pertinenti, perché
novella del 1990/1995

(come Cass. n. 2142 del 2000)
l’interpretazione delle conclusioni
decidendum.

ovvero

riguardanti

rassegnate sul

Invero questa Corte

è

ormai

thema

costante

nell’affermare che, in tema di nova in appello, occorre tenere
distinto il regime delle istanze istruttorie da quello delle
è

reso palese dalla

civ.,

che separatamente

domande ed eccezioni (come, del resto,
struttura dell’art. 345 cod. proc.

disciplina le une dalle altre), con la conseguenza che, mentre
per queste ultime, in quanto non riportate nelle conclusioni
rassegnate in prime cure, si ragiona in termini di mera
presunzione

(iuris tantum)

di rinuncia, per le istanze

istruttorie, non accolte in primo grado e reiterate con l’atto
di appello, viene costantemente predicato il principio che
esse devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni
indagine sulla volontà della parte interessata, così da
esonerare il giudice del gravame dalla valutazione sulla
relativa ammissione o dalla motivazione in ordine alla loro
mancata ammissione (cfr. Cass. 27 aprile 2011, n. 9410). Tale
distinzione si fonda, essenzialmente, sulla considerazione
che, in relazione al

thema decidendum emerge il potere-dovere

del giudice di merito, quale dominus della domanda giudiziale,
che qualifica e interpreta, mentre per le istanze istruttorie

6

riferiti a giudizi antecedenti alla

- in quanto strumentali alla pronuncia nel grado in cui sono
proposte – rileva il regime processuale previsto dal
legislatore attraverso preclusioni e decadenze (sempre di più
a partire dalla riforma del 1990); derivandone, di
conseguenza, che non è possibile estendere alle seconde un

oggettivata nella formulazione delle istanze istruttorie.
In questa direzione, nella vigenza delle norme del processo
civile riformato nel 1990, la giurisprudenza di legittimità ha
costantemente predicato il principio per il quale avverso le
ordinanze emesse dal giudice, di ammissione o di rigetto delle
prove, rispetto alle quali non è più previsto il reclamo, le
richieste di modifica o di revoca devono essere reiterate in
sede di precisazione delle conclusioni definitive al momento
della rimessione in decisione e, in mancanza, le stesse non
possono essere riproposte in sede di impugnazione (Cass.
25157/2008; Cass. 23574/2007), precisando – per quanto qui
rileva – che lo stesso principio, al quale occorre dare
continuità, deve necessariamente valere laddove il giudice
istruttore, decidendo sulle istanze istruttorie proposte dalle
parti, non ne prenda in considerazione alcune: anche in questo
caso, la mancata reiterazione, con la precisazione delle
conclusioni dell’istanza non considerata assume la valenza di
rinuncia (Cass. ord. 27 giugno 2012, n. 10748 in motivazione).
Orbene la decisione impugnata non si è discostata da tali
principi, contemporaneamente evidenziando che la mancata
disamina delle istanze di prova orale era il risultato del
disinteresse prestato dalla parte in ordine all’espletamento

7

metodo volto all’indagine della volontà delle parti, sia pure

della prova per tutto il corso del primo grado del giudizio.
E’ appena il caso di aggiungere che in tale prospettiva
nessuna rilevanza può assumere la residuale richiesta
(«occorrendo

_»)

tardivamente

svolta nella comparsa conclusionale, non

espletamento

della

prova

orale,

inferire, a fronte del dato della mancata

enunciazione delle istanze istruttorie in sede di precisazione
delle conclusioni, la loro riproponibilità in appello.
Il motivo va, dunque, rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5

cod. proc.

contraddittoria

motivazione

civ.

omessa,

insufficiente o

conseguente

presunzione di rinuncia alle istanze istruttorie,

all’erronea
ritualmente

formulate in primo grado e reiterate in secondo grado. Ai fini
della

«chiara indicazione

ai sensi dell’art. 366

proc. civ. si espone che:

bis

cod.

