Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10316 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10316 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 27827-2010 proposto da:
MARTUCCI CIRO MRTCRI38L01H501C in proprio e n.q. di
unico erede di MARTUCCI LUIGI, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 19, presso lo studio
dell’avvocato CERUTTI GILBERTO, che lo rappresenta e
difende giusta delega a margine;
– ricorrente –

2014

contro

296

COMUNE DI ROMA 02438750586 in persona del Sindaco pro
tempore

On.le

GIOVANNI ALEMANNO,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21

1

Data pubblicazione: 13/05/2014

(Avvocatura Comunale) presso lo studio dell’avvocato
CECCARELLI AMERICO che lo rappresenta e difende
giusta procura a margine;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2059/2010 della CORTE

2187/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/02/2014 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito l’Avvocato ANDREA ZANELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per
l’accoglimento del l ° motivodi ricorso, assorbiti gli
altri;

‘1

2

D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/06/2010, R.G.N.

Svolgimento del processo

1. Ciro Martucci, in proprio e quale erede del defunto
padre Luigi Martucci, convenne in giudizio il Comune di Roma
dinanzi al Tribunale della medesima città esponendo:
che il padre conduceva in locazione, dagli anni trenta,

che, per eseguire la ristrutturazione dell’edificio, il
medesimo Comune aveva trasferito Luigi Martucci in altro
immobile, sito in Roma;
che il Comune aveva comunicato al conduttore il diritto
di rientrare nell’appartamento di provenienza;
che il padre aveva dichiarato di voler rientrare
nell’immobile originario ma che nel frattempo era deceduto;
che esso appellante, quale erede dell’originario
locatario, aveva domandato diverse volte di rientrare in
possesso dell’immobile, ma con esito negativo, per cui aveva
chiesto giudizialmente il riconoscimento del suo diritto.
2.

Il Comune di Roma domandò il rigetto dell’avversa

pretesa.
3.

Il Giudice Unico del Tribunale adito rigettò la

domanda e condannò il convenuto al rimborso delle spese
processuali.
4. Avverso detta sentenza, con ricorso depositato in
Cancelleria in data 23 aprile 2009 e notificato in data 8
giugno 2009 al Comune di Roma, unitamente al decreto con il

3

un immobile, sito in Roma, di proprietà Del suddetto Comune;

quale era fissata l’udienza di discussione, Ciro Martucci in
proprio e quale erede del defunto padre Luigi Martucci propose
appello.
L’appellante, con due motivi di gravame, chiese che, in
accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza gravata,

proprio e nella qualità, nella detenzione dell’appartamento
per cui è causa, con condanna di detto Comune al risarcimento
dei danni subiti in proprio e nella qualità di erede.
5.

Il Comune di Roma, ritualmente citato, rimase

contumace.
6.

La

Corte

d’appello

di

Roma

ha

dichiarato

l’improcedibilità dell’appello ed ha confermato la sentenza
del Giudice Unico del Tribunale di Roma perché il ricorso e il
decreto di fissazione dell’udienza del Presidente del
Tribunale furono notificati dopo il termine ordinatorio di
conoscenza del decreto stesso, senza che fosse stata richiesta
la proroga, prima della scadenza di detto termine.
Ad avviso della Corte infatti la scadenza del termine
ordinatorio, senza la preventiva richiesta di proroga,
comporta gli effetti propri del termine perentorio, di cui
all’art. 153 c.p.c.
7.

Propone ricorso per cassazione Ciro Martucci con

quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Roma.

4

fosse ordinato al Comune di Roma di immettere l’appellante, in

Motivi della decisione

8.

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia

«violazione e/o falsa applicazione degli artt. 435 c.p.c. e
291 c.p.c.»
9. Con il secondo motivo denuncia «nullità della sentenza

applicazione degli artt. 291 e 435 c.p.c. (art. 360 n. 4
c.p.c.) – pregiudizio del diritto di difesa.»
10. Con il terzo motivo si denuncia «violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 435 c.p.c. e 136 c.p.c.»
11.

Con il quarto motivo si denuncia «nullità della

sentenza o del procedimento conseguente a violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 435 e 136 c.p.c. (art. 360 n. 4
c.p.c.) pregiudizio del diritto di difesa.»
I motivi, per la loro stretta connessione, devono essere
congiuntamente esaminati.
Assume il ricorrente che, nel caso in esame, non si è
verificata alcuna ipotesi di omissione di notifica del ricorso
in appello in quanto quest’ultimo è stato effettivamente
notificato alla parte appellata, presso il di lei procuratore
costituito, unitamente al decreto presidenziale di fissazione
dell’udienza.
Né,

prosegue Martucci,

la Corte d’appello poteva

dichiarare l’improcedibilità del gravame per inosservanza del
termine posto dall’art. 435, comma 2, c.p.c. in quanto la

