Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10313 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/04/2017, (ud. 13/12/2016, dep.26/04/2017),  n. 10313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17688-2014 proposto da:

HOSTARIA PRIMO DI P.N. & C. S.N.C., C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato

STEFANO MARANELLA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALDO SIMONCINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA POMPEO UGONIO 3, presso lo studio dell’avvocato BELARDO BOSCO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3467/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2014 R.G.N. 6861/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

uditi gli Avvocati STEFANO MARANELLA e ALDO SIMONCINI;

udito l’Avvocato CARLO PAVIA per delega Avvocato BELARDO BOSCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

in subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma confermò la sentenza del Tribunale di Tivoli che, in parziale accoglimento della domanda proposta da G.G. nei confronti di Hostaria Primo di P.N. & c. s.n.c., aveva accertato la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti dal 5 febbraio 1998 al 25 marzo 2003, e, ritenuta la prestazione inquadrabile nel 2^ Livello del CCNL del turismo e provata la prestazione di lavoro straordinario, condannato la società al pagamento in favore della ricorrente di Euro 131.947,11 di cui Euro 14.373,61 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

2. Per la cassazione della sentenza Hostaria Primo di P.N. & c. s.n.c., ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso G.G.. La società ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso attinge la sentenza del giudice d’appello laddove ha ritenuto che la G. abbia diritto all’inquadramento nel secondo livello del C.C.N.L. del turismo e pubblici esercizi. La società deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., art. 104 del C.C.N.L. del settore turismo e pubblici esercizi, artt. 115 e 116 c.p.c.; omesso esame di un punto essenziale decisivo ai fini della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta che sarebbe stata violata la declaratoria del secondo livello del C.C.N.L. e che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del principio secondo il quale nel caso di svolgimento di mansioni promiscue, per essere riconosciuta la qualifica superiore deve essere dimostrata la prevalenza di quelle ad essa relative sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo; sostiene che gli elementi di prova forniti dalla lavoratrice, nonchè la deposizione del teste M. valorizzata nella sentenza, evidenziassero il carattere episodico delle mansioni organizzative più qualificanti. Inoltre, la Corte di merito avrebbe operato una scelta tra le varie prove acquisite, senza adottare alcuna motivazione.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. La Corte territoriale ha confermato la ricostruzione delle risultanze fattuali operata dal primo giudice ed ha rilevato (nell’ultima pagina) che i testimoni avevano riferito che la ricorrente aveva svolto non solo i compiti correlati al servizio di ristorazione (apparecchiatura dei tavoli, ordini degli avventori, riscossione dei prezzi), ma anche, in assenza del P., titolare dell’esercizio, quelle di compilazione delle schede di presenza del personale e di coordinamento degli altri camerieri, oltre a quelle di preparazione degli ordini di acquisto delle derrate alimentari e degli altri beni necessari per l’espletamento dell’attività di ristorazione; nella pagina precedente aveva anche riferito che la G. svolgeva anche attività di coordinamento dei lavoratori che prestavano servizio all’interno del ristorante. Ha ritenuto quindi che la prestazione fosse inquadrabile nel secondo livello del CCNL del turismo, ove sono ricompresi i “lavoratori che svolgono mansioni che comportano iniziativa ed autonomia nell’ambito ed in applicazione delle direttive generali ricevute, con funzioni di coordinamento e controllo… per le quali è richiesta una particolare competenza professionale”.

2.2. Quanto al denunciato profilo della violazione delle richiamate disposizioni di legge, la Corte ha fatto quindi applicazione del principio, valorizzato dalla stessa parte ricorrente, secondo il quale in caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, occorre avere riguardo alle mansioni maggiormente qualificanti, purchè svolte in misura quantitativamente significativa (Cass. n. 14770 del 2016, n. 6303 del 18/03/2011 ed altre).

2.3. La censura avente ad oggetto la violazione del contratto collettivo è inammissibile, in quanto il ricorrente trascrive il testo dell’art. 104 di un CCNL di cui non specifica l’anno di stipulazione, mentre produce il CCNL per i pubblici esercizi del 1994, in cui la declaratoria del 2^ livello è all’art. 34 e corrisponde al testo cui ha fatto riferimento la Corte territoriale.

2.4. Parimenti inammissibile è la censura relativa alla ricostruzione delle risultanze fattuali, considerato che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

E’ però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, il cui esame ha riguardato propriamente il medesimo fatto storico (ovvero le mansioni in concreto svolte) oggetto del motivo, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. artt. 115 e 116 c.p.c. oltre che vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta che la Corte d’appello abbia disatteso tutte le prove a favore della società senza adeguata motivazione ed abbia ritenuto che sia stato prestato il lavoro straordinario, in assenza di testimonianze in tal senso concludenti.

4. Il motivo è inammissibile, in quanto, al di là della rubrica di stile, sollecita una diversa lettura delle risultanze fattuali rispetto a quelle cui è giunta la Corte territoriale in merito al lavoro straordinario, sicchè valgono le medesime considerazioni già svolte al superiore punto 2.4., solo dovendosi aggiungere che la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (in tal senso da ultimo Cass. n. 16056 del 02/08/2016).

5. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi,oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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