«la motivazione è omessa e/o

insufficiente nella parte in cui si fonda esclusivamente su
una consulenza tecnica d’ufficio fermamente contestata
dall’odierna ricorrente che sostanzialmente esclude la
negligenza dei sanitari sulla base dell’impossibilità di
stabilire un nesso eziologico e sulla mancanza di ritrovamento
di macroscopico materiale ovulare all’interno della cavità
uterina» e che «la motivazione è inidonea a giustificare la
decisione perché l’assunzione delle istanze istruttorie (in
particolare delle prove orali indicate) potevano decisivamente
ribaltare la determinazione del giudice con un grado elevato
di certezza in quanto idonee a contrastare efficacemente le
incerte conclusioni dei periti e pertanto avevano senz’altro

8

potendosene

di

valenza decisiva ai fini della decisione».
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione dell’art. 345 cod proc. civ.. A conclusione del
motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell’art. 366
cod. proc. civ.:

bis

«vero che un mero mutamento formale e/o

grammaticale nella formulazione del capitoli di prova orale
non viola il divieto dello ius novorum in appello dovendo, al
contrario, essere consentito all’appellante precisare i
capitoli di prova senza aggiungere alcun fatto ovvero elemento
nuovo?»
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art.

360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa

applicazione e/o erronea applicazione dell’art. 345 cod. proc.
civ.. A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.:

«vero che, in grado

di appello, sulla base di circostanze nuove (nella specie
certificati medici successivi alla sentenza di primo grado) è
consentito alle parti di formulare e richiedere l’ammissione
di un nuovo capitolo di prova la cui assunzione ha valenza
decisiva ai fini della decisione?»
5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa e insufficiente,
mancanza di adeguata specificazione dei motivi di rigetto
delle istanze istruttorie ed omessa pronuncia in ordine al
capitolo 13 dedotto per la prima volta in sede di appello. Ai
fini della «chiara indicazione ai sensi dell’art. 366 bis cod.
proc. civ. si espone che:

«la motivazione è omessa e/o

9

cSkocA–(

insufficiente nella parte in cui stabilisce che genericamente
tutti i capitoli di prova sono inammissibili ai sensi
dell’art. 345 c.p.c. senza tuttavia indicare perché si
rinviene l’elemento di novità previsto dall’articolo citato» e
che

«la motivazione è inidonea a giustificare la decisione

terzo motivo di impugnazione, qualora ammesse, avrebbero
certamente condotto ad una diversa determinazione del
decidente».
5.1. Nessuno dei motivi che precedono merita accoglimento.
Invero – a tacere della genericità dei quesiti di diritto e
dell’assertività dei momenti di sintesi, sintomatiche del
difetto di decisività delle censure – si osserva innanzitutto
che i motivi all’esame, nella misura in cui si fondano (al
pari del primo motivo) sull’assunto che la mancata
reiterazione delle istanze istruttorie in sede di precisazione
definitiva delle conclusioni non ne comportasse la rinuncia assunto che si è dimostrato essere erroneo per le
considerazioni

sub 1.2. –

sono inevitabilmente destinati a

seguire la sorte del primo.
Non appare superfluo aggiungere che i medesimi motivi, per
una parte, si incentrano su un argomento svolto ad abundantiam
nella decisione impugnata – laddove si evidenzia che la prova
definita dall’appellante come «già prospettata in prime cure»,
risultava, ad un’attenta lettura, integrata da elementi di
novità con conseguente inammissibilità delle relative
censure per difetto di interesse, siccome attinenti ad
argomentazione che non ha alcuna autonoma incidenza sul

lo

perché le prove, essendo decisive, per quanto esposto nel

diniego dell’espletamento della prova orale, la quale si basa

essenzialmente sulla considerazione del definitivo abbandono
delle relative istanze nel primo grado del giudizio (cfr.
Cass. n. 12930/2012; Cass. n. 23635/2010); per altra parte e,
in specie, il secondo, il quarto e il quinto motivo

fatto – la “decisività” della prova orale e la sua idoneità a
“ribaltare” le risultanze della c.t.u., anche in ragione di
una certificazione medica che sarebbe stata rilasciata
successivamente alla precisazione delle conclusioni in prime
cure; per tal via surrettiziamente suggerendo un’equiparazione
tra la situazione in oggetto e quella “indispensabilità” della
prova che
applicabile

ex

art. 345 cod. proc. civ. (nel testo qui

ratione temporis

anteriore alle modifiche

apportate con L. n. 69 del 2009 e con il d.l. n.83 del 2012,
conv. con modif.