5

R,

o del procedimento conseguente a violazione e/o falsa

ritardata notifica del suddetto ricorso e del pedissequo
decreto di fissazione dell’udienza di discussione è stata del
tutto improduttiva di conseguenze sul piano processuale per
ciò che riguarda la ragionevole durata del processo.
Precisa al riguardo il ricorrente: che il ricorso in

ricevuto dal destinatario Comune di Roma

1’8

giugno 2009; che

l’udienza di discussione era stata fissata 1’11 maggio 2010,
con il decreto presidenziale depositato il 7 maggio 2009.
Tenuto conto dei tempi di restituzione degli atti
dall’ufficio notifiche, prosegue il Martucci, avuto riguardo
all’ampio margine di rispetto dei termini di comparizione in
relazione all’udienza fissata (con margini superiori
all’anno), appare evidente che minimi criteri di
ragionevolezza dovevano far valutare la fattispecie in linea
con gli artt. 435 e 291 c.p.c., alla stregua di
un’interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 111,
comma 2, cost.
Sotto un diverso profilo ritiene il ricorrente che il
termine di dieci giorni, di cui all’art. 435, comma 2, c.p.c.
è stato comunque rispettato in quanto la comunicazione della
cancelleria, avvenuta con il fax dell’il maggio 2009, non è
mai giunto al suo difensore e, in ogni caso, la trasmissione a
mezzo fax non risulta in alcun modo idonea a fungere da
equipollente delle comunicazioni di cui all’art. 136 c.p.c.

6

oggetto è stato notificato in data 5 giugno 2009; che è stato

Inoltre, sempre ad avviso del Martucci, la Corte
d’appello non poteva far decorrere i dieci giorni dalla data
di richiesta delle copie autentiche del provvedimento del
Presidente (19 maggio 2009) ma da quello di ritiro delle
stesse, ossia il 26 maggio 2009, essendo l’emissione delle

della parte richiedente in quanto dipendente dagli uffici
della cancelleria.
Partendo da quest’ultima data è stato rispettato il
termine di 10 giorni.
Sottolinea infine il Martucci come l’art 435, 2 ° comma,
c.p.c. disponga che l’appellante, nei dieci giorni successivi
al deposito del decreto, «provvede» e non «deve» notificare il
ricorso all’appellato unitamente al decreto di fissazione
dell’udienza talché non sussistono le condizioni di legge per
la dichiarazione di improcedibilità del ricorso.
I motivi sono fondati.
È infatti orientamento costante di questa Corte che, nel
rito del lavoro, il termine di dieci giorni entro il quale
l’appellante, ai sensi dell’art. 435 secondo comma c.p.c.,
deve notificare all’appellato il ricorso e il decreto di
fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere
perentorio talché la sua inosservanza non produce alcuna
conseguenza pregiudizievole per la parte, non incidendo su
alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un

7

ADi

copie autentiche un incombente sottratto alla disponibilità

interesse dell’appellato, purché sia rispettato, il termine di
venticinque giorni che, ai sensi del medesimo art. 435 terzo
comma c.p.c., deve intercorrere tra il giorno della notifica e
quello dell’udienza di discussione (Cass., 22 giugno 1994 n.
5997).

24 febbraio 2010, n. 60), nel suddetto rito, l’inosservanza
del richiamato termine di dieci giorni non comporta alcuna
decadenza, sempre che resti garantito all’appellato uno
spatium deliberandi

non inferiore a quello legale prima

dell’udienza di discussione, affinché egli possa approntare le
sue difese e purché non vi sia incidenza alcuna del
comportamento della parte, in mancanza di differimento
dell’udienza, sulla ragionevole durata del processo (nella
specie, la S.C. ha fatto applicazione del principio su esteso
al caso in cui l’appellante aveva chiesto – dopo oltre un mese
dal decreto presidenziale di fissazione dell’udienza
l’anticipazione della stessa, provvedendo a notificare il
ricorso ed il nuovo decreto oltre il termine di dieci giorni,
computati dal nuovo decreto, ma ben otto mesi prima
dell’udienza) (Cass., 31 maggio 2012, n. 8685).
Per le ragioni che precedono deve quindi ritenersi che
abbia errato l’impugnata sentenza nel considerare l’appello
improcedibile in quanto il ricorso e il decreto presidenziale
di fissazione dell’udienza furono notificati dal ricorrente

8

xY’

In altri termini, come precisato dalla Corte Cost. (ord.

Martucci dopo la scadenza del termine ordinatorio di dieci
giorni, decorrente dalla conoscenza del decreto stesso, senza
che da parte dello stesso Martucci fosse stata richiesta la
proroga del medesimo termine, prima della sua scadenza.
Ha altresì errato la Corte d’appello di Roma nel ritenere

ha determinato per l’appellante gli effetti propri del termine
perentorio di cui all’art. 153 c.p.c. che non può essere
abbreviato o prorogato neppure su accordo delle parti.
Non pertinente è infine il riferimento della suddetta
Corte d’appello alla sentenza di questa Corte n. 20604/2008 in
quanto, in quest’ultimo caso, si trattava di omessa notifica
mentre nel caso di cui ci si occupa si tratta di ritardata
notifica.
Il ritardo nella notificazione non ha inciso sulla
ragionevole durata del processo in quanto, in conseguenza di
tale ritardo, non è stato necessario lo spostamento
dell’udienza di discussione.
In

conclusione,

l’impugnata

sentenza,

dichiarando

l’appello improcedibile, non si è attenuta ai suddetti
principi elaborati da questa Corte e dalla Corte
costituzionale e pertanto la stessa va cassata affinché la
Corte di rinvio, in diversa composizione, rilevata la
procedibilità dell’appello, esamini lo stesso nel merito e
provveda anche sulle spese del giudizio di cassazione..

9

che tale scadenza, senza la preventiva richiesta di proroga,

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza
e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa
composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Roma, 4 febbraio 2014

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