in L. n.134/1982) avrebbe consentito

l’eccezionale riapertura dell’istruttoria in sede di gravame.
Sotto quest’ultimo profilo le censure prestano il fianco ad
un ulteriore rilievo di inammissibilità, vuoi per l’incoerenza
logica o, almeno, la perplessità delle deduzioni, vuoi anche
per la novità della questione. Invero delle due l’una: o la
prova orale richiesta in appello era la stessa articolata in
prime cure e allora la “nuova” certificazione medica risultava
irrilevante nella valutazione della “decisività” della stessa,
mentre era dirimente il rilievo, svolto nella decisione
impugnata, della mancata reiterazione in sede di definitiva

precisazione delle conclusioni della relativa istanza; oppure
la prova era “nuova” e allora bisognava che la ricorrente

11

c)A-9

enfatizzano – come emerge dai quesiti di diritto e c.d. di

allegasse e dimostrasse di avere dedotto nell’atto di appello
– anche in dipendenza della ridetta certificazione – la
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 345 cod. proc.
civ. vuoi della “nuova” produzione documentale, vuoi anche
della (nuova) prova orale.

della prova, agli effetti dell’art. 345 cod. proc. civ.,
proprio perchè postula la novità della prova, va valutata in
relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa
si è formata, con la conseguenza che essa va esclusa se la
decisione si è formata prescindendone, per essere imputabile
alla parte l’abbandono della relativa richiesta.
6. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ.

«vizio della motivazione»

per avere la sentenza impugnata recepito le affermazioni
illogiche e contraddittorie della c.t.u. senza adeguatamente
motivare sulle critiche sollevate dalla parte. Ai fini della
«chiara indicazione ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.
si espone che:

«la motivazione è insufficiente e

contraddittoria e/o omessa nella parte in cui recepisce il
contenuto della CTU senza adeguatamente motivare in ordine a
tutte le critiche sollevata dalla parte alle risultanze
dell’elaborato peritale»

e che

«la motivazione non è idonea

dunque a reggere la decisione in quanto il giudice ha recepito
la contraddittorietà della consulenza espletata inerenti
questioni decisive al fine del presente giudizio (in
particolare sull’accertamento del nesso causale e sulla
assenza di negligenza dei sanitari che praticarono

12

In disparte la considerazione che “l’indispensabilità”

l’interruzione volontaria di gravidanza) senza minimamente
motivare su critiche puntuali e circostanziate».
7. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art.

360 n.3 cod. proc.

civ. violazione o falsa

applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché violazione degli

chiede a questa Corte ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc.
civ.: «il paziente/creditore assolve l’onere probatorio su di
lui gravante allegando il contratto e/o il rapporto con la
convenuta azienda ospedaliera nonché allegando l’inadempimento
(es. l’insorgenza di una infezione o aggravamento delle
condizioni di salute), restando a carico dell’ente ospedaliero
la prova liberatoria ex art. 1218 c.c. ed in particolare
l’assenza del nesso causale, onde l’eventuale incertezza in
ordine a detta prova deve andare a favore del creditore che ha
diritto a vedersi riconosciuta ed accolta – e perciò non
respinta – la domanda proposta».
8. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa

«un punto decisivo» per il

giudizio, in particolare per avere la Corte di appello
erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio ricadente
sulla controparte ovvero sulla ASL convenuta. Ai fini della
«chiara indicazione ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.
si

espone

che:

«la

motivazione

è

insufficiente

e

contraddittoria nella parte in cui recepisce le conclusioni
dei consulenti tecnici senza considerare le contestazioni
sollevate dalla parte inerenti 11 corretto riparto dell’onere

13

artt. 113 e 115 cod. proc. civ.. A conclusione del motivo si

probatorio»

e che

«la motivazione non è idonea dunque a

reggere la decisione in quanto il giudice non ha correttamente
applicato i principi e le regole inerenti l’assolvimento della
prova in tema di responsabilità medica erroneamente pertanto
determinando la soccombenza della ricorrente attrice

8.1. I suddetti motivi – pur svolgendo un duplice ordine di
censure, sotto il profilo della violazione di legge, in
relazione al riparto degli oneri probatori e, sotto il
versante motivazionale, sul presupposto di una passiva
acquiescenza dei giudici del merito alle risultanze della
c.t.u. e alle contraddizioni che esse esprimerebbero – sono
strettamente connessi, giacche muovono tutti dal postulato di
fondo di avere assolto l’onere probatorio incombente sulla
parte istante per il risarcimento, dimostrando la sussistenza
del contratto/contatto sociale (avente ad oggetto l’intervento
di interruzione volontaria della gravidanza eseguito nella
struttura ospedaliera in data 12.08.1998) e dell’evento
dannoso (le lamentate metrorragie, con conseguente ricovero in
Kenia nel settembre 1998 e, quindi, l’intervento di
raschiamento in data 29.10.1998 effettuato in una struttura
privata in Forlì), mentre sarebbe stato onere di parte
convenuta di provare il verificarsi di un evento imprevedibile
in grado di determinare il venir meno del nesso di causalità e
quindi della responsabilità dei sanitari. In tale situazione
le incertezze che – a dire della ricorrente – emergerebbero
dalla c.t.u. in ordine all’eziologia del tipo di complicanze
lamentate dalla Vallicelli, avrebbero dovuto condurre ad un

14

Vallicelli Cristina».

risultato opposto a quello cui sono pervenuti entrambi i
giudici del merito, impropriamente “rifugiandosi” sul dato,
risultante dalla stessa consulenza, della frequenza della
complicanza

«che si verifica mediamente ogni 20-25

interventi».

contrattuale la responsabilità e della struttura e del medico
nei confronti del paziente per danni derivati dall’esercizio
di attività di carattere sanitario, ha ormai risolto i
problemi connessi al riparto dell’onere della prova lungo le
direttrici segnate dalle Sezioni unite, segnatamente con le
sentenze 30 ottobre 2001, n. 13533 e 11 gennaio 2008 n. 577,
muovendosi nell’ottica che l’inadempimento rilevante
nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del
danno nelle obbligazioni così dette di comportamento

coincidenti con quelle tradizionalmente definite di mezzi, in
cui è la condotta del debitore ad essere dedotta in
obbligazione – non è qualunque inadempimento, ma solo quello,
per così dire, vestito, e cioè astrattamente efficiente alla
produzione del danno. Con l’ulteriore e decisiva conseguenza
che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno
da attività medico-chirurgica, l’attore deve provare
l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e allegare
l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e
l’inadempimento qualificato, con l’allegazione di inadempienze
specifiche, idonee a provocarli, rimanendo a carico della
controparte dimostrare o che l’inadempimento non vi è stato,
ovvero che, pur essendovi stato, non ha determinato il danno

15

8.2. In punto di diritto questa Corte, qualificata come

lamentato (Cass. 13 novembre 2013, n. 27855; Cass. 26 gennaio
2010, n. 1538).
In punto di fatto si osserva che – contrariamente a quanto
opinato da parte ricorrente – la Corte di appello ha dato
contezza delle ragioni della condivisione prestata alle

evidenziando l’assenza di una contraddizione interna alla
relazione; e ciò perché alle incertezze prospettabili
astratto

in

sulla genesi della lamentata complicanza si

contrapponeva altro dato obiettivo – quello dell’assenza di
macroscopici residui ovulari nel raschiamento effettuato il 27
ottobre 1998 – che lasciavano ragionevolmente escludere che
nello specifico i sanitari avessero eseguito l’intervento di
interruzione volontaria della gravidanza senza il necessario
scrupolo nella rimozione del materiale dalla cavità uterina.
A tali argomentate considerazioni si affiancano, poi, il
dato sull’incompletezza della documentazione, pure rimarcato
nella decisione impugnata – laddove si evidenzia la mancanza
di quella relativa al «

riferito ricovero del 15 settembre

1998 presso l’ospedale di Malindi » (pag. 9)- nonché il rilevo
del mancato riscontro da parte dei c.t.u. di «alcuno del danni
fisici permanenti che possono essere secondari all’intervento
di isterosuzione»

(pag. 12), trattandosi di riscontri

afferenti all’eziologia dell’evento, la cui carenza non può
evidentemente ridondare a carico della convenuta.
8.3. Ciò posto e precisato altresì che il sindacato della
Corte di legittimità sulla motivazione è limitato alla sua
congruità e non può estendersi alla correttezza scientifica

16

conclusioni cui erano pervenuti i consulenti, segnatamente

del suo contenuto, nè alla disamina e valutazione delle
emergenze processuali, su cui, invece, parte ricorrente poggia
le proprie considerazioni, si osserva che la decisione
impugnata non si discosta dai principi sopra enunciati in
ordine al riparto dell’onere probatorio, atteso che le

dalle risultanze della c.t.u., testimoniano della mancata
prova del nesso causale dei danni fisici permanenti,
incombente sulla parte danneggiata e, per converso, del
ritenuto assolvimento della prova del diligente adempimento
della prestazione medico-chirurgica da parte della struttura
sanitaria convenuta. In particolare il riferimento al dato
statistico relativo alla frequenza della complicanza, del tipo
di quelle lamentate dalla Vallicelli, non viene impropriamente
assunto come causa di esonero dalla prova incombente sulla
parte convenuta, bensì viene confrontato con il positivo
riscontro del

«necessario scrupolo»

nell’esecuzione della

prestazione medico-chirurgica, arguito dal successivo
intervento effettuato nella struttura privata, in tal modo
implicitamente, ma inequivocamente inferendone la non
evitabilità e, comunque, la non ascrivibilità di tali
complicanza al fatto dei sanitari che effettuarono
l’intervento di interruzione volontaria della gravidanza.
Gli argomenti di segno contrario svolti da parte ricorrente
non introducono alcun elemento scardinante nel processo
argomentativo della decisione impugnata, né rivelano
un’insufficienza motivazionale, anche perchè

secondo un

principio assolutamente costante nella giurisprudenza di

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argomentazioni, motivatamente desunte dai giudici del merito

questa Corte – il giudice del merito, qualora condivida i
risultati della consulenza tecnica d’ufficio, non è tenuto ad
esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento,
atteso che la decisione di aderire alle risultanze della
consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie

consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne
costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure
in sede di legittimità (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3881).
I suddetti motivi vanno, dunque, tutti rigettati.
9. Con il nono motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nullità della sentenza e
del procedimento per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112
cod. proc. civ.. A conclusione del motivo si chiede a questa
Corte ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.

«se comporta

violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.
4 c.p.c. e dunque integra un vizio di nullità della sentenza
il fatto che il giudice non abbia pronunciato sullo specifico
motivo di censura e impugnazione inerente l’omessa indicazione
e quantificazione dei danni da parte del c.t.u.».
10. Con il decimo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa e/o insufficiente
motivazione inerente la domanda di determinazione dei danni
subiti da Vallicelli Cristina. Ai fini della
indicazione
espone che:

ai sensi dell’art. 366

bis

«chiara

cod. proc. civ. si

«la motivazione è omessa, nonché comunque

insufficiente nella parte in cui stabilisce che Vallicelli
Cristina non abbia subito un danno permanente senza tuttavia

18

deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del

pronunciarsi in ordine alle altre voci di danno che il giudice
del merito aveva esposto nei quesiti facendo in tal modo
proprie le carenze della consulenza e omettendo di considerare
e, quindi, di adeguatamente motivare in ordine alle
contestazioni svolte dalla parte che aveva puntualmente
e

che «la motivazione non è dunque idonea a reggere la decisione
in quanto il giudice si è basato unicamente sulle contestate
conclusioni del CTU le cui omissioni, denunciate anche sotto
il profilo della mancata indicazione del danno, perlomeno
temporaneo, erano rivolte a constatare e a dimostrare la
illogicità ed àpoditticità della consulenza esperita»
10.1. I due motivi profilano contraddittoriamente
evocando l’omessa pronuncia e l’ome33a c/o l’insufficiente
motivazione – la medesima questione, e cioè che i giudici del
merito, avvalorando una carenza originariamente ascrivibile
alla relazione di c.t.u., non si siano pronunciati con
riguardo a tutti i danni, perlomeno temporanei, conseguenti
all’intervento di interruzione volontaria della gravidanza.
Senonchè contrariamente a quanto ipotizzato dalla
ricorrente – la Corte di appello ha pronunciato sul punto,
evidenziando non solo e non tanto che i consulenti avevano
escluso la sussistenza di danni permanenti, ma anche e
soprattutto come

«la valutazione del danno sia rimasta

assorbita dal rigetto dell’an della pretesa»,

chiaramente, ma

implicitamente evidenziando che la determinazione quantitativa
del danno risultava superflua, anche con riferimento
all’inabilità temporanea, per la ritenuta insussistenza della

19

evidenziato l’omissione contenuta nell’elaborato peritale»

responsabilità sanitaria.
Anche i suddetti motivi vanno, dunque, rigettati.
11. Con l’undicesimo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nullità della sentenza e
del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

dell’art. 366

bis

cod. proc. civ.

«comporta violazione

dell’art. 112 c.p.c. e, dunque, conseguente vizio di omessa
pronuncia con nullità della sentenza il fatto che la Corte non
si sia pronunciata in merito all’omissione informativa del
sanitario (inerente nella specie – l’eventualità di
possibili complicazioni che potevano sorgere a seguito
dell’intervento di interruzione volontaria della gravidanza
nonché concernente le cause che potevano comportare tale
seppur eventuale infezione nonché comunque sulla mancata
assistenza post- operatoria pur consigliata nelle linee guida
valevoli in materia)».
11.1. Va premesso che la parte che impugna una sentenza con
ricorso per Cassazione per omessa pronuncia su una domanda o
eccezione ha l’onere, per il principio di autosufficienza del
ricorso, quale recepito dagli artt. 366 n. 6 e 369 n.4 cod.
proc. civ., di specificare, a pena di inammissibilità per
genericità del motivo, non solo in quale atto difensivo o
verbale di udienza l’abbia formulata, per consentire al
giudice di verificarne la ritualità e tempestività, ma anche
quali ragioni abbia specificatamente formulate a sostegno di
essa. Ciò in quanto, pur configurando la violazione dell’art.
112 cod. proc. civ. un

error in procedendo,

20

per il quale la

A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi

Corte di Cassazione è giudice anche del “fatto processuale”,
non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il diretto esame
degli atti processuali è sempre condizionato ad un
apprezzamento preliminare della decisività della questione
(Cass. 11 giugno 2004, n.11126).
Merita, altresì, ribadire che l’inadempimento rilevante
nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del
danno, nelle obbligazioni dette “di comportamento”, come
quelle che qui rilevano, non è qualunque inadempimento, ma
solo quello che costituisce causa (o concausa) e efficiente
del danno; il che comporta, in

primis,

la necessità della

parte istante di allegare un inadempimento, per così dire,
qualificato e cioè astrattamente efficiente alla produzione
del danno.
Ciò premesso, si osserva che la decisione impugnata,
allorchè ricostruisce la domanda come intesa a ottenere il
risarcimento dei

«danni causati da un intervento di

interruzione volontaria di gravidanza, non correttamente
eseguito»,

ne individua, chiaramente, la

causa petendi nella

condotta commissiva dei medici, rappresentata dall’errata
esecuzione dell’intervento, senza fare alcun cenno alla
specifica allegazione dell’omissione di oneri di informazione
ovvero alla deduzione di erronee indicazioni afferenti la fase
di assistenza post-operatoria, avendo, anzi, stigmatizzato
profili di novità della prova nella parte in cui era intesa a
dimostrare precise rassicurazioni circa il viaggio in Kenia.
In tale contesto sarebbe stato onere della ricorrente
dimostrare di avere specificamente dedotto le carenze

21

informative o, addirittura, le erronee indicazioni per la fase
post-operatoria, lamentandone l’incidenza causale nella
produzione del danno, entro i termini preclusivamente fissati
per la determinazione del

thema decidendum;

all’uopo non

rilevando le argomentazioni contenute nella comparsa

ricorso, perché svolte in un momento processuale nel quale non
potevano essere ammissibilmente introdotte questioni nuove; di
modo che non è neppure prefigurabile il potere-dovere del
giudice del merito di pronunciarsi sulle stesse.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di
legittimità non avendo parte intimata svolto attività
difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Roma 5 febbraio 2014
L’ESTENSORE

IL PRESIDENT
…0/

■.1/4…

2., ‘

conclusionale o nell’atto di appello, riportate nel motivo di